Dieci inquadrature. La decima come lungo piano sequenza. Un furgone viene inseguito da una moto della stradale. Dal retro del VW Bus sbuca un fucile. Esplode un colpo; il poliziotto viene preso in pieno petto. Cade a terra. La moto prosegue lanciata lungo la highway che taglia la Monument Valley. Fine corsa. Il corpo di Robert Blake senza vita, abbandonato sull’asfalto, lordo di sangue. La macchina da presa si allontana da lui con un lungo piano sequenza allineato al viaggio del furgone. La musica attacca. La voce è quella Terry Kath.
“Tell Me” fu incisa da uno dei fondatori storici dei Chicago appositamente per il film di James William Guercio “Electra Glide In Blue“, sguardo rovesciato e complementare rispetto a quello di “Easy Rider” sulla fine del sogno americano, sulle controculture, sull’America con entrambi i piedi dentro la guerra del Vietnam. Realizzato a brevissima distanza dallo scandalo Watergate e dal massacro della Kent State, è tra quei film statunitensi degli anni settanta che rappresenta meglio l’insorgere delle tensioni sociali e politiche del nuovo decennio, tra pulsioni opposte e irrisolte, mentre introduce, tra altri e numerosi aspetti, la disintegrazione dell’individuo, reduce da un recente passato bellico.
Guercio, session man dalla metà dei sessanta, produttore per band come Blood, Sweat & Tears e per il poeta di strada Moondog, contribuì moltissimo alla prima fase creativa dei Chicago, presenti quasi al completo nel suo film, con ruoli e incidenze diverse.
Per “Electra Glide in Blue”, si priva quasi completamente del budget a lui destinato per avere a bordo Conrad L. Hall, grande direttore della fotografia che aveva già lavorato con registi come John Boorman, Richard Brooks, Stuart Rosemberg e George Roy Hill e che solo un anno prima aveva contribuito ai colori marci e decadenti per “Fat City” di John Huston. Sarà proprio Hall a creargli i problemi maggiori e a causare un risultato discontinuo, con gli interni affidati allo strapagato direttore e gli esterni girati dallo stesso Guercio, mentre pensava al cinema di John Ford.
Guercio produce l’intera colonna sonora e compone gran parte dei brani, ad eccezione di “Most of All” eseguita dai The Marcells, “Free From the devil” di Alan De Carlo, “Song of Sad Bottles” e “Meadow Mountain Top” di Mark Spolestra.
“Tell Me” è sua ed è un’intensa ballad con fortissimi accenti soul che ben si adattavano alla voce di Terry Kath, in qualche modo e soprattutto in quegli anni, debitrice della lezione di Ray Charles.
Il pastiche geniale che Kath aveva sperimentato con “Chicago Transit Authority”, fondendo elementi Jazz, influenze Hendrixiane e magniloquenza pop declinata con mezzi e intenzioni orchestrali, si affievolisce fino a scomparire completamente tra il ’74 e il ’76, anno che sancirà il definitivo assestamento dei Chicago con le idee e il pop radiofonico di Peter Cetera.
La colonna sonora di “Electra Glide in Blue” trattiene le idee migliori, concentrando country ballads, soul, funk e pop orchestrale. Il film, in questo senso, ha una brillante anima musicale che emerge proprio nel rapporto con le immagini, spesso ricondotte nello spazio alieno del dettaglio, del ritmo interrotto, di improvvise sintesi ipertrofiche, come tutta la sequenza iniziale, oppure nell’apertura di estreme dilatazioni.
Il gioco che vogliamo introdurre con “Cineclip” è la ricontestualizzazione di una sequenza come possibilità di aprirla ad ulteriori segni, più o meno sviluppati, più o meno lanciati verso di noi. Spunti per un “video-clip” possibile, proprio nella direzione del neologismo che lo intende come frammento o insieme di frammenti. Dal cinema ai nuovi schermi.
La sequenza conclusiva di “Electra Glide In Blue” ci è sembrata ricca di potenzialità. L’aspetto più evidente è l’aderenza del brano cantato da Terry Kath alle immagini. Aderenza in termini di durata, ritmo, movimento, senso. Isolata dalla drammaturgia del film di Guercio e dalle motivazioni di John Wintergreen (William Blake), ci colloca sullo stesso piano degli hippies a bordo del Volkswagen e per un momento al livello della canna del fucile. Un gioco possibile nella frammentazione “unruly” dei media ricombinati su Youtube e sulle piattaforme di condivisione.
Ecco che il sogno svanito, così come la descrizione di un pianeta diventato ormai inospitale e senza orizzonte, descritto da liriche nient’affatto didascaliche, risuona con il travelling all’indietro di una falsa soggettiva che potrebbe essere alternativamente attribuita a chi ha sparato, al furgone stesso come marcatore temporale, all’idea di un paesaggio che si svuota progressivamente della presenza umana, come le città costrette ad adottare misure estreme nei giorni dell’emergenza epidemiologica COVID-19.
Tell me about the sun / Tell me about the rain / Tell me about the fields / Tell me about the plains / Will they come again, I don’t know / Will they ever come again, I don’t know / God above, is there not anything that we might do / To try and make this world of ours a better place for me and you?
In quello sparo, nel colpo che sfonda il torace a John Wintergreen, in quella moto che gira a vuoto prima di schiantarsi c’è tutta l’ambiguità di un gesto di liberazione prima ancora che la brutalità del reale lasci spazio al controcanto poetico. Libertà dall’abuso, per chi ha visto il film comunque flagrante, pur nella tragicità asincrona dei due gesti contrapposti, quelli dell’hippie e del poliziotto. Libertà di fuggire dalle parole d’ordine, dai confini forzati. Libertà di fuga verso un nuovo orizzonte.
Di quella tensione, di quella dialettica aspra e ancora possibile, cosa ci è rimasto nei mesi dell’ubbidienza senza domande?
Electra Glide In Blue, Tell Me: sequenza conclusiva. / Cineclip #1