È uscito il 31 ottobre scorso il disco d’esordio dei Circo Boia, al secolo Erika Fassari (chitarra, voce) e Joey Chiarello (basso, backing vocals), incendiario duo da Grosseto veicolato dall’ottima Dischi Bervisti, della cui gloriosa storia ci ha recentemente parlato Federico Fragasso, in una lunga conversazione podcast con Nicola Manzan e Bolognaviolenta. Tra i Cure, la tendenza più lercia dei Boss Hog, Pj Harvey, i Clash, “Circoboia“, l’album, è prodotto da Gian Maria Accusani (Sick Tamburo, Prozac+) ed è veicolato dal bel videoclip di “I Think You’re right”, in esclusiva lancio su Indie-eye e raccontato direttamente da Joey Chiarello con un’intervista che trovate direttamente sotto la clip
I Circo Boia si esibiranno live alla Flog di Firenze a fianco dei mitici Fuzztones il prossimo 18 novembre
Circo Boia – I Think You’re right – Dir: Circoboia
Dove è stato realizzato il video: location, ambientazione?
Il video è stato realizzato a Grosseto, la nostra città, nel parcheggio sotterraneo di un centro commerciale. Inizialmente avevamo pensato a qualche capannone industriale per poter gestire al meglio la fotografia e non rinunciare al contesto urbano, poi per questioni di budget ci siamo messi in cerca di qualcosa di libero accesso e, per noi, suggestivo. A conti fatti ci è andata benissimo e ci piacerebbe sfruttare la location per altri progetti.
Potete raccontarci il concept del video?
Il concept di questo video è raccontare attraverso il movimento, i contrasti cromatici e l’accostamento insolito tra ambientazione e soggetto, l’essenza della canzone stessa, sottolineando perciò un testo che esplode confessando un conflitto interiore e l’ostinazione nel volerlo spingere finché “lo sbagliato” non sembrerà “giusto”.
Da un lato possiamo vedere la parte innocente, sognante, affiancata da due bambine fantastiche, Emma (9 anni) e Linda (11 anni) che cogliamo l’occasione di ringraziare nuovamente per l’impegno e la serietà con cui hanno collaborato alla realizzazione del video.
In opposizione troviamo una figura minacciosa (Helga), vestita di nero e oro, armata di spada e che si presenta affiancata da due figure adulte (Antonella e Isa), che con malizia si mostrano e si nascondono dietro a veli e ventagli. La figura in nero acquista più presenza nello special parlato, un tributo al film “Nightmare on Elm Street” di cui riproponiamo, appunto, la famosa filastrocca per rafforzare l’idea di incubo. E’ proprio questa ad essere la figura chiave, il nostro lato oscuro ed è soltanto quando riusciamo ad accettarlo e parallelamente a perdonare la nostra parte ingenua che la spada, la passione che spesso spaventa, si trasforma in una chitarra.
Il brano si chiude con la frase “E morirò presto se non ti avrò indietro” come a ribadire che non possiamo esistere pienamente finché reprimiamo ciò che temiamo di noi stessi.
Di chi è lo script e la sceneggiatura?
Nostra, teniamo molto a gestire personalmente ogni lato della comunicazione audiovisiva.
Chi si è occupato della realizzazione tecnica?
Per quanto riguarda le riprese video abbiamo collaborato con dei ragazzi amiatini, Gaia Magnani, Gabriele Monaci e Lorenzo Gonnelli, mentre alla direzione della fotografia e al montaggio abbiamo pensato noi.
Le coreografie sono state scritte da noi con il prezioso aiuto di Isabella Maione, insegnante di danze orientali che compare anche all’interno del video.
Alla freddezza urbana di un film di John Carpenter si oppone il calore dei corpi e le movenze di una danza mediorientale, come mai?
Tutto ha inizio in un luogo che ormai non esiste più: la videoteca.
La videoteca era il luogo dove fin da bambini, attraverso la potenza delle locandine e delle pareti di videocassette, si veniva suggestionati e si cominciava a viaggiare con la fantasia creando i propri mondi interiori.
Ogni bambino, secondo i propri gusti, era attratto da una parete in particolare e per noi, “la calamita”, era ovviamente la parete degli horror.
A livello di tematiche e ambientazioni per noi è inevitabile precipitare in atmosfere tetre con sfumature di poetica horror ed il parallelismo con Carpenter ci onora.
Inoltre Erika studia danze orientali e già durante la registrazione dell’album ci intratteneva ironicamente con improvvisazioni di danza del ventre ad ogni ascolto dei brani. Le danze orientali attuano un’alternanza di seduzione, gioco e imperscrutabilità risultando molto intense, ma al di fuori del loro contesto nativo possono assumere, contrariamente, un’accezione sdrammatizzante, soprattutto su una canzone come “I think you’re right” che tratta con tono scanzonato quei blocchi interiori con cui ogni persona si auto limita, spesso intrappolandosi in circoli viziosi di autocommiserazione.
Il video rappresenta due tipi di femminilità e di sensualità. Sono in opposizione o si integrano?
Ovviamente accadono entrambe le cose, la dualità è l’essenza di tutto ed ogni cosa materiale, così come ogni sentimento intangibile, hanno bisogno del loro opposto per esistere in quanto soltanto gli opposti possono provare le esistenze reciproche attraverso la nascita dell’Unico in cui gli opposti stessi coabitano ed equilibrano il proprio ruolo.
Cosa ne pensate dei musicisti che realizzano i propri video. Nella lunga e quotidiana documentazione che abbiamo fatto e facciamo in relazione ai video prodotti in Italia e all’estero la dimensione creativa del musicista si fonde sempre più con quella del creativo a tutto tondo, un aspetto impensabile qualche decennio fa o comunque molto raro. Cosa determina secondo voi e soprattutto nel vostro caso, questa necessità di fondere più specificità?
Fino a qualche decennio fa era impensabile anche andare in studio di registrazione ad incidere un disco vero e proprio, poi sono diminuiti gli investimenti necessari per la realizzazioni di prodotti professionali o semi-professionali e la politica del “Do It Yourself” ha potuto uscire dal livello amatoriale dei registratori a 4 piste nella cantina dell’amico.
La tecnologia perennemente in corsa, infine, ha fatto il resto, da una parte offrendo elevate qualità e disponibilità di apparecchiature, dall’altra saturando il mercato audiovisivo al punto di “legittimare” la divulgazione di qualsiasi cosa, nel bene e nel male.
Nel nostro caso la necessità di fondere più specificità viene dal bisogno di gestire direttamente i propri contenuti per potersi raccontare al meglio.
Questo primo video è stato il nostro “varo” e stiamo già lavorando a nuovo materiale.