lunedì, Novembre 18, 2024

Blues Pills – Lady In Gold: la foto-intervista @ Indie-Eye

Lady In Gold è il secondo disco in studio per i Blues Pills, dopo l’omonimo esordio del 2014, che già procurò molto consensi alla band con base in Svezia, sia tra gli amanti del blues-rock psichedelico, il loro genere di elezione, sia tra chi non bazzica molto quei lidi musicali. Il motivo del successo stava nella qualità dei brani proposti dalla band, forieri di ottime melodie e divagazioni psichedeliche profumate di anni ’70, e nel carisma e nella voce della cantante, Elin Larsson. In questo 2016 il gruppo torna a farsi notare con una seconda prova in cui lo spettro sonoro dei brani si amplia, dando più spazio a ballate e midtempo che esaltano la voce di Elin, mentre tocca timbri soul, senza però disdegnare qualche bella cavalcata elettrica in cui il resto della band fa valere la perizia strumentale. Uno dei protagonisti in quei frangenti è il chitarrista Dorian Sorriaux, francese poco più che ventenne ma già con le idee chiare sul come fare musica. Abbiamo avuto modo di chiacchierare con lui riguardo  Lady In Gold e in generale al progetto Blues Pills. Ecco cosa ci ha raccontato.

Inizierei l’intervista chiedendoti qualcosa sul vostro secondo album, Lady In Gold. Quali sono le maggiori differenze rispetto al primo disco? E quali sono invece le caratteristiche che avete voluto mantenere nel vostro suono?

La band è cresciuta molto, grazie ai molti tour che abbiamo fatto in questi anni e a tutte le esperienze che abbiamo accumulato. Penso che il primo disco fosse più direttamente rock e blues, mentre in questo, pur mantenendo salde quelle radici, il suono si sia ampliato, ci sono influenze diverse, ad esempio c’è più soul. Ci sono anche degli strumenti che non avevamo utilizzato nel primo disco: ci sono più tastiere, c’è il wurlitzer, ci sono il pianoforte, l’organo e il mellotron. Ecco cosa intendo quando parlo di ampliamento: ci sono più elementi rispetto al primo album, aggiunti a quelli che già erano presenti.

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Il disco uscirà, come il primo, per la Nuclear Blast, che è un’etichetta che solitamente si occupa di musica molto più pesante della vostra, ad esempio Slayer e Carcass. Come siete entrati in contatto con loro?

Gli abbiamo semplicemente mandato una mail dicendo “vorremo firmare con voi, ecco un video”. Ci hanno risposto dicendo che erano interessati e quali erano i nostri piani. Noi gli abbiamo detto che volevamo far uscire un disco, quindi abbiamo iniziato a parlarne. Ci siamo incontrati in Germania a un concerto che era una specie di showcase per la Nuclear Blast: delle 20 persone nel pubblico, 15 erano dell’etichetta. Il nostro show gli è piaciuto, si sono convinti definitivamente e ci hanno detto subito di continuare a fare quello che stavamo facendo, di non cercare di diventare altro per essere più vicini al loro solito suono. Ci hanno detto che avrebbero fatto uscire l’album e che l’avrebbero promosso nel modo giusto. È stato bellissimo ricevere un supporto del genere anche se l’etichetta è più legata al metal.

Il produttore, Don Alsterberg, non è cambiato tra primo e secondo disco. Come l’avete scelto e cosa vi piace nel suo modo di lavorare, tanto da confermarlo?

Abbiamo sentito parlare di lui per alcune delle sue produzioni, ad esempio i Graveyard. Ora lui vive in Francia, dove suona in alcune grosse band dopo aver suonato anche con gli (International) Noise Conspiracy. Lo abbiamo incontrato per la prima volta a un festival in Portogallo nel 2012 durante il nostro primo tour, era il concerto di cui mandammo il video alla Nuclear Blast tra l’altro, quindi aver suonato lì ci ha aiutato molto. Comunque ai tempi non avevamo soldi, non potevamo permetterci di affittare uno studio e di registrare alcunché. Quando poi abbiamo avuto il contratto con la Nuclear Blast abbiamo deciso di lavorare con Don ed è andata veramente bene già col primo disco. Mentre lavoravamo al primo parlavamo già del secondo però, di cosa avremmo voluto fare e di quale direzione avremmo voluto prendere. Quindi già un paio di mesi dopo l’uscita del primo disco eravamo già in studio per lavorare al successivo. Don è sempre presente e coinvolto in tutte le fasi della registrazione: dal posizionamento dei microfoni alle scelte degli arrangiamenti, dalla registrazione vera e propria fino al missaggio.

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Il cambio del batterista invece come ha influito sul vostro suono e sul vostro modo di lavorare?

André Kvarnström ha iniziato a suonare con noi nel 2014, quindi ormai fa parte della band da un po’ di tempo. Posso dire che siamo stati fortunati ad avere con noi due grandi batteristi, prima Cory, che è veramente un ottimo musicista, anche come chitarrista e songwriter, e poi André, anche lui fantastico. Amo il suono della batteria in questo disco, perché non si tira mai indietro, puoi sempre sentire l’intensità. La batteria è molto importante nella musica rock o rock-blues come nel nostro caso, i batteristi sono una parte basilare della band. André poi fa quello che deve fare, non inserisce pezzi di bravura per far vedere le sue capacità, ma lavora per la canzone e per la band. A volte ci chiedono quanto lavoriamo sulle parti di batteria e devo dire che ci lavoriamo poco e siamo molto tranquilli, perché André riesce sempre a suonare la cosa giusta subito. Quindi è bello averlo con noi, ci è stato molto utile e la sua batteria è una parte importante e che mi piace molto del disco.

Puoi dirci qualcosa anche sulla copertina del disco, che è molto particolare e retrò, come quella del primo album?

L’autrice è Marijke Koger-Dunham, che ha disegnato anche le copertine del primo e del live album. La differenza è che quelli erano suoi disegni degli anni Sessanta, che noi abbiamo scelto all’interno della sua produzione e che lei ci ha gentilmente concesso. Questo disegno invece in originale era in bianco e nero, così le abbiamo chiesto se potesse colorarlo apposta per noi. Lei ha accettato e il risultato è eccellente, mi piace tantissimo la copertina. Sono contento che abbiamo avuto la possibilità di lavorare con lei e di avere delle copertine che combaciassero con la musica che proponiamo all’interno dei dischi. Vogliamo che sia tutto perfetto, non solo la musica ma l’intero artwork.

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Come lavorate solitamente sulle vostre canzoni? Partite da un riff, dal testo?

Ogni volta è differente. Tra primo e secondo album il modo di lavorare è stato diverso, perché il primo disco è stato scritto soprattutto da Zach ed Elin, che hanno sviluppato la maggior parte delle idee per le canzoni e hanno scritto i testi assieme. Anche in questo disco i testi sono stati fatti da loro, però siamo andati in studio senza canzoni complete e già pronte per la registrazione, quindi le abbiamo costruite tutti assieme dalle fondamenta. È stato un ottimo modo per coinvolgere tutti. Quindi ogni brano ha avuto un’origine diversa: ad esempio I Felt A Change è stata scritta da Elin da sola, mentre Little Boy Preacher è nata come una jam, abbiamo semplicemente iniziato a suonarla senza avere idee precedenti, senza un riff da sviluppare. André ha iniziato con quel beat e noi lo abbiamo seguito improvvisando, anche Elin ha creato al momento la linea vocale, con Don che dietro le macchine mandava la voce in delay. Quando abbiamo riascoltato la registrazione ci siamo esaltati! Poi abbiamo riarrangiato la canzone, ma buona parte era già lì. Un altro esempio diverso è Burned Out, in quel caso avevamo il ritmo iniziale pensato da André e da lì abbiamo costruito il resto lavorandoci un po’; Gone So Long invece è una melodia che è venuta in mente a Elin sotto la doccia, è uscita subita per registrarla col suo smartphone e poi ce l’ha fatta ascoltare, ci è piaciuta e abbiamo costruito la canzone partendo da quella.

Invece cosa puoi dirci di Lady In Gold? Mi piace molto il lavoro del piano in quel pezzo…

Quella canzone è nata come una cosa diversa, poi tramite diversi passaggi è diventata la Lady In Gold che puoi sentire ora. L’idea originaria l’ha avuta Elin e riguardava la melodia delle strofe, poi l’abbiamo mescolata con un’altra idea dell’intera band, una delle prime idee in assoluto che avevamo in mente dagli inizi. Quando ci abbiamo lavorato non avevamo idea di come sarebbe stato il risultato. Poi Elin era seduta al piano e ha tirato fuori questo riff ritmico e ci abbiamo costruito attorno tutta la canzone, unendo ad esso le idee precedenti.

Per quanto riguarda invece la cover di Elements And Things, come l’avete scelta e come ci avete lavorato?

Elin conosceva la canzone e un po’ tutti conoscevamo Tony Joe White, anche se non avevamo approfondito molto la sua discografia. Don ha molti dischi nel suo studio e uno di questi era quello che ha come traccia iniziale Elements And Things, …Continued. Mi ricordo che ascoltammo quel pezzo già durante le registrazioni del primo disco e lo trovammo veramente forte, quindi ci siamo trovati a ripensarci mentre registravamo il secondo. Abbiamo iniziato a suonarla e a jammarci sopra durante i live, ottenendo grandi reazioni da parte di tutti, sia l’etichetta che il pubblico che veniva a vederci. Ci pregavano quasi di metterla sul secondo disco.

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Quindi avete dovuto accontentarli…

Sì, ma è stato un vero piacere, ci siamo divertiti a registrarla. Penso che tra l’altro si adatti al mood del resto del disco. L’abbiamo fatta nostra suonandola molto dal vivo.

Cosa dobbiamo aspettarci dal tour che passerà anche da Milano in autunno?

Penso che sarà un grande tour. Sono molto felice perché avremo la possibilità di girare con i Kadavar, che sono una grande band oltre a essere nostri amici. Penso che daremo molto al pubblico, sarà un grande show fin dall’apertura e poi con noi. Suoneremo molti pezzi del nuovo disco, con naturalmente anche qualche pezzo vecchio. Sono sicuro che anche i Kadavar faranno grandi cose.

Come ci si trova ad essere un musicista in Svezia?

Sicuramente bene! Non credo di poter dire nulla di negativo sul fatto di essere un musicista in Svezia. Sono un ragazzo francese che fa il musicista e che vive in Svezia da ormai quattro anni; in questo periodo ho conosciuto tantissimi musicisti eccezionali e molti artisti in generale. Succedono molte cose buone, forse perché è un paese molto pacifico. Posso dire di trarre ispirazione dai musicisti che incontro, ovunque vai trovi qualcuno che suona e con cui inizi a jammare. È un grande paese per la musica ed è stato ottimo per noi e per la nostra crescita.

Blues Pills, Lady in gold – video ufficiale

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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