Blu Magritte, il duo costituito dalla cantante Valentina Donati e dal pianista jazz Fderico Squassabia, si servono di indie-eye per presentare il videoclip del loro nuovo singolo, “Sing Loud”. Il video è diretto da Francesca Bonci, talentuosa visual artist attiva sia come videomaker che come artista visuale per live ed eventi. “Sing Loud” è un viaggio nel mondo liquido di un dream pop contaminato con elementi ambient e jazz. Musica immediata e coltissima proposta da due veri talenti del panorama italiano
Blu Magritte – Sing Loud – Dir: Francesca Bonci
Francesca Bonci Visual Artist, intervista
Puoi raccontarci la tua formazione e come sei arrivata alla produzione di visuals?
Ho iniziato a pensare per immagini e ad esprimermi attraverso esse fin da bambina. Crescendo mi sono appassionata alla musica, che é imprescindibile, ma ho capito immediatamente che volevo descriverla con colori e forme piuttosto che farla. Nel frattempo ho frequentato il corso di laurea in progettazione multimediale e visual design all’Accademia delle belle arti, che mi ha sicuramente dato le basi necessarie per capire che strada volessi prendere. Dai videoclip sperimentali per band di amici a ciò che faccio ora, il percorso è stato abbastanza lineare: Il web mi ha aiutato ad avere visibilità, la mia predisposizione nel capirne le potenzialità e alle lingue straniere, mi ha permesso di comunicare facilmente con il mondo. Ho cominciato ad essere notata per i lavori che avevo in rete e ad avere richieste per i videoclip da parte di band straniere e ad ogni video pubblicato seguivano esponenzialmente altre richieste. Si era aperta una porta incredibilmente stimolante. Dopo qualche anno ho cominciato a sentire che non mi bastava più fare video seduta in casa e che dovevo unire le mie due passioni, l’arte e i viaggi. Stavo fiutando la mutazione della musica verso le immagini e ho provato a propormi per accompagnare le band nei loro live. Ha funzionato.
Sei Vj, Visual artist e videomaker. Tutto questo confluisce nella forma del Videoclip che si è sempre bilanciata tra numerose contaminazioni. Il tuo è un approccio anti-narrativo, più vicino alla videoarte. Cosa ti offre in più, o anche in meno, il lavoro delle immagini sulla canzone pop rispetto a contesti più specificatamente espositivi?
In più mi offre la libertà di non stare dentro a determinati schemi e di poter esprimere la mia creatività in ambiti sempre diversi. Inoltre, operare fuori da contesti espositivi, mi permette di raggiungere un pubblico più vasto.
Il colore sembra occupare un ruolo fondamentale nei tuoi lavori, puoi spiegarci in che modo e cosa cerchi di ottenere dalla sperimentazione che operi?
Il colore per me é associato ad uno spettro emotivo ideale. Il mio processo creativo comincia quando metto il brano in timeline. Essa funge da tela bianca. Lascio che la musica evochi in me un flusso di colore istintivo, esattamente come se buttassi strati di vernice, che poi vado a scalfire con le tonalità, le forme e i contrasti ed ogni elemento che lo compone.
Digitale oppure ottico? Organico o inorganico? Chimico-analogico oppure elettronico? Come lavori sugli effetti?
Uso un software di editing video abbastanza semplice per non snaturare troppo il mio lavoro. Per creare gli effetti agisco semplicemente sulla regolazione di contrasto, luminosità e saturazione. Cerco di avere un approccio analogico anche se uso il digitale. Ma lavorando con sovrapposizioni di immagini, a volte quello che esce è casuale e irripetibile, si creano effetti cromatici inaspettati e la modifica impercettibile dei valori in un punto può andare a modificare il mood dell’intero progetto. Spesso passo ore su un singolo fotogramma finché non sento quella vibrazione nello stomaco che mi suggerisce che la sintesi cromatica è quella giusta…
Ci fai un esempio di “tecniche miste”, tra analogico e digitale, nel tuo lavoro?
Gli elementi che uso per comporre i video provengono da fonti diverse. Possono essere foto analogiche, riprese da un telefonino o piccole videocamere, footage da vecchie VHS , disegni a mano o creati con la tavoletta grafica, scritte digitali.
Raccontaci la lavorazione di “Sing Loud”. Come hai lavorato con i Blu Magritte, quali scelte hai discusso con loro e come hai tecnicamente affrontato il video.
Quando i Blu Magritte mi hanno contattato e sottoposto il brano avevano già visto i miei lavori, quindi mi hanno lasciato carta bianca. Come faccio sempre con le band con cui lavoro, ho voluto conoscere le sensazioni che hanno attraversato la scrittura del brano e renderli partecipi nelle varie fasi della realizzazione, creando un’empatia con loro e confrontandomi spesso sulle idee che mi venivano in mente. Per esempio, mentre lavoravo alle textures mi sono accorta che avrei voluto inserire delle ombre di Valentina Donati, la cantante del duo, come elementi grafici e lei ha accolto con entusiasmo questa idea, aiutandomi nella creazione del materiale. Federico Squassabia è stato fondamentale per correggere l’impatto comunicativo del video. Il mio lavoro parte sempre dallo studio del concept che sta dietro ad un brano e confrontarmi frequentemente mi permette di gestire e salvaguardare l’emotività che lo attraversa, senza
rischiare di andare fuori strada. I musicisti sono i primi fruitori del video.
Quali sono i tuoi riferimenti visuali?
Non credo di avere veri e propri riferimenti visuali. Capita a volte che qualcuno mi faccia notare che il mio stile riconduca a quello di qualche pittore o grafico o video artista, e io non posso che esserne onorata, ma credo sia dovuto al mio vastissimo background culturale, che per forza di cose, si ricalcola e prima o poi torna. Se devo proprio trovare una fonte di ispirazione direi la natura, il mondo. I miei occhi e il mio cuore si nutrono di immagini da tutta la vita e il mio cuore le trasforma in evocazioni. Avete presente quando un ricordo vi torna alla mente sotto forma di fotogrammi un po’ astratti e carichi di emotività?
Cosa cambia dai visual per il palco al video concepito per una canzone?
Le fasi iniziali sono le stesse: studio del concept e comprensione del mood generale. Ciò che invece cambia è la realizzazione. Il video per una canzone deve essere un prodotto finito, il materiale per lo show dal vivo invece è aperto, perché durante la performance intervengo live con un controller, un programma di vjing e ultimamente sto cominciando a interessarmi ai video synthesizer. Questi interventi sono regolati delle sensazioni che mi provengono dal palco e dalla gente che assiste allo spettacolo.
Valentina Donati e Federico Squassabia: intervista ai Blu Magritte
Federico Squassabia, pianista jazz non convenzionale, in ambito afro, funk e jazz hai collaborato con numerosi artisti. Valentina Donati cantante e attrice, hai sperimentato a lungo l’intersezione tra questi due mondi. Come vi siete incontrati e come è nato il progetto Blu Magritte?
Ci siamo incontrati nel 2010 e abbiamo cominciato a suonare insieme senza obiettivi precisi, ma sperimentando sempre possibilità particolari, come “Blu Magritte” (scritto in italiano): colore del cielo ad un certa ora della sera, quando ancora non è buio ma non è più giorno. Un colore insolito. Le nostre atmosfere sonore si riferiscono a quella stessa energia: un po’ malinconica e riflessiva, ma anche poetica e vitale. Dopo una pausa durata qualche anno a causa di altri “viaggi” personali e professionali ci siamo recentemente ritrovati accogliendo anche la figura di Francesca per dare una dimensione visiva al progetto. “Sing Loud” è la nostra rinascita.
Blu Magritte ha realizzato una serie di cover e alcune tracce originali. Cosa vi interessa della riscrittura di brani celebri del repertorio pop? Manterrete questa configurazione oppure lavorerete con più intensità su brani originali?
Abbiamo per diverso tempo selezionato una serie di brani molto celebri della tradizione pop/rock anni ’80 – ’90 per colorarli del nostro mondo sonoro. E’ stato interessante vederne la trasformazione, sostanzialmente ci interessava esplorare una sonorità, più che proporre dei contenuti nostri. Il tutto era pensato perlopiù per una dimensione live. Oggi ci siamo ritrovati per registrare finalmente degli inediti, quindi ci concentreremo più su brani originali.
“Sing loud” è un brano molto suggestivo, che riporta indietro alle migliori produzioni della 4AD oppure al breve incontro tra Harold Budd e i Cocteau Twins. Siete d’accordo?
Ti ringraziamo per il paragone molto lusinghiero. Nel nostro piccolo non ci sentiamo di autodefinirci comparandoci a delle leggende della musica. Il nome dei Cocteau Twins però è già stato fatto, quindi prendiamo questa affermazione come un grandissimo complimento e stimolo per andare avanti!
Per Federico: il tuo lavoro su piano, tastiere ed elettronica percorre qui un tracciato diverso rispetto alla tua discografia, collaborazioni a parte. La scrittura diventa più minimal e alla ricerca di un tono, un mood, un’allure. Cosa ti interessa e ti stimola dell’intersezione tra pop e jazz?
Sono decisamente onnivoro e in continua evoluzione, in questi anni ho avuto esperienze molto diverse tra loro in cui il jazz e l’improvvisazione nella sua accezione più ampia sono stati centrali. Ora penso di aver raggiunto acque in cui l’essenzialità, il suono e la ricerca compositiva di linee melodiche “semplici” siano il respiro che voglio prendere. Non mi interessa se questo va a sbilanciare il discorso più verso il pop e magari la parte di improvvisazione sia meno in evidenza. C’è poi uno studio sui sintetizzatori e sull’elettronica che sto facendo che è decisamente un’ottima veste per esplorare questo nuovo mondo.
Per Valentina: I tuoi studi sulla tecnica vocale cominciano all’età di 13 anni e le tue esperienze sono molto ampie. Da una parte il Jazz, dall’altra la sperimentazione sugli ambienti sonori, documentata anche da un cd che hai realizzato nel 2018 con gli arrangiamenti di Giacomo Giunchedi. In quel caso lavoravi con sonorità ancestrali, desunte dalla musica popolare, individuando un nuovo spazio rituale tra voce e strumento naturale. Parte di questo discorso mi sembra confluisca anche in Blu Magritte, dove la voce diventa strumento. Puoi raccontarci in che modo e come lavori alla costruzione di brani che hanno comunque una struttura più marcatamente narrativa e pop?
In realtà non mi definirei una cantante vicina al jazz, genere che non ho mai approfondito più di tanto. La mia formazione è infatti un po’ “casuale”. Nel corso degli anni ho cercato degli insegnanti il cui lavoro sulla voce mi interessasse e quindi mi sono fatta condurre in una scoperta del mio suono o dei suoni che potenzialmente posso essere come performer.
Il canto è sempre stato il mezzo con cui, sin da piccola, mi esprimevo meglio. Anni dopo è arrivato il teatro e ho scoperto che più che cantare e basta mi interessava entrare in un immaginario, dove magari le regole sonore non sono esattamente musicali. Mi piace quindi cantare storie, ma anche senza parole, evocarle attraverso il suono. Questo è quello che è accaduto nell’album di cui parli: ho preso delle brevi melodie popolari e ne ho fatto dei “mantra” che evocassero ognuno un paesaggio sonoro diverso. Nei brani più pop faccio esattamente lo stesso: mi immergo in un immaginario e chiedo alla mia voce imperfetta di raccontarlo.
Blu Magritte, quando un primo album sulla lunga distanza, e soprattutto, come sarà?
Dopo “Sing Loud” abbiamo un altro singolo pronto, molto acquatico e lunare, dove la voce è molto presente, e poi programmiamo un EP con altri brani originali sulla stessa scia dei primi due, e sicuramente qualche cover per ricordare le origini!