Negli anni ottanta, agli albori di quello che poi venne chiamato, e che qualcuno chiama tutt’ora, rock indipendente italiano, si muovevano tutta una serie di band di ventenni di belle speranze, che spesso duravano lo spazio di un singolo o poco più. Tra queste, e precisamente a Milano, c’erano i Colour Moves, formati da Sergio “Saccingo” Tanara, Luca Cajelli, Daniele Gavino Mura, Marco Magistrali e Giorgio Ciccarelli, che riuscirono a far uscire tra il 1986 e il 1987 un 7” con sul lato A Trees e sul lato B Over Falling Skies e a comparire in un paio di compilation, tra cui una di tributo a Andy Warhol con la cover di Venus In Furs.
Poi, come accadde a molte altre band coeve, il quintetto si divise e ognuno prese la sua strada. Nel caso dei Colour Moves la carriera musicale più gloriosa è stata sicuramente quella del chitarrista Giorgio Ciccarelli, che dopo una breve militanza nei Carnival Of Fools assieme anche a Marco Magistrali, fondò i Sux! ed entrò poi al posto del dimissionario Xabier Iriondo negli Afterhours, dove ha militato fino allo scorso autunno prima di un addio non privo di polemiche.
Poco prima del suddetto addio Giorgio si è ritrovato con i vecchi compagni dell’avventura Colour Moves, con l’eccezione di Magistrali sostituito alle tastiere da Michele Scurti, per riannodare i fili della storia della band dopo quasi trent’anni, incidendo una serie di brani scritti proprio nel biennio 1986-87 e mai registrate. Questi brani formano ora il primo disco di A Loose End, in uscita in questi giorni per la berlinese Interbang Records, mentre sul secondo album è possibile trovare la rimasterizzazione dei brani effettivamente usciti ai tempi, con l’aggiunta di una nuova versione di Cloudlike, mixata da Stefano Mariani.
Tra i brani dei due dischi la maggior differenza risiede nella perizia strumentale e legata agli arrangiamenti che si riscontra nei “nuovi” brani, anche se per volontà filologica e perché si tratta pur sempre di brani scritti allora si è rimasti ben legati al suono new wave anni ottanta figlio dei Joy Division. Al posto di un certo calligrafismo e di una ingenuità legata alla giovane età dei pezzi 1986-87, infatti ora si nota una maggior capacità di far emergere la personalità dei musicisti e di costruire un suono più compatto ed efficace, memore anche delle lezioni di recupero del post-punk fatte da Interpol e compagni negli ultimi anni.
Un esperimento interessante quindi quello dei Colour Moves, una sorta di macchina del tempo musicale che viaggia avanti e indietro tra gli anni ottanta e oggi, tra giri di basso incombenti e chitarre affilate, alla ricerca del tempo perduto o forse di un futuro da scrivere.