[foto di copertina di Shaina Hedlund] – English Version
La prima volta che abbiamo intervistato Chelsea Wolfe era il 2011, quando la musicista americana pubblicava il suo secondo lavoro in termini discografici, ma il primo composto in ordine di tempo, The Grime and the glow, sul quale la Wolfe ci raccontava molto della sua formazione gettando le basi di quel percorso che l’ha portata alla realizzazione dell’imminente Abyss, album che uscirà il prossimo 7 agosto per l’etichetta Losangelina Sargent House.
Come avevamo approfondito durante una seconda intervista concessa dalla Wolfe a indie-eye in occasione di Unknown Rooms e successivamente parlando di Pain is Beauty, la forza sincretica della sua musica si manifestava non solo sul piano della ricerca sonora e letteraria, ma anche nella forma di un gesto “a-temporale” e se si vuole pre-formale di messa al mondo, prassi creativa che rompeva tutte le categorie schematiche a cui si ricorre solitamente in termini critici per razionalizzare un processo evolutivo.
La Wolfe è nata come artista “virale” nel senso più profondo del termine, sfruttando le potenzialità orizzontali della rete e re-inventandosi una mitologia narrativa grazie alla combinazione di tracce che erano sin dall’inizio co-esistenti e in apparente contrasto tra di loro. In questo senso Abyss non tradisce le aspettative, percorrendo un viaggio che scompagina qualsiasi opposizione binaria (estremo/medidativo; mondano/interiore; oscuro/luminoso), portando avanti alcune intuizioni del precedente Pain is Beauty con un procedimento del tutto inclusivo.
Da un certo punto di vista la scelta più evidente è quella di portare in superficie l’impatto industrial/doom come se si trattasse di una scultura metallica impenetrabile, ma incorporando all’interno il folk, l’elettronica intesa come apertura verso un paesaggio interiore e allo stesso tempo la tendenza a liberare il suono in una dimensione acusmatica, aspetto che diventa sempre più chiaro nella musica di Chelsea Wolfe, basta pensare alla stratificazione suono/immagine che un brano come “Carrion flowers” si porta dietro; dall’elegia fino alla rappresentazione di un mondo naturale già tecnologizzato, la cui interpretazione diventa un “punctum” indicibile tra presenza umana e tensione spirituale.
Tutto quello di cui si occupa Chelsea Wolfe, come ci ha raccontato in questa conversazione, rientra in una ciclicità che è fuori dalla concezione usuale del tempo e il viaggio nell’abisso non è assolutamente quello che sembra, tante sono le interpretazioni che confluiscono, dall’inconscio ad una condizione che lo supera per favorirne la percezione cosmica.
Allo stesso tempo, la ricerca della sofferenza, mai fine a se stessa, mantiene un occhio lucido puntato sulla realtà, era così per la storia d’amore di Sunstorm, è così in Iron moon dove la morte di Xu Lizhi, lavoratore cinese nel mostro urbano di Shenzen, di nuovo agli onori delle cronache per il cortocircuito economico di cui è vittima, diventa linfa per una riflessione sull’inferno terreno e una liberazione possibile oltre le utopie socio-economiche, allo stesso modo in cui gli innesti incongrui nei paesaggi in-naturali descritti dalla Wolfe si rivelano come ibridi contradditori e mostruosi, ferite di una wilderness violata.
L’inconscio, a partire dalla lettura di “Ricordi, sogni, riflessioni” di Jung è quindi uno dei tanti elementi da cui la Wolfe è partita per scrivere i brani contenuti in Abyss; come nell’universo lynchiano, si tratta di una dimensione cognitiva “realistica” che: “si avvicina al desiderio per un luogo specifico che risuona con la nostra parte più intima nel momento in cui molti di noi si trovano senza un vero luogo di appartenenza, in molti modi“.
Così la Wolfe ci raccontava Flatlands da vera poetessa dello spossessamento, alla ricerca di un gesto d’amore fuori dal reale-virtuale della vita urbana, così ce lo racconta con Abyss, discesa nell’ade e liberazione.
Ciao Chelsea, ci fa piacere averti nuovamente qui su indie-eye. Prima di cominciare a parlare del tuo nuovo album mi piacerebbe sapere qualcosa su “Carrion Flowers“, l’ultimo video che hai pubblicato. Ho letto che lo hai realizzato personalmente insieme a Ben Chisholm. Dove avete girato?
Grazie a voi per ospitarmi nuovamente. Il video di “Carrion Flowers” è stato realizzato in modo molto naturale. Mentre scrivevo Abyss vivevo in montagna, esattamente tra le alture che alimentano la rete idrica Losangelina e dove tutt’intorno i laghi si stanno completamente essiccando mentre divampano costantemente incendi. È un contrasto flagrante e ci sono molte industrie dall’aspetto imponente addossate sul verde delle montagne.
L’effetto di “grattage” sul tuo corpo e i tuoi occhi chi lo ha realizzato? Mi ha ricordato la sequenza finale di Irma Vep. Il film di Assayas ti ha in qualche modo ispirato?
Esattamente, l’ispirazione diretta è quella di Irma Vep e di un vecchio screen-test di Andy Wharol. Mi piaceva molto la forma incerta del tratto, quasi scarabocchiata e allo stesso tempo frenetica. Come se racchiudesse la capacità di rappresentare un’energia incontenibile che ho cercato di rendere attinente alla nostra personale versione. Per quanto riguarda il lavoro sul video, l’ho diretto insieme a Ben che ha curato anche il montaggio
Carrion Flowers, il video ufficiale
Sempre in relazione alle immagini, chi si è occupato delle foto e dell’artwork per il tuo nuovo album? La fotografia di copertina è uno scatto molto bello e mi ha fatto venire in mentre la “spirit photography” di William Hope…
La copertina, sia quella principale che il retro, è stata in realtà realizzata con tecnica pittorica da Henrik Uldalen, (N.d.a. Henrik Uldalen è un autodidatta, si occupa di pittura figurativa ma trasformata attraverso l’esperienza contemporaneista. Esplora il lato oscuro, l’esistenzialismo, la solitudine e il nichilismo, sovrapponendo immagini di fragile bellezza attraverso elementi surrealisti che sostituisce a quelli narrativi e realisti. Da questa parte il suo sito ufficiale) Henrik è un artista molto giovane e di talento e credo sia completamente autodidatta. Sono entrata in contatto con lui un anno prima rispetto alla realizzazione dell’album ma il suo lavoro era perfetto per i brani che stavo scrivendo e che avrebbero costituito l’ossatura di Abyss. Per questo era arrivato il momento giusto per collaborare insieme. La foto interna è stata scattata dal mio caro amico D.H. Philips, parte dei True Widow. Ci ritrae nello spazio di un nuovo magazzino che lui stesso sta convertendo in un vero e proprio studio d’arte. Se guardi attentamente, puoi scorgere la sua ombra e quella di Ben.
Come hai già avuto modo di raccontare anche attraverso le note stampa dell’album, Abyss è una sorta di viaggio all’interno dell’attività onirica e del proprio subconscio; ci puoi raccontare qualcosa sulle idee principali che hanno ispirato il tuo nuovo lavoro?
Le fonti di ispirazione sono moltissime; uno dei soggetti che per esempio è stato ricorrente è quello del suicidio. Ho letto una storia relativa ad un lavoratore cinese della FoxConn che scriveva poesie splendide (N.D.A. Xu Lizhi morto suicida nel 2014 a soli ventiquattro anni, ha lasciato un corpus di poesie che raccontano le condizioni difficili dei lavoratori cinesi nella città di Shenzen, per un approfondimento consigliamo questo articolo su libcom.org). Si è ucciso perché non riusciva più a sopportare la pesantezza della vita di fabbrica dove si sentiva ormai intrappolato. La sua storia e la sua poesia hanno ispirato i testi di “Iron Moon” (N.d.a. Il primo singolo estratto da Abyss), ma a partire da questo stimolo ho allargato la percezione immaginandomelo nell’oscurità, all’interno di un dormitorio e con la sensazione che le pareti si stessero chiudendo progressivamente, cercando di immaginarmi anche il momento dell’abbandono da quel posto per imboccare la propria strada, e visualizzandolo mentre danzava tra i confini della fabbrica, gettando via l’uniforme da lavoro, e ballando con trasporto. Da sempre cerco di trasformare storie dolorose in qualcosa di più trionfale o che comunque punti verso la speranza. Talvolta mi capita di cedere a questo sentimento, dal momento in cui la disperazione totale è comunque una realtà per alcune persone, e cerco sempre di rappresentarla, come realtà, nella mia musica.
Chelsea Wolfe – iron Moon, audio ufficiale
Parlando di suoni, il mix del tutto particolare tra doom, noise, dark e musica elettronica mi sembra più presente che in passato; Abyss è forse il tuo lavoro più duro di sempre. Per quale motivo hai deciso di espandere questo aspetto della tua musica?
Penso che tutto sia nato da un desiderio di poter avere alcune canzoni adatte ed appaganti per essere interpretate del vivo….canzoni dure. Abbiamo fatto un tour molto lungo prima di Abyss e continueremo a farlo; per questo ho deciso di lavorare su questo aspetto mentre scrivevo l’album.
Ma l’attitudine folk è ancora presente, anche se in modo diverso, come se fosse distorta attraverso una lente. Cosa ne pensi?
Sono d’accordo. È una forma di narrazione, e il mio punto di vista è molto spesso lievemente distorto
In che modo l’esplorazione del subconscio ha influenzato il processo di scrittura? Si è trattato di uno stato di trance? come ascoltatore, la qualità delle tue canzoni mi sembra suggerisca l’idea di un tempo sospeso, un “inland empire” senza entrata e senza uscita…
Credo tu abbia sintetizzato al meglio. Non scrivo attivamente in uno stato di trance, ma lo preferisco e talvolta accade in modo del tutto naturale.
Abysss potrebbe essere immaginato come un viaggio? Ha una fine oppure è ciclico come il ciclo naturale?
Tutto quello che faccio ha una forma ciclica e assolutamente fuori dalla percezione usuale del tempo
Sempre a livello di suoni, come è stato collaborare con un produttore del peso di John Congleton? (n.d.r. già con Xiu Xiu, David Byrne, Marilyn Manson, Modest Mouse, Bono Vox, Swans)
Desideravo realizzare un album che allo stesso tempo fosse intimo e ruvido, il tutto attraverso suoni durissimi. Da questo punto di vista credo che la band che mi ha seguita, combinata con la produzione di John mi abbia consentito di raggiungere un vero e proprio livello di armonia
Nelle note stampa ti riferisci all’idea di imperfezione per come l’ha pensata lo stilista Yohji Yamamoto. Quanto la sua esperienza visuale è stata importanta per il suono di Abyss?
Sono una grande fan di Yohji Yamamoto e il mio lavoro riflette molto la sua concezione e il suo approccio alla creatività
E Carl Gustav Jung?
Leggevo il suo libro “Ricordi, sogni, riflessioni” e mi sono imbattuta in un sogno specifico che lui descrive nella prima riga con “Poi mi abbandonai….” (N.d.a. sogno del 12 dicembre 1913: “Ero seduto alla scrivania, meditando ancora una volta sui miei timori. Poi mi abbandonai. Improvvisamente fu come se il terreno sprofondasse, nel vero senso della parola, sotto i miei piedi, e precipitassi in una profondità oscura….”) quella citazione mi ha colpito molto in modo visuale. Un vero e proprio catalizzatore per cominciare a scrivere solo dal momento in cui sarei stata capace di lasciarmi andare per confrontarmi con quelle cose che non avevo avuto ancora il coraggio di affrontare o che avevo represso per molto tempo. Ne è risultata un’emozione intensa e una grande onestà che in qualche modo ho tradotto nelle nuove canzoni.
In “Grey days” c’è un suono, come un flauto di pan, che mi ha ricordato la tradizione mediorientale, tutto questo mentre il drumming segue un incedere dalla qualità quasi militare. “Grey Days” sono l’inferno sulla terra?
“Grey Days” rappresenta molte cose, tutte diverse. Prima di tutto qualcosa che stai trattenendo, internamente ed esternamente, qualcosa che ha creato dipendenza, come una droga, ma che è del tutto nociva per te al punto da desiderarne la rimozione e da generare una battaglia interiore. C’è un movimento intenzionale all’interno del brano…sono affascinata dalla propulsione: la corsa, i treni sui binari, il decollo di un aereo. In “After the fall” per esempio, ho inserito il campionamento di un aereo durante il decollo.
A proposito di “After the Fall” è uno dei miei brani preferiti del tuo nuovo album e mi pare che abbia un ruolo centrale; musicalmente e suppongo anche tematicamente….
È la canzone più semplice dal punto di vista dei testi. È una semplice canzone d’amore ambientata in un mondo o se vuoi in un paesaggio distopico. Racconta di quando ci si sente intrappolati in un sogno o in una situazione, mentre si cerca di trovare la via per ricongiungersi con la persona che ami.
La title track è invece il brano più atonale dell’intera tracklist. Anche quello più bilanciato tra astrazione ed espressionismo, penso alla coda stessa. L’abisso è qualcosa che non è possibile raccontare con il linguaggio descrittivo?
L’abisso è qualcosa che viene esplorato in modalità differenti all’interno dell’album. La parola stessa e la sua definizione mi hanno ispirato in molti modi: un abisso può essere rappresentato come uno spazio senza fine, il caos primigenio prima della creazione, un vuoto che si confonde con la vastità. Lo immagino sia in termini interiori che esteriori; l’universo è un abisso infinito. L’ultima canzone dell’album l’ho scritta tenendo presente di non abbandonarmi totalmente all’oscurità che esploro dentro di me.
Come porterai le nuove canzoni sul palco?
Chitarre durissime, bassline durissima, Juno ai samples e Dylan alla batteria.
Tornerai in Italia?
Lo spero davvero, nel 2016. Sto ancora programmando
Chelsea Wolfe – Abyss – Album trailer