giovedì, Novembre 21, 2024

Cesare Basile – Tu prenditi l’amore che vuoi e non chiederlo più: la recensione

L’ultimo album di Cesare Basile comincia con un riferimento ad Orazio Strano, padre dei cantastorie siciliani morto nel 1981 a 77 anni. Paralitico, regalava racconti di vita quotidiana nella Sicilia del secondo dopoguerra, spostandosi sulla sua sedia a rotelle e legandosi alle storie della gente umile. Quella destinata da Basile al musicista di Riposto non è semplice dedica, ma una dichiarazione di poetica; la tavola del cantastorie issata davanti al pubblico mentre passano in rassegna i volti della gente che il poeta vuol cantare a gola piena, proprio quelli di carne e sangue che completano il racconto di “Tu prenditi l’amore che vuoi e non chiederlo più“.

È un avvio che ci ricorda un’immagine, quella introduttiva di “Placido Rizzotto“, il film diretto nel 2000 da Pasquale Scimeca e dedicato al sindacalista di Corleone ucciso nel ’48 da Cosa Nostra; Scimeca metteva in scena un teatro di derelitti con quello stile che ricordava l’Opera dei Pupi e le ballate dei cantastorie, perché come ricordava il regista di Aliminusa, “La microstoria contiene (e racconta) la Storia“.

È una frase che si adatta benissimo al lavoro di Cesare Basile, interessato agli episodi minimi, non certo in senso aneddotico, ma con quello spirito documentale che delineava l’universalità dei fatti contenuti in “Conversazione in Sicilia” di Elio Vittorini, sospesi a metà tra caratteri unici radicati alla terra e la trasfigurazione di questo “mondo offeso” nell’immagine di tutti i perseguitati.

I volti e il paesaggio allora, sono quelli del travestito Francesco Grasso e del quartiere catanese di San Berillo (Franchina); l’arte dei Fratelli Napoli, Pupari palermitani, titolari dell’antica arte dei Manianti; Jacob il ladro, forse il marsigliese che rubava ai ricchi per finanziare il movimento anarchico francese, e ancora il debito, la colpa, il calvario di chi non può pagarsi la giornata, il potere che inaridisce la terra e scortica l’anima, il lavoro che la succhia, la pace a usura che alleva miseria e sviluppa la guerra.

Rispetto al nichilismo del cantautorato contemporaneo, Basile è fieramente inattuale, dove con inattualità vorremmo indicare una feroce r-esistenza, grido di vita che ne rivendica il diritto contro la morte che ci circonda, esattamente come nell’Opera dei Pupi, la cui drammaturgia inscena quasi sempre una contesa tra morte e luce, lotta per sopravvivere descritta attraverso figure archetipiche ma con un ampio margine per la libertà improvvisativa.

Così ci cammina e ci combatte la musica di Basile, con quello sguardo amorevole rivolto verso il blues radicale e la musica del deserto, suoni rielaborati nello spazio apolide della cultura locale, un crogiuolo vitalissimo di suoni, sinestesie tra musica e rumori della terra, spirito originario e allo stesso tempo originale, vera e propria forza di uno stile unico e riconoscibile, dove non c’è più spazio per la citazione, perché tutto è continua trasfigurazione.

Basta pensare alla copertina del disco, con un rosario agganciato ad una fionda come se fosse sasso da lanciare, così da rovesciarne il significato dogmatico e rinnovare quella coincidenza tra preghiera e invettiva, ricordando in parte alcuni personaggi dell’America di Faulkner con la pistola in una mano e la Bibbia nell’altra, ma da una prospettiva che sostituisce le pallottole con il sangue, la violenza con un grido di sofferenza.

La lingua, nel nuovo disco di Cesare Basile, è quella arcaica che ritrova nel fonema una densità materica fuori dalle convenzioni della letteratura ufficiale, dove le parole diventano potenti, terribili, mostruose; grumi di carne e sangue improvvisamente scorticate, ossi di pruno, come canta Basile in Ciuri.

Ed è allora parola che può raccontare il lavoro, descritto dal cantautore siciliano sin dal titolo, dove l’amore offerto non può lasciare lo strascico di alcun contratto; al contrario, lo chiamano lavoro e tutto ciò che distribuisce (U chiamunu travagghiu).
Anche la nota di copertina, che arriva come un fendente, è assolutamente connessa con questo mondo creativo, ci riferiamo alla scelta di slegarsi da SIAE, indicando che la società di collecting non ricaverà alcun euro da questo disco, posizione che non ci siamo mai sottratti dal documentare, ma che qui assume un senso ancor più radicale e radicato al mondo narrativo di Basile, nel senso di una riappropriazione di responsabilità del proprio prodotto, filosofia che sta alla base del progetto “Dischi della Fionda“, attraverso il quale un consorzio di musicisti siciliani, tra cui Basile stesso, darà vita ai propri lavori, privilegiando il Vinile come supporto.

Tu prenditi l’amore che vuoi e non chiederlo più” è un lavoro che si rivolge a chi ascolta da più angolature e se la parola “capolavoro” indica ancora quello spazio, vivo, occupato da un’opera capace di connettere il racconto all’urgenza feroce di vita, la dimensione arcaica e fuori dal tempo di questo, coincide.

Cesare Basile porta dal vivo i brani del suo ultimo album; il tour è cominciato due giorni fa, il 25 marzo, proprio dal Teatro Coppola di Catania, per proseguire il giorno successivo al Retronouveu di Messina. Stasera, 27 marzo 2015, è al Nuovo Cinema Palazzo, presso la sala Vittorio Arrigoni, a Roma, mentre il 28 di Marzo è a Macerata, al teatro Leopardi di San Ginesio.
Il 29 Marzo sarà sulle colline fiorentine, a Settignano, presso la casa del popolo, nello spazio Love You Live curato da Mauro Antonelli e il 2 aprile al Birrificio Citabiunda di Neive in provincia di Cuneo. Il 3 Aprile Basile sarà ospitato dall’auditorium di Radio Popolare a Milano e il 4 al Beautiful Loser di Genova. Il 9 suonerà a Bologna allo spazio TPO per tornare a Milano il 10 presso Ohibò e il giorno successivo, l’11 Aprile, allo Spazio Mavv di Vittorio Veneto in provincia di Treviso.

Ad accompagnarlo i Caminanti, costituiti da Rodrigo D’Erasmo, Enrico Gabrielli, Massimo Ferrarotto (percussioni) Luca Recchia (basso) e Simona Norato, musicista palermitana che accompagnerà Basile alle tastiere e che da poco ha pubblicato l’album “La fine del mondo“, prodotto dallo stesso Basile, e che aprirà tutte le date del cantautore siciliano.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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