mercoledì, Dicembre 18, 2024

Calvino – Elefanti e cantautorato, l’intervista

Nel tuo ultimo lavoro, Gli Elefanti, quanto devi ad artisti come Pink Floyd e Battiato? Anche i National possono essere considerati un gruppo di riferimento per te?

I Pink Floyd sicuramente, sopratutto per quanto riguarda la scrittura, per le immagini e le visioni che ho creato che rimandano molto al loro immaginario, che è poi parte degli 70. Insistevo sempre col batterista quando registravamo perché gli chiedevo i fill alla Pink Floyd nei pezzi. E poi Battiato si, ci piace per come scrive e per i suoni che ha usato. Quindi si, indovinati entrambi questi riferimenti!
Per i National meno, magari qualcosa, ma non è stato un gruppo che abbiamo ricercato.

Nella title track dici che gli elefanti sono grossi come autobus ma fanno acrobazie sui fili dei pensieri… Questi animali per te  sono forse una metafora di leggerezza e di fuga dalla pesantezza della metropoli milanese? Perché li hai scelti come titolo dell’album?

Gli elefanti per me sono come delle preoccupazioni, dei pensieri pesanti che ad un tratto diventano insopportabili. Sono così opprimenti che ad un tratto si trasformano e diventano il loro contrario, diventano leggeri, e invadono il mondo esterno, viaggiano sulle tangenziali, fanno un sacco di cose. Gli elefanti esprimono questo, quel momento in cui uno scoppia e non ce la fa più a sopportare le circostanze. Alla fine si impazzisce e si vedono 120 elefanti… Alcuni sono i miei parenti altri no…

Come lavori in genere alla scrittura di un pezzo? Raccontami ad esempio come è nato Gli Astronauti…

Dipende molto dai pezzi. Alcuni pezzi sono nati da un tema che ho suonato di getto al piano a cui poi ho aggiunto una melodia e un testo, in questo caso il pezzo ha preso senso da solo… Altre volte mi venivano in mente le frasi e la melodia e me le appuntavo. Gli Astronauti ad esempio è nato in un momento in cui ero in un’area cani con quello della mia ex (ride n.d.a). Mi è venuto in mente il ritornello che ho registrato subito sul telefono e poi successivamente mi sono appuntato le parole che mi venivano in mente. Quando sono tornato a casa ho aggiunto gli accordi di piano che ci sentivo. Il pezzo però era già scritto, è stato strano.

Ginevra. Bellissimo pezzo a metà tra Gary Newman e Chris Isaak. Sembra la descrizione di un amore immaginario, dove Artù non è più un eroe, anzi un anti eroe sconfitto. È questo che vuoi comunicare?

Si Chris Isaak, me lo dicono sempre! Artù è uno che se ne frega. Diciamo che il tentativo di capire quello che stavo dicendo è arrivato dopo (ride n.d.a.) Ginevra è un pezzo che ho scritto di notte. Mi rimanda molto all’infanzia, è un messaggio d’amore per Ginevra, un amore che però non si capisce se c’è o non c’è. Artù è quindi un nemico in questo pezzo, è per questo che viene percepito come un anti eroe. E’ il marito di Ginevra e a me sta antipatico! (ride n.d.a.)

In questo periodo di recupero del passato musicale, come cantautore, ti senti più legato agli anni 70 o agli anni 80? Secondo la tua personale esperienza come deve comunicare un cantautore al giorno d’oggi?

Non mi viene da fare una distinzione tra anni 70 e 80, mi sento legato ad entrambi i decenni, a Dalla a De Gregori. Mi sembra che adesso la sfida sia andare oltre il cantautorato come si conosceva una volta, cosa che per me è come riscoprire il vero cantautorato, anche se quando sento la parola mi immagino qualcosa in cui si scrive, in cui non si seguono le influenze della musica estera (cosa che invece in passato accadeva). Adesso questo mondo dei cantautori è come un universo chiuso, e anche un po’ snaturato. Andrebbe riqualificato. I cantautori di una volta erano quelli che avevano alle spalle tutta la generazione del “bel canto”, il modo in cui cantavano era fuori dagli schemi per quanto riguarda gli anni di rifeimento, perché era considerato non professionale. Adesso secondo me ci sono dei cantautori che rompono con la tradizione, per esempio Truppi, Io sono un cane, stanno davvero rompendo alcuni schemi. Il cantautorato non ti offre questa idea, perché gli artisti che ho citato, potresti forse chiamarli sperimentali da un certo punto di vista. Per quanto mi riguarda invece, sono proprio loro che stanno formulando gli elementi per un nuovo cantautorato

Stai lavorando a nuovo materiale? Su cosa ti focalizzerai?

Si certo, questa estate la sto passando a scrivere. Adesso ho trovato la band, prima ero sempre da solo, suonavo con altri ragazzi, ma con questi con cui sono ora mi sembra di aver raggiunto un punto di arrivo, per cui mi piacerebbe poter registrare con loro. Non so ancora bene come usciranno i pezzi, non so ancora come saranno arrangiati, vediamo anche gli input che assimilerò nel nuovo scambio creativo con loro.

Virginia Villo Monteverdi
Virginia Villo Monteverdi
Laureata in Storia dell’Arte medievale e seriamente dipendente dalla musica Virginia è una pisana mezzosangue nata nel 1990. Iniziata dal padre ai classici rock ha dedicato la sua adolescenza a conoscere la storia della musica. Suona e canta in un gruppo, ama fare video, foto e ricerche artistiche e ogni tanto cura delle mostre d’arte contemporanea.

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