Che ci fanno insieme Jessica Lurie, Henkjaap Beeuwkes, Eusebio Martinelli, Dipak Raji, Malik Ousmane, Rocco Favi, Ahmad Oumar, Danny Ray Barragan, Simone Sabini e il compianto Enrico Fontanelli? Formano un collettivo nel vero senso del termine che da diverse latitudini contribuisce a creare un metissage tra folk, musica popolare, jazz non riconciliato, esperienza sciamanica e ritualistica e l’incedere delle marching bands. Un progetto che si muove tra le Americhe e il sud del mondo in una forma che a tratti ricorda l’esperienza etno musicale di Sun City Girls ma anche la potenza ritualistica degli Old Time Relijun, senza per questo aderire, come nel caso di Arrington de Dionyso ad un’estetica marcatamente punk/no wave, ma casomai integrando anche quegli elementi in una tendenza free-form che non rinuncia all’urgenza popolare del ritmo. Anticipato dal singolo Federation tunisienne de footbal girato dal grande animatore Gianluigi Toccafondo, che ha disegnato a mano tutti e 5000 i fotogrammi della clip come nel suo stile, C’mon Tigre è un progetto in continuo movimento, ma che trova un’incredibile coerenza e coesione nello spazio di tredici tracce ispiratissime. Il marocco di Rabat allora si racconta attraverso la steel drum di Malik Ousmane, ma viene contaminato da un blues astrale con la slide che attraversa tutto il brano come fosse la voce umana di un theremin, mentre l’ibrido tra Jazz e rock della già citata Federation tunisienne de football, integra ritmi mediorientali con i fiati di un soul paesano, una sintesi apolide che punta al disorientamento in tutto il lavoro dei C’mon Tigre, come nella splendida A World of Wonder, dove i synth di Enrico Fontanelli tracciano lo sfondo di una cupissima drone music mentre la sezione ritmica affidata al synth bass e alle pelli di Danny Ray Barragan sembrano sintetizzare molte tradizioni africane in una forma liberissima. La stessa che consente di creare un interludio magico nella title track di tutto il progetto, concepita per voce, drum machine e tromba. La forma R&B e innodica di December, è un gospel corrotto, mentre Commute, il brano più lungo e complesso di tutto l’album, passa dai toni di un blues malatissimo e Waitsiano ad aperture più soulful per approdare ad una forma astrale e visionaria memore dei brani più espansi di Sun Ra. Il blues è ancora alla base di Life as preeneed tuxedo Jacket, ma con i fiati che ricordano quelli delle wedding band del Rajastan, tra india e America del sud il brano sembra quasi descrivere l’incedere sacro di un fiume che tutto avvolge, distrugge e purifica. Potremmo continuare all’infinito, ma ciò che conta è che C’mon Tigre è davvero uno degli esperimenti più stimolanti intorno alla musica etnica, popolare e folk proprio per la sua natura contaminata e sfuggente, si prenda ad esempio quello che accade spesso quando da latitudini completamente aliene si affronta la musica dei balcani; il risultato è spesso quello di una banalizzazione turistica degli elementi in campo. Ecco confrontate i molti esempi di maniera che ripetono un modello come quello citato con l’ultima traccia di C’mon Tigre, la sorprendente Malta (The Bird and the bear), dove le influenze slave si confondono con quelle mediorientali e con un soul popolaresco, transnazionale e incollocabile; splendido.