Giovanni Tomaselli collabora da molto tempo con Cesare Basile e il frutto di questo sodalizio è maturato con i suoi due ultimi video girati per il musicista Catanese. “Cincu Pammi” coglieva alcuni momenti della paranza rutata nei gesti e nei rituali del suo principale divulgatore, il Maestro Alfio Di Bella. Cirasa di Jinnaru è un lavoro ancora più misterioso e mantiene gli elementi di una ritualità violentissima, affrontando il “formato” videoclip con un coraggio davvero raro. La storia è tra le immagini e questo consente a Tomaselli di sottrarla, eroderla con un procedimento ellittico che va nella direzione opposta rispetto ai video narrativi tradizionali preoccupati di definire linearmente una storia irrimediabilmente “muta”.
Cirasa di Jinnaru, al contrario, dialoga con la musica attraverso il segno e trova una nuova, sorprendente via.
Note di regia:
“Cirasa di Jinnaru suona come una canzone d’amore quasi sussurrata, ma nasconde un’anima cupa, inquietante, che emerge gradualmente dopo ogni ascolto. La lingua siciliana e un testo piuttosto criptico contribuiscono ad alimentare questa sensazione. Volevamo che il video mantenesse l’ambiguità del brano, senza fornire possibili interpretazioni o spiegazioni e cercando anzi di aggiungere nuove possibilità, ulteriori elementi e dubbi. Non ci interessava mettere in scena una storiella che ricalcasse in qualche modo il testo, con il rischio di limitare il potere evocativo della canzone e racchiuderlo in una narrazione convenzionale e didascalica. Abbiamo invece cercato di creare un mosaico di immagini che possedessero una loro forza intrinseca, che provocassero delle sensazioni in chi guarda, a prescindere dal loro insieme. Poi ognuno può vederci quello che vuole, può interpretarle a modo suo, dargli il senso che preferisce, non trovarci proprio nessun senso, provare fastidio e persino annoiarsi”
Cesare Basile – Cirasa di Jinnaru – Dir: Giovanni Tomaselli (Cinepila)
Cirasa di Jinnaru, l’intervista a Cesare Basile e Giovanni Tomaselli
Cesare, Cirasa di Jinnaru mi sembra che trattenga il mistero dei tuoi testi, tra asperità e dolcezza. È un rituale apotropaico che invece di cacciare i demoni, li accoglie. Da dove nasce e proviene?
Cesare Basile: Questa canzone è un abbraccio fatto di rabbia, non contempla dolcezza ma quella difficile vicinanza che vorresti avere col dolore di un altro.
Quanto il gesto descritto, fino al punto di scarnificare la parola dall’orpello dell’autorialità, è una lotta per te?
Cesare Basile: Mi interessa raccontare le cose, non spiegarle, lasciare che le parole e la musica si rendano fatto, gesto, avvenimento, cercando di non spingere sul filtro che, inevitabilmente, viene dall’esserne narratore.
Come hai collaborato con Cinepila e Giovanni per la realizzazione del video, hai discusso alcune idee e hai partecipato in qualche modo alla lavorazione?
Cesare Basile: Credo che il video abbia diritto a una sua totale autonomia, che sia un registro in più nella messa in scena della storia. Mi piace fare due chiacchiere veloci con chi lo realizzerà e poi andare a bere una birra e aspettare che sia finito. Con Giovanni e Cinepila va sempre così
E quando hai visto il risultato finale, cosa hai pensato?
Cesare Basile: Sembra che i ragazzi si siano divertiti molto. Ho pensato proprio questo.
Giovanni, Cinepila, sin dal 2014, quando il collettivo ha pubblicato ‘Mattatoio’ per i Bestiame, è la sigla che raccoglie i tuoi lavori condivisi con il direttore della fotografia Premananda Das e con Rosario Adonia, il cui ruolo cambia, dalla produzione, all’aiuto regia, fino alla scrittura. Ci racconti la storia del collettivo, dalle origini fino alla configurazione attuale e come mai avete deciso di chiamarlo con questo nome?
Giovanni Tomaselli: Ci siamo conosciuti sui set del cinema indipendente e dei video a Catania. Il resto è avvenuto in maniera piuttosto spontanea. Abbiamo semplicemente iniziato a lavorare sempre più spesso insieme, anche se all’inizio non c’era la sensazione né l’idea di essere un collettivo. Erano sempre situazioni molto differenti, con diverse persone che andavano e venivano. Non c’era una direzione ben precisa e credo che questo si noti anche dalla grande eterogeneità dei nostri primi lavori. Quando abbiamo capito che noi tre c’eravamo sempre e che guardavamo nella stessa direzione, abbiamo deciso di mettere tutto più a fuoco e siamo diventati Cinepila, che non vuol dire niente in particolare ma ha diversi significati nascosti che solo noi conosciamo. Il prossimo passo è crescere in ambito produttivo e inglobare in Cinepila un ventaglio più ampio di progetti.
Come e quando avete incontrato Cesare Basile?
Giovanni Tomaselli: Ho conosciuto Cesare durante l’esperienza de L’Arsenale, di cui facevamo entrambi parte. Tra meeting, concerti, occupazioni varie, vacanze e tour condivisi, siamo diventati anche grandi amici. Poi è arrivato il Teatro Coppola, di cui fanno parte anche Premananda e Rosario.
Che tipo di collaborazione creativa avete sviluppato con lui, considerato che sembra assumere le caratteristiche di un sodalizio artistico?
Giovanni Tomaselli: Cesare ha sempre avuto grande fiducia nel mio lavoro, non mi ha mai posto dei paletti e non ha mai cercato di condizionarmi. La nostra collaborazione è sempre stata molto pratica e spontanea, mai troppo ragionata. Magari lui registrava un disco e io passavo in sala, bevevo una birra con la band e facevo due riprese. E da questo tipo di situazioni, non programmate, venivano fuori dei lavori e delle idee per altri lavori. Poi con Cinepila e i due videoclip dell’ultimo album, tutto ha preso una piega più organizzata e professionale, ma mantenendo lo stesso spirito. È un caso più unico che raro nel mondo della musica, almeno nella mia esperienza, dove i committenti tendono troppo spesso a pretendere un controllo artistico eccessivo sui video ed esercitare molte pressioni, che spesso finiscono per rovinare tutto.
Cesare, mi pare ci sia un aspetto ritualistico nelle storie di ‘U fujutu su nesci chi fa?’ te lo dico al livello piú istintivo di ascoltatore. Non è solo la parola, ma anche il suono e la tua voce, tanto che la prima è parte del secondo e della terza in uno scambio continuo di priorità. Questo accade proprio quando si smette di considerare la lingua che utilizzi come una scelta territoriale e ci si fa scalfire da essa senza chiedersi sino in fondo cosa vuol dire. Per me è un misto di familiarità ed estraneità, conosciuto e mistero. Come la dimensione ormai persa dei riti. Se cerco di capirla la perdo, se mi abbandono talvolta la afferro. Cosa ne pensi e soprattutto dove è arrivata per te, la ricerca?
Cesare Basile: Mi interessa una lingua che è fatta di pietra, ferro, legno, una lingua materica, concreta, che porta nel suono delle sue parole, di ogni parola, l’inizio e la fine della storia che racconta. Una lingua che muore e rinasce continuamente, che, a dispetto della sua antichità, si trasforma continuamente, che si fa tradizione in quanto determina sempre un nuovo cominciamento. Una lingua del genere non può non essere rituale e non può concedere spiegazioni. E questo è il punto della mia ricerca, esteso a tutto ciò che ritengo opportuno utilizzare come strumento di creazione artistica.
Cantautore so che è una definizione che non ti piace. Soprattutto, immagino, per le caratteristiche che ha assunto, in fondo da sempre uno standard della comunicazione di regime. Cantastorie ti piace?
Cesare Basile: Cantautore suona come un elettrodomestico, Cantastorie come una montagna.
Cosa ti piace invece dei videoclip e cosa invece non ti piace, ovvero quando è che li riconosci vicini al tuo modo?
Cesare Basile: Non mi interessano particolarmente, li trovo didascalici nella maggior parte dei casi, incapaci di suggerire uno sguardo emancipato rispetto alla canzone.
Giovanni, Nei tuoi video apparentemente confezionati con intenzioni piú ‘pop’ emergeva sempre un ‘interferenza nel sistema’ quasi sempre determinata dallo svelamento di un meccanismo. In altri termini, il contrasto tra ritualità e realtà, tanto da confondere la provenienza di entrambe. Nei video girati per Cesare Basile, soprattutto gli ultimi due, Cincu Pammi e questo Cirasa di Jinnaru, questo contrasto esplode in una forma esteticamente più rigorosa, pura e chiara, ma allo stesso tempo perde i contorni della decifrabilità immediata. Oltre a dirci cosa ne pensi e se queste sono effettivamente le intenzioni, ci racconti come hai lavorato ai due video per mantenere mistero e immediatezza, flagranza e poesia allo stesso livello, in relazione ai testi e alla musica di Cesare fino alla scrittura, alla messa in scena e alla post produzione?
Giovanni Tomaselli: Sì è vero, ho sempre avuto un’ossessione per lo svelamento del meccanismo che sta dietro la comunicazione audio-visiva. Quindici anni fa registravo i programmi per famiglie del sabato pomeriggio e poi li rimontavo, zoomando le immagini, rallentandole o accelerandole in maniera esagerata, inserendo effetti e suoni inquietanti, fino a ottenere dei piccoli film horror. Mi piace soprattutto la deriva ironico/grottesca di queste sperimentazioni. Penso ci sia dell’ironia in tutti i nostri video, anche quando non sembra. Anche in Cincu Pammi e in Cirasa. Ironia intesa, nella sua accezione più classica, come dissimulazione. Entrambi i video, come la maggior parte dei nostri lavori, nascono da un’idea che poi cerchiamo di sviluppare insieme. Nel caso di Cirasa, un’immagine che Rosario aveva in mente ascoltando il brano. Non lavoriamo mai per singole sequenze, analizzando i testi. Non ci mettiamo e pensare a una successione di belle scene che funzionino tra loro. Non ci interessa questo tipo di lavoro. Ci piace pensare che dietro il video ci sia sempre un’idea, una tesi di fondo, e poi cerchiamo di trovare un modo per metterla in scena. Spesso eliminiamo grandi parti di girato o modifichiamo totalmente il soggetto in fase di montaggio. Non è una questione di poca organizzazione e mi rendo conto che non è il metodo migliore e nemmeno il più pratico e fruttuoso, ma è l’unico metodo che ci interessa realmente.
Come hai trovato gli attori del video? Ci parli un po’ di loro ?
Giovanni Tomaselli: Con Marco Sciotto e Anna Bellia, ottimi attori ma anche autori e studiosi di teatro, ci conosciamo e collaboriamo dai tempi de L’Arsenale e ora fanno parte anche loro del Teatro Coppola.
Alessandro Caruso, con cui siamo alla seconda collaborazione, è un ballerino e performer dall’incredibile e camaleontica presenza scenica, che abbiamo conosciuto tramite la regista Alessandra Pescetta.
Marta Allegra e Roberta Rotante sono due giovani attrici catanesi che avevamo notato in diverse occasioni e che corrispondevano perfettamente all’idea che avevamo dei personaggi da loro interpretati.
Posso affermare che tutti, comprese le comparse che non nomino, si sono spesi con genuino entusiasmo nel progetto
Quanto l’esperienza del Teatro Coppola, per cui hai realizzato numerosi teaser, ha influenzato le tue immagini, anche in relazione all’aria che si respira e alle tradizioni culturali che si sono avvicendate in alcune delle produzioni collettive?
Giovanni Tomaselli: Il Teatro Coppola ha influenzato soprattutto il mio approccio al lavoro collettivo, che è fondamentale in questo campo. Mi ha insegnato ad ascoltare di più gli altri e mi ha insegnato anche a farmi ascoltare di più. Ho capito una cosa che forse può sembrare banale, ma che non lo era per me: per remare nella stessa direzione non bisogna avere per forza le stesse idee, basta avere gli stessi obiettivi.
Cincu Pammi è probabilmente un mistero solo per chi non conosce o non conosceva l’arte della paranza rutata e Alfio Di Bella, ma mantiene quella straordinaria complessità del gesto che accoglie la natura, la asseconda, la piega modellandola, e poi di nuovo si fa modellare da essa, tanto che il video stesso mi sembra che colga la dimensione piu misteriosa e apotropaica della lotta, in quei gesti del combattente che fendono un’aria densa. Dove finiscono, secondo te, i confini del documentare, come confini di un ‘genere’ che nasce semplicemente dalla scelta di un punto di vista; dove comincia il mistero di un gesto oltre le sue stesse funzioni pratiche?
Giovanni Tomaselli: Io non credo che il documentario sia soltanto la scelta di un punto di vista. Documentare non dovrebbe significare solo accumulare informazioni, ma scavare, spogliare, arrivare all’essenza delle cose, eliminando il superfluo. E per “superfluo” intendo anche la nostra visione condizionata. Quando abbiamo conosciuto il Maestro Di Bella siamo stati investiti dal suo carisma e dalla potenza ancestrale dei suoi gesti. Abbiamo capito che era il caso di metterci un attimo da parte come autori. Abbiamo lavorato per sottrazione. In realtà è un progetto ancora in corso d’opera, di cui il videoclip è solo una piccola parte.
Cesare, il video di cirasa è il piú misterioso tra quelli realizzati per te. Pur non illustrando, la forza di alcune figure, per i colori e la loro definizione in termini descrittivi, fa pensare alle tavole di un cantastorie. È una relazione a cui avete pensato?
Cesare Basile: Come ti dicevo prima non abbiamo pensato a niente. Con Giovanni e la banda di Cinepila ci limitiamo a fare due chiacchiere di avvicinamento, poi ognuno torna sulla sua strada. Mi piace farmi sorprendere da qualcosa di nuovo scorto nel già esistente, o da qualcosa che nell’esistente era nascosto e viene fuori grazie a uno sguardo altro. Paradossalmente è un video molto narrativo, a dispetto dello straniamento cercato da Giovanni.
Giovanni, Cirasa di Jinnaru mi è sembrato ancora piú radicale, misterioso. Il gesto è davvero indecifrabile a meno che non ci si abbandoni ad una dimensione esoterica capace si leggere tra la morte, la vita e la natura. È cosí?
Giovanni Tomaselli: Sì, è un’ottima chiave di lettura. Mi piace pensare che il video ne abbia diverse. Anche se l’idea di fondo è diametralmente opposta a quella di Cinccu Pammi. In questo caso volevamo trasmettere determinate sensazioni a chi ascolta il brano, creare un’atmosfera in cui inserire il racconto di Cesare, senza dare una direzione precisa e senza un collegamento necessariamente logico e razionale con il testo.
Cirasa è un lavoro piú ellittico. La lista dei riferimenti non serve, ne sono consapevole, ma te la faccio solo come forma di auto suggestione, per instaurare un dialogo con quelle immagini e con il processo che ti ha portato ad evocarle, anche in termini di tempi della scrittura, se ti va di raccontarcelo: Robert Bresson, Pasquale Scimeca, Teresa Villaverde….
Giovanni Tomaselli: Sì è un lavoro senza dubbio ellittico, diciamo che l’ellissi è proprio l’idea alla base dell’intero progetto. Non saprei dire quali sono esattamente i nostri riferimenti e penso che non siano necessariamente quelli corretti. È stato un processo di scrittura collettiva. Direi che abbiamo pensato a una storia che provocasse determinate sensazioni e poi abbiamo tolto la storia.
Cesare, I tuoi testi, anche e forse soprattutto quando ci si sforza di non ricorrere all’addomesticamento della traduzione evocano immagini potenti, radicatissime nelle cose e nella materia, vicino alle pietre e alle rughe, alla vita e alla morte, al gesto e alla complessità degli eventi naturali. Soprattutto mi sembra che in questo ultimo lavoro la natura emerga con i suoi suoni, i colori e i contrasti spesso dolorosi , in modo molto piú forte. È cosi?
Cesare Basile: C’è la potenza dello scongiuro, della magia rituale che cerca di opporsi alla violenza, dell’atto individuale che come una maledizione si scaglia contro il potere, c’è la vendetta di fronte a un’ingiustizia, tutto in un’atmosfera quasi soprannaturale, come se il mondo degli offesi fosse frutto di un sortilegio e la trasformazione possa venire solo da un atto definitivo.
Ecco queste immagini forti, spesso oltre il loro significato letterale, tradotte per lo schermo passano in un altra dimensione. Come la accogli o la controlli, insomma ti fidi e affidi a quali condizioni?
Cesare Basile: Pratico il disequilibrio in ogni cosa che faccio, attraverso il disequilibrio un corpo danza e si muove nello spazio come un segno.
Giovanni, un aspetto a cui teniamo molto su indie eye videoclip è il linguaggio, anche come esaurimento o azzeramento delle sue strategie e dei suoi confini imposti. Il videoclip che cos’è, in fondo? Una forma breve come altre? Uno strano ibrido sviluppatosi sin dai tempi della canzone illustrata statunitense, ma oserei dire sin da quelli del cantastorie popolare? Un’occasione per mostrare ‘scemi che si muovono’ tra ‘fumi e raggi laser’? L’imitazione del musical ridotto in scala? Il cinema muto parodiato per l’ormai vecchissima era catodica? Ecco, cos’è per te, te lo chiedo perchè mi sembra che Cirasa raggiunga un livello altissimo, una forma tutta sua, un connubio tra suoni, liriche e sintesi figurativa che risiede nel modo in cui includi, ma sopratutto escludi dentro i confini dell’inquadratura…
Giovanni Tomaselli: Io credo che il videoclip, quando possibile, dovrebbe sempre essere un’opera che aggiunge qualcosa alla musica, che amplia i confini di una canzone, che estende l’universo dei sui possibili significati. Rappresenta il frutto della collaborazione tra due forme espressive e, in un mondo ideale, nessuna delle due dovrebbe prevaricare sull’altra, a prescindere che si tratti di un video narrativo, di una performance o di un playback. Quando è possibile, noi cerchiamo sempre di muoverci in questa direzione. Ma è un caso più unico che raro, perché poi bisogna fare i conti con il mercato, con le richieste dei vari committenti, con il budget e con tutti gli ostacoli del caso.
Dopo questo video cosa farai? Credo sia impossibile tornare indietro…
Giovanni Tomaselli: Tornare indietro mai. Provare strade nuove sempre. Preferisco un video non riuscito, persino brutto, ma che abbia dietro un’idea, un tentativo fallito di sperimentazione, di ricerca, piuttosto che trovare un metodo sicuro e applicarlo in maniera meccanica. Più che altro perché mi annoierei da morire.
Cinepila esiste perché ho trovato altre persone che la pensano in questo modo.
Cesare, dall’arte del bastone di Alfio Di Bella e dalla sua scuola, cosa hai imparato e appreso?
Cesare Basile: Che un’azione, di qualsiasi tipo, ha la sua riuscita se è preparata con movimento lento e conclusa con una scelta improvvisa, una trasformazione che neanche tu avevi contemplato.
Cesare Basile in tour
Cesare Basile parteciperà alla prossima edizione del Primavera Sound di Barcellona, anche quest’anno con una lineup di altissimo livello ( Arctic Monkeys, Björk, Nick Cave and The Bad Seeds, The National, Lorde, Migos, A$AP Rocky e Jane Birkin i nomi principali). Gli organizzatori del festival, letteralmente stregati dal sound di Basile, hanno voluto fortemente la sua presenza. Alla data del Primavera, che saà il 1 Giugno 2018, ne verranno legate altre che vedranno Cesare Basile e I Caminanti in tour europeo nei giorni precedenti e susseguenti a quello della sua partecipazione al festival.
Queste per ora le prossime date Italiane confermate (in solo: chitarra e voce)
4 aprile – Cosenza – Offen
7 aprile – Genazzano – Saltatempo
8 aprile – San Ginesio – Teatro
10 aprile – Roma – Na Cosetta
14 aprile – Verona – Cohen
18 aprile – Padova – Sherwood Open Live
19 aprile – Torino – Blah Blah
20 aprile – Asti – Diavolo Rosso
Cirasa di Jinnaru – Crediti
regia – montaggio: Giovanni Tomaselli
d.o.p.: Premananda Das
produzione – aiuto regia: Rosario Samuel Adonia
1st AC: Paolo Catalano
2nd AC: Marco Stancampiano
gaffer: Francesco Carbonaro
best boy: Luca Giannone
probs – make-up – costumi: Laura La Rosa, Elena Majorana, Vittoria Majorana
lettering: Roberta Incatasciato
soggetto: Cinepila (da un’idea di Rosario Samuel Adonia)
prodotto da: Cinepila e Urtovox
supporto tecnico: Studi Cinematografici Siciliani
con
Marta Allegra
Alessandro Caruso
Giuseppe Caruso
Marco Sciotto
Roberta Rotante
Anna Bellia
Paolo Catalano
Elena Majorana
Vittoria Majorana
Laura La Rosa
Luca Giannone
grazie a
Paolo Naselli Flores
Famiglia Majorana
Umberto Amato
Brunalba Carpignani Panebianco
Nanni Mascena
Francesco Tagliavia
Cirasa Di Jinnaru
è tratta dall’album di Cesare Basile
” U fujutu su nesci chi fa?”
edito da Urtovox rec
Catania 2018