domenica, Dicembre 22, 2024

Corteccia – Il ritorno dei viaggiatori: l’intervista a Pietro Puccio, i migliori del 2021 #6

"Il ritorno dei viaggiatori" viene inserito dalla redazione di indie-eye nel percorso dei dieci migliori video italiani del 2021 che stiamo sdipanando con pazienza e amore. Pubblicato il settembre scorso è una mutazione paesaggistica realizzata attraverso il medium pittorico, lo stop motion e alcune incursioni digitali. La degradazione del paesaggio è al centro di una morfologia dell'immagine che si dibatte tra interno esterno, tanto da rendere ciò che conosciamo come un'esperienza nuova e irriconoscibile.

Torniamo a parlare di Corteccia, dopo averli ospitati per la prima volta nel 2017 con il video di Su una rivoluzione e più recentemente con qauello di Vorrei. Pietro Puccio e Simone Pirovano abitano un progetto proteiforme che è impossibile scindere e considerare per segmenti. L’elemento visuale è parte integrante del loro lavoro non solo per formazione e background, ma soprattutto per sinergie. “Quadrilogia delle distanze” è un EP destinato a veder la luce nel 2022 e che viene diffuso, singolo dopo singolo, attraverso una serie di Videoclip. Il ritorno dei viaggiatori è il primo dei quattro, mentre il recentissimo Mai è a tutt’oggi il terzo.
Stati d’animo, contrasti, vicinanze, distanze attraverso il dialogo tra ricerca armonica e visuale.
Rispetto al contesto tradizionale del videoclip, dove le forme della committenza sono ancorate ad una tradizione destinata a morire, Puccio e Pirovano definiscono l’area visuale come un vero e proprio strumento e procedono per sconfinamenti: video arte, live drawings, sinestesie mai monodirezionate tra musica e immagine.

Il formato videoclip, inteso in termini di durata è quello, cambia o comunque si riferisce ad un’altra storia per quanto riguarda la dimensione ritmica e la posizione rispetto alla musica. Non è ancillare né rappresenta un veicolo promozionale, ma una combinazione di elementi espressivi che convergono, insieme alla musica, su una tela ogni volta bianca. Pari livello e soprattutto, quando l’uno eccede l’altra, la dinamica è quella della trasformazione.

L’esperienza di Pietro Puccio è alla base di questi stimoli. Nato a Silkeborg in Danimarka, nel 1975, studia a Milano dove vive e lavora. Insegna disegno e illustrazione presso la Nuova Accademia di Belle Arti di Milano e la sua ricerca spazia in vari campi che dalla pittura procedono verso l’happening e l’installazione. Come illustratore collabora con numerose case editrici, mentre in termini di ascolti si è formato con il Jazz, la Bossa e acquisendo nozioni di melodia e armonia grazie anche all’esperienza paterna come sassofonista.
Tutti questi elementi concorrono a formare un territorio possibile che con Corteccia entra dentro la storia del video musicale per aprirne l’involucro e scompaginarne i risultati.
Il progetto ci ha emozionato molto e consente di far emergere una storia del videoclip ancora da scrivere e che parte dai misconosciuti esperimenti con i software della Quantel (Adrian Belew) ed emerge di tanto in tanto ad anticipare tendenze o a sovvertire le attese di un formato nato per ragioni promozionali (da Ribczynski a Tee Ken Ng).

Il ritorno dei viaggiatori” viene inserito dalla redazione di indie-eye nel percorso dei dieci migliori video italiani del 2021 che stiamo sdipanando con pazienza e amore (un po’ il contrario delle playlist usa e getta). Pubblicato il settembre scorso è una mutazione paesaggistica realizzata attraverso il medium pittorico, lo stop motion e alcune incursioni digitali. La degradazione del paesaggio è al centro di una morfologia dell’immagine che si dibatte tra interno esterno, tanto da rendere ciò che conosciamo come un’esperienza nuova e irriconoscibile.

Nato con l’esigenza di rompere l’isolamento di questi due anni con il desiderio di tornare a muoversi è in effetti un video di rimarginazione continua. Rimarginazione come tentativo di curare una ferita ma anche inteso nel senso di una nuova estensione rispetto ai confini e ai formati conosciuti. Un nuovo margine anche per la videomusica quindi, sempre più vicina ad uno strumento che esce dalla dimensione frontale e scopica, entra nei live e diventa materia da plasmare.

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Corteccia, il ritorno dei viaggiatori, il videoclip di Pietro Puccio

Materia, processo, performance. L’intervista a Pietro Puccio

Pietro Puccio nasce a Silkeborg (DK) nel 1975. Studia a Milano, dove attualmente vive e lavora.

È insegnante di disegno e illustrazione presso Naba (Nuova Accademia di Belle Arti di Milano). Attivo nell’ambito delle arti visive (attraverso una ricerca artistica che spazia dal disegno alla pittura, dall’installazione all’happening), e in quello dell’illustrazione, collabora con diverse case editrici italiane.

Ha passato l’infanzia ascoltando la musica che in famiglia si spandeva dal giradischi Technics, principalmente il jazz di Stan Getz, Jerry Mulligan, Paul Desmond e la prima Bossa Nova (il padre è sassofonista), allenandosi inconsapevolmente al senso della melodia e dell’armonia. Ha sempre disegnato ascoltando musica, o viceversa (dai classici anni 60 che lo appassionano alle sperimentazioni più contemporanee); questo lo ha portato a collaborare anche con musicisti classici, producendo live drawings in teatro e proiezioni. Ha unito il senso lirico che da sempre lo accompagna, alla passione per la ritmica, cantando e suonando contemporaneamente la batteria fin da adolescente.
http://www.pietropuccio.it/index.php

Prima di entrare nello specifico, ovvero prima di parlare de “Il ritorno dei viaggiatori”, vorrei chiederti di raccontare il progetto Corteccia nel suo insieme. Questo perché ha una dimensione pluridisciplinare abbastanza rara che in qualche modo coinvolge numerosi livelli e un vero e proprio crocevia delle arti….

Sì, Corteccia è principalmente un progetto musicale in cui due autori scrivono, registrano e suonano le proprie canzoni, ma tutt’attorno, o anche attraverso e sopra e sotto, questo lavoro è pervaso di visioni che prendono forma in tanti modi. Il più evidente è quello dei videoclip, che sono una necessità sia di comunicazione che espressiva, dove abbiamo la possibilità di approcciarci all’arte in modo particolarmente libero e multiforme, accompagnati anche dal nostro suono e dai testi che già di per sé sono dei mondi visivi. Anche le piccole cose sul nostro feed di Instagram spesso diventano un luogo in cui sperimentare. Abbiamo realizzato decine di teaser promozionali, sempre diversi tra loro. Sono davvero tante le cose che cerchiamo di mettere assieme, comprese le collaborazioni: aprire è sempre meglio che chiudere. Quando uscì, per esempio, il nostro primo disco omonimo nel 2016, abbiamo chiesto a decine di autori di realizzare dei libretti d’artista che contenessero il cd: sono venuti fuori dei lavori incredibili che poi abbiamo messo in mostra in un paio di serate speciali.

Il ritorno dei viaggiatori non è il primo video d’animazione che realizzi, già con “Solidi” avevi elaborato una sorta di cut-out animation primitiva e urgente. Mi sembra, in questo caso, che si fonda con la qualità materica del tuo lavoro come pittore…

Lavori come “Solidi” sono dettati da una necessità narrativa. C’era una idea di base con una propria cronologia dei fatti: una sorta di Sisifo che si porta appresso dei solidi, appunto, continuamente disturbato da demoni. Fin quando, schiacciato da tutti questi pesi, non decide di scappare. Il tutto realizzato in modo volutamente un po’ brutale, con animazioni poco fluide, ispirato al lavoro di Faye Moorhouse. Come dici tu giustamente, è un video urgente.
Il ritorno dei viaggiatori” invece non è per nulla narrativo. Piuttosto si tratta di un lavoro fatto di suggestioni, molto legato alla mia poetica pittorica degli ultimissimi anni, dove le forme sono instabili, variabili, quasi effimere. Dove tutto si trasforma continuamente. La stessa cosa accade qui: le immagini accompagnano una musica e un testo che raccolgono ricordi, impressioni, desideri, senza un fuoco preciso; come quando lasciamo vagare i pensieri.

Sfondi, campiture, ingaggiano un dialogo con il disegno animato. Talvolta esondano e ne regolano il movimento. Come hai lavorato in termini tecnici?

A me interessa molto l’improvvisazione. Nel senso di trovarsi davanti ad un fatto e cercare di reagire nel modo più giusto per te (in quel momento). Il video è stato girato realizzando dei paesaggi con pennarelli che, sollecitati dall’acqua, si scioglievano mano a mano, creando sfumature e variazioni, il tutto ripreso a camera fissa in time lapse. Il time lapse ha sempre avuto un fascino per me irresistibile, perché le forme cambiano sotto agli occhi istantaneamente. Quasi mi ipnotizzano. Come quando si fissa un fuoco o le nuvole sotto vento. Dopo questa fase analogica ho invece realizzato dei loop in digitale da sovrapporre in alcune scene. L’effetto mi sembra ben riuscito.

Parlando di “Vorrei” scrivevo che il video “suona” il brano. La stessa cosa vale per “il ritorno dei viaggiatori”, anche se mi sembra una dimensione più sottile, che trascolora con la parola…

Nella domanda hai quasi detto tutto. Sì, “Vorrei” aveva una necessità molto ritmica. Le riprese sono reali, non c’è animazione, spesso a camera fissa per potere godere delle mani che creano con la creta, per cui è stato necessario lavorare con un montaggio serrato per muovere l’insieme. Orson Welles, uno dei miei miti, diceva che il montaggio è tutta questione di orecchio. È proprio così.
“Il ritorno dei viaggiatori” ha un tempo più largo, non ha sempre bisogno che gli stacchi cadano in punti esatti. Bisogna avere il tempo di abituarsi con gli occhi (parliamo sempre di istanti) alla metamorfosi dei colori e delle forme. È più un fluire, appunto, e come dici tu “trascolora con la parola”, che peraltro cerchiamo con grande attenzione.

Gli sfondi pittorici sembrano rielaborati attraverso uno schermo CRT, o comunque alludere a quella struttura dell’immagine video….

Non è stata una ricerca che andasse volutamente in quella direzione, ma l’insieme tra l’utilizzo di un certo supporto pittorico e i colori vivi possono portare verso quell’estetica.

Ti facevo la domanda precedente perché la pixelizzazione, il glitch, l’aberrazione cromatica digitale, è molto frequente e molto abusata nei videoclip contemporanei, anche quelli che provengono da ambiti più vicini alla cosiddetta “internet art”, nel tuo caso, non solo in questo video, c’è una dimensione analogica e materiale molto forte. A un certo punto, mentre lo sfondo ricorda le immagini con le lenti lenticolari, lo schizzo, la macchia, ci consente di percepire la presenza dello schermo. Come elabori questa dimensione, dovendoti comunque servire di strumenti digitali?

Ho molto amato il glitch e ho realizzato anche molti lavori digitali una decina di anni fa, ma poi ho trovato più aderente alla mia indole cimentarmi di nuovo con la materia. Come dicevo prima, amo molto che le cose accadano senza che io controlli eccessivamente il processo, che poi è una mezza verità, perché decidere quando interrompere il processo, ad esempio, è già una forma di controllo e scelta. Per cui questo richiamo allo schermo non è direttamente voluto; o perlomeno non consciamente.

C’è una dimensione performativa che mi incuriosisce nei tuoi video. Per quanto seguano un flusso, narrativo o ritmico che sia, mantengono una qualità performativa molto alta e quindi anti-narrativa. Certamente i tuoi live drawings, come il lavoro fatto su Histoire Du soldat per esempio, immagino che possano influenzare il risultato. Ma in questo caso mi interessa la prassi: se c’è questa dimensione, come riesci a mantenerla nel contenitore comunque concluso del videoclip. È insita nell’immagine? Arriva in fase di montaggio?

Come dicevo prima, e tu l’hai colto in modo estremamente preciso, il mio lavoro ha un sapore instabile. La performance è instabile per forza di cose perché è una reazione continua a sollecitazioni musicali o altro. Questo la rende affascinante. Molto più del risultato finale. Ho visto live drawings fatti molto bene, ma di una noia mortale perché incentravano l’attenzione solo sul risultato finale. E per raggiungere il risultato finale ci volevano almeno 5 minuti. Mi è capitato di fare diversi lavori di questo genere ed ho sempre cercato di fare in modo che invece fosse il processo a creare attenzione. Certo, con un risultato apprezzabile, ma che arriva dopo un processo in cui lo spettatore possa rimanere affascinato.
La stessa cosa accade in molti video realizzati: faccio in modo che accadano eventi visivi, poi li prendo e in fase di montaggio decido quale strada prendere. Ho un’idea di partenza, ma molto si delinea al montaggio.

Un live di Corteccia come si configura, considerati gli aspetti collettivi, performativi e visuali che abbiamo affrontato nell’intervista?

Per ora sono stati abbastanza classici, al massimo con proiezioni retrostanti, quando era possibile. Adesso vorremmo progettare qualcosa di più articolato, con proiezioni più partecipative e una messa in scena ragionata. È un work in progress al quale stiamo proprio pensando in queste settimane, volendo essere ottimisti sui prossimi mesi.

La dimensione cantautorale emerge comunque, nella scrittura di alcuni brani, per il modo in cui il cantato sottende comunque la figura evocativa di un narratore…

Chissà cosa significa “cantautorale”. Guccini diceva che era un termine di comodo dei giornalisti, aggiungendo che doveva essere un tipo di canzone con “un testo significativo”. Forse è così, ma è bello pensare che anche la struttura armonica (o disarmonica), il suono e tutto ciò che riguarda la musica “sia significativo”. Probabilmente nei nostri pezzi un narratore c’è, ma solitamente non parla di sé. Non c’è quasi mai un piccolo fatto di una piccola esperienza personale. C’è sempre il tentativo di fargli dire, uomo, donna, chiunque sia questo “io”, qualcosa che parta dalla sua esperienza, ma che sia significativa a livello generale per tutti o molti. Questo è il tentativo.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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