domenica, Dicembre 22, 2024

Cesare Malfatti – Una città esposta: l’intervista

Volenti o nolenti, nel 2015 tutti noi abbiamo avuto a che fare con Expo, bombardati mediaticamente da ogni parte riguardo a quanto accadeva a Milano e a Rho Fiera. Cesare Malfatti ha invece avuto l’intuizione di sfruttare il momento per diventare protagonista di qualcosa di bello e di artisticamente appagante, sia per lui che per chi lo ascolta. Il suo Una città esposta, uscito proprio nei mesi di Expo, è infatti un disco legato a doppio filo all’Esposizione Universale e al clima propositivo creatosi a Milano intorno all’evento: le canzoni dell’album sono infatti collegate ad una serie di opere d’arte, sei di queste vengono osservate come icone della città e della manifestazione, e di tutti quei luoghi, più o meno conosciuti, che ci gravitano intorno.

Per i testi, tutti di ottimo spessore, Cesare si è avvalso della collaborazione di alcuni degli autori migliori della scena italiana, da Francesco Bianconi a Paolo Benvegnù passando per Luca Morino, testi che sono poi andati a combinarsi con le musiche dello stesso Cesare, che si sta imponendo sempre più come creatore di melodie e suoni che innalzano il pop a un livello di altissima qualità.

Abbiamo incontrato Cesare per saperne di più sulla genesi del disco e in generale sulla sua carriera solista, finora breve ma già densa di belle cose e di soddisfazioni. Ecco cosa ci ha detto il musicista milanese.

cesare-malfatti-una-citta-esposta

La prima domanda riguarda la genesi di Una città esposta: da dove è arrivata l’idea iniziale legata a sei opere d’arte e all’Expo? E come è stata poi sviluppata con il coinvolgimento degli autori?

La primissima idea viene da Alessandro Cremonesi, il terzo La Crus, stava lavorando con il Comune di Milano per trovare un filo rosso che legasse i sei mesi dell’Expo a sei opere fondamentali per la città di Milano e che dovevano ancora essere selezionate. Sono state poi scelte da Alessandro assieme all’assessore Filippo Del Corno, dopodiché Alessandro si è inventato questo slogan “Milano A Place To Be” e ha trovato sei nomi in inglese che iniziassero con “BE” e che fossero rappresentativi del connubio mese-opera d’arte. Quindi “beginning” per il mese iniziale dell’Expo con Il quarto stato e via di seguito. Quando ho intercettato l’idea ho proposto ad Alessandro un progetto. Io avevo tanto materiale compositivo, molte canzoni e ho chiesto ad Alessandro di provare a comporre sei testi su altrettante idee musicali che gli avrei dato. Questo è stato l’inizio, ed è stato molto tempo fa, quasi un anno prima dell’inizio dell’Expo. Alessandro l’ha un po’ presa sottogamba e ha lasciato andare un po’ la cosa. Dopo un po’ gli ho chiesto il permesso di parlarne ad altri autori. Ne ho coinvolti tanti, ma il primo che ha fatto partire tutto è stato Francesco Bianconi, che subito ha scelto due icone, L’ultima cena e Concetto spaziale, e in pochissimo tempo, circa due settimane, mi ha mandato due testi. Con quei due testi sono andato da Paolo Benvegnù e anche lui ne ha scritti altri due.  A quel punto sono ritornato da Alessandro facendogli vedere che avevo ottenuto qualcosa, così anche lui ha scritto un testo. Mancava l’ultimo, che era La pietà Rondanini, e l’ha ideato Luca Morino. Avevo già altri autori in ballo e pensavo quindi di ampliare la cosa per riuscire a fare un disco oltre il confine delle sei canzoni delimitato dall’Ep. Ho detto a questi autori di trovare altre cose caratteristiche di Milano, mentre ho indicato personalmente alcune che ritenevo interessanti per farci delle canzoni, ad esempio Il dito di Maurizio Cattelan. Quindi ho collezionato altri due brani da Luca Lezziero, poi da Gianluca Massaroni, Vincenzo Costantino Cinaski, Luca Gemma. Il tutto  è diventato un lavoro di tredici canzoni.

Cesare Malfatti Concetto Spaziale al Museo del 900

Com’è stato suonare davanti alle opere d’arte?

Nel momento in cui sono tornato da Alessandro e dall’assessore dicendo che ero riuscito a fare un disco partendo dalla loro idea ho aggiunto che mi sarebbe piaciuto fare la prima esecuzione davanti alle opere per creare dei video, del tutto semplici e con la sola esecuzione live. Il quarto stato è stato bello e complicato perché non avevo ancora idea di come realizzarlo tecnicamente, da quel momento in poi ci ho preso un la mano. Abbiamo avuto un intoppo per i due brani che coinvolgevano la Pinacoteca di Brera, cioè Lo sposalizio della Vergine e Il bacio di Hayez, eravamo molto vicini ad ottenere il permesso e invece due giorni prima ci è stato detto che il Comune di Milano doveva pagare dei soldi perché la Pinacoteca non è comunale ma statale, un problema simile a quello per L’ultima cena. Inoltre in quel periodo la Pinacoteca era senza direttore, mentre adesso è in carica James Bradburne, che pare sia più aperto verso questo tipo di cose. Al netto di questi episodi, è stata un’esperienza bella ed emozionante, tra le più forti sicuramente quella che ha coinvolto La pietà Rondanini. È stato bello trovarsi in questi ambiti senza il pubblico, mentre altre volte, ad esempio con Concetto Spaziale, abbiamo registrato con il pubblico presente. Noi eseguivamo il brano sei-sette volte e poi sceglievamo l’esecuzione migliore; alla fine diventava quasi un concerto con la gente presente, mentre ci ascoltava e alla fine applaudiva.

Cesare Malfatti #UnaCittàEsposta #IlBacio XstudioSession

Prima hai citato tutti gli autori che hanno scritto per questo disco: com’è stato lavorare con penne così diverse tra loro per poi ottenere un risultato così coerente al suo interno?

La coerenza è dovuta molto agli arrangiamenti, è una mano unica che riesce a uniformare tutto. È stato molto difficile per loro secondo me, perché è difficile parlare di certe opere e inventarsi modi diversi di osservarle. Per esempio il testo di Paolo Benvegnù su Il quarto stato è molto interessante, perché analizza il quadro, ma da un punto di vista diverso. Ci sono tanti modi di affrontare queste opere. È stata una bella esperienza e anche la prima occasione che mi ha consentito di raccogliere brani con testi realizzati da artisti come lo stesso Benvegnù o come Francesco Bianconi che negli anni sono diventati nomi importanti della musica italiana.

In quasi tutti i brani alla fine si parla più o meno direttamente di Milano. Qual è il tuo rapporto con la città? E lavorare al disco ti ha fatto cambiare punto di vista sulla stessa?

Certamente è stata un’esperienza che mi ha consentito di osservare Milano, in un periodo che è stato particolarissimo per la città, perché ha portato tanta gente costringendo il Comune e una serie di imprenditori a muoversi diversamente in senso creativo, per sfruttare questa grande affluenza. Quindi la città si è certamente rivitalizzata tanto, ci sono stati tantissimi eventi e io stesso, per il fatto che dovevo fare questo disco, mi sono interessato maggiormente all’osservazione di certe caratteristiche della città, l’ho girata anche molto di più, per esempio mi sono divertito a fare tanti video per le opere esterne, al di fuori delle sei più importanti relative al progetto. Ho scoperto anche che nei musei ormai ti lasciano libero di realizzare video e mi sono divertito abbinando l’esecuzione live ufficiale del pezzo ad alcuni video un po’ assurdi fatti da me; li trovi sul mio canale youtube ufficiale. Ad esempio per Lo sposalizio della Vergine ho incontrato una persona che spiegava il quadro ai suoi amici, oppure per Il quarto stato mi è capitata una scolaresca che piano piano andava a coprire tutto il quadro, legandosi involontariamente anche al testo della canzone. Sicuramente mi ha fatto piacere essere a Milano e potermi vivere questo bel periodo della città;  molte cose sono rimaste, ed è altrettanto incredibile quante cose siano cambiate già a pochi giorni dalla  fine dell’Expo, ad esempio la Darsena adesso è completamente diversa.

Cesare Malfatti #IlQuartoStato #UnaCittàEsposta Audio Ufficiale

In Cascina Campazzo vengono citati i Gufi e Giorgio Gaber, alfieri della musica milanese e in milanese. Quella musica ha avuto un ruolo nella tua formazione musicale?

A dir la verità, non tanto. Nella fase La Crus era più Mauro Ermanno Giovanardi che conosceva queste cose. In quel contesto sono citati da chi ha scritto il testo, che è Gianluca Massaroni, quindi è una citazione sua, ma più ancora è una citazione del protagonista della canzone, questo ragazzo che ha dovuto abbandonare gli studi di ingegneria per vincere la battaglia con i Ligresti che cercavano di mandare via lui e la sua famiglia dalla Cascina. Nei fatti non lo so se ascoltasse veramente quegli artisti o se andasse davvero al Santa Tecla, è più un pretesto per descrivere un mondo e una storia.

Che ruolo ha questo disco all’interno della tua carriera solista? È da considerarsi come la prosecuzione del discorso cominciato con “La mia distrazione” o è una cosa a parte, considerato che si tratta di un concept realizzato con la prassi dell’instant album?

Musicalmente è uno sviluppo naturale che prosegue il lavoro dei dischi precedenti, un’evoluzione perché è soltanto dal 2011 che ho iniziato a fare queste cose da solo e ad affrontare il canto, aspetto ancora adesso in evoluzione. Avere un concetto da esprimere è stato bello e credo che d’ora in poi quando farò un disco cercherò di partire proprio da un concept che possa spiegare tutto il lavoro complessivo, senza limitarmi alla raccolta delle classiche dieci o dodici canzoni da mettere insieme. È bello avere un filo conduttore che leghi tutti i brani. Spero di avere delle idee altrettanto interessanti come è stato per Una città esposta, perché tutte le volte che andavo in giro a spiegare e a raccontare il progetto, ne erano tutti entusiasti, ad esempio Bianconi è stato tra i primi a dirmi che era una bellissima idea e che anche altre città dovrebbero affrontare un progetto del genere.

E hai mai pensato ad una tua evoluzione come autore di testi, ovvero di scriverli tu?

Quello no, non ancora. È uno scoglio che non riesco a superare. Ho sempre avuto e ho tuttora difficoltà a scrivere, ho proprio difficoltà con la lingua. È così fin dai tempi della scuola, potevo studiare di tutto, ma scrivere temi non era la mia tazza di te, per cui non credo che mi avventurerò in questo. Tra l’altro credo che commissionare testi ad altri autori sia una cosa interessantissima. Anche perché per quanto riguarda strumenti, arrangiamenti, esecuzione, faccio tutto da solo, proprio per questo credo sia importante e piacevole stabilire una relazione collaborativa con altre persone.  Da questo punto di vista continuerò a commissionare testi per la mia musica.

Cesare Malfatti #UnaCittàEsposta #LaPietà (Cisterna a Modica)

Per la tua carriera solista credo si possa tranquillamente parlare di Do It Yourself radicale. Fai praticamente tutto da solo, accollandoti anche la spedizione del disco. Perché questa autonomia totale? 

Quando ho iniziato eravamo già nel pieno della crisi che ha coinvolto la vendita del supporto fisico. Fin da subito volevo inventarmi qualcosa che potesse dare un valore aggiunto all’opera fisica. La cosa che più mi piace nel confezionare i dischi è la possibilità di intestarli alle persone che richiedono l’album, come se il lavoro fosse espressamente fatto per quella persona. Dal mio punto di vista, spero che questa attitudine possa portare le persone ad essere ancora più soddisfatte nel ricevere il supporto fisico, oltre alla musica stessa. La mia speranza è che l’oggetto possa convincerle a spendere qualche euro per avere qualcosa di bello e non il solito CD tutto di plastica.

Una città esposta vivrà anche dopo l’Expo?

Spero di sì. Ho molte difficoltà a suonare dal vivo e mi spiace molto perché l’organico live è molto interessante secondo me, molto di più rispetto a quello che ho fatto da solo finora. Con me c’è Chiara Castello dei 2Pigeons, che ha dato una svolta interessante a livello di suono perché fa tutto con la voce e la loop station, poi c’è Leziero Rescigno alla batteria, mentre io suono tastiera, chitarra e canto, oltre al basso suonato con una pedaliera dell’organo. Riusciamo a essere abbastanza completi in trio, ma è interessante anche la versione in due, condivisa con Chiara. Avrei la possibilità di fare delle cose un po’ sporadiche, sto cercando di capire se sarà possibile condensarle intorno a febbraio-marzo del 2016

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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