Marco Pellegrino è un filmmaker di Novara che ha alternato l’attività come regista a quella di sceneggiatore e scrittore, elaborando di volta in volta progetti visuali che lambiscono anche i territori del video musicale. Nel suo approccio al formato i confini e i parametri del promo video vengono forzati tramite l’elaborazione di una cultura visiva proteiforme che attinge da numerose discipline.
Per Cristina Donà ha realizzato uno dei video più belli del 2021 sulla traccia “Colpa“, tratta dall’ultimo album della cantautrice di Rho, il bellissimo deSidera.
Il video condivide lo stesso spazio delle arti visuali, della videoarte e del cinema di poesia, senza scegliere necessariamente da che parte stare, se non da quella della musica, come dispositivo che dal suono e dalla parola, può generare immagini.
Pellegrino prende quindi sul serio la struttura della canzone e la decostruisce con altri mezzi, elaborando combinazioni possibili tra le immagini e la parola. Viene in mente uno dei video meno compresi degli anni ottanta, ovvero l’unica incursione nel genere di Michelangelo Antonioni. L’apparente analogia tra il valore denotativo della parola e quello connotativo dell’immagine individua una rottura tra i due elementi che rilancia il significato attraverso la differenza tra quello letterale e la forza, distruttiva o creativa, del gesto.
Una qualità Zen che va di pari passo con quella della canzone
Cristina Donà – Colpa – l’opera video diretta da Marco Pellegrino
Marco Pellegrino, Colpa, un’opera video: l’intervista al filmmaker novarese
Marco, come si è sviluppato il lavoro per Cristina Donà, dal concept del video fino alla produzione?
È tutto nato da una mail di Gianni Cicchi, il manager di Cristina e storico batterista dei Diaframma, che mi ha contattato intorno alla metà di agosto per propormi questa collaborazione. Ci tengo a riportare una frase in particolare, che mi ha molto colpito: “vorrei parlarti dell’ultimo lavoro di Cristina e del brano che vorremmo pubblicare ai primissimi di ottobre con un’ opera video che speriamo tu sia interessato e possibilitato a realizzare”.
Una bella attestazione di stima e anche l’espressione di un’intenzione precisa mi pare…
Si, perché confesso che le parole opera video, associate al nome Cristina Donà, mi hanno emozionato. Innanzitutto perché è una delle cantautrici che più apprezzo in Italia, per la sua sorprendente capacità di sperimentare musicalmente e per la scrittura dei suoi testi. E poi perché in questa richiesta ho trovato un approccio intelligente e profondo, una grande apertura e un grande rispetto nei confronti delle numerose possibilità che il linguaggio visivo può fornire a un brano musicale, uscendo dalle logiche standardizzate del “videoclip”, per seguire invece degli obiettivi prettamente poetici. Quindi ho risposto subito “sì, ci sono…quando si inizia?”.
Quanto sono durate le riprese?
Le riprese sono durate due giorni
…e dove avete girato?
Abbiamo girato in un’ambientazione esterna, che è un bosco tra Monza e Milano, e il teatro di posa di Overclock, dove abbiamo ricostruito una camera da letto in stile magrittiano, merito della set designer Martina De Paola e le scenografie degli still life,
Il video elabora le sollecitazioni delle liriche scegliendo una via che cerca l’astrazione nelle pieghe del reale, una qualità che mi sembra attraversi tutte le tue produzioni in ambito videomusicale, ma che qui è molto più evidente e marcatamente visuale. Cosa ne pensi e puoi raccontarci il tipo di elaborazione che hai messo in atto per “Colpa”, dalla parola all’immagine?
Dopo aver ascoltato il brano ho iniziato a scrivere appuntando, come faccio sempre, delle piccole suggestioni sul mio quaderno, dalle quali ho poi attinto le idee per costruire le scene principali. Ho cercato sin da subito di lavorare in armonia col testo del brano che, essendo già molto generoso di immagini, mi ha spinto a seguire una libera sincronia con le parole e al contempo una scomposizione del loro significato. Il risultato è una successione di quadri onirici che sostengono un percorso visionario all’interno del concetto variegato di “colpa”. Un gioco di rimandi e di contraddizioni rispetto a quello che Cristina canta. Il mio obiettivo era quello di tracciare un percorso poetico e metasemantico che completasse quello delle parole, ma non sottolineandone il significato, piuttosto smentendolo o fornendo a ogni frase un’interpretazione alternativa.
Molto interessante. In un certo senso il video opera anche una sintesi del tuo modo di lavorare. C’è il set, come elaborazione dell’estetica still life e c’è il mondo esterno; due contesti opposti che alternativamente tornano da video a video nella tua filmografia. Puoi raccontarci i due punti di vista?
Sì, in effetti non ci avevo pensato e mi lusinga sapere che qualcuno l’abbia notato. Penso di avere una predilezione per gli spazi esterni, molto più gestibili da un punto di vista scenografico, perché banalmente già pronti. Ma anche perché ti consentono di gestire con più dinamica i movimenti dei soggetti ripresi, così come della macchina da presa. Credo comunque che il periodo pandemico e la lunga esperienza di lockdown mi abbiano spinto a cercare, al contrario, una via di fuga negli spazi interni. Il video di “Peggio di niente” dei Ministri, che ho realizzato prima di “Colpa”, è interamente girato in interni e il volume della stanza è volutamente marcato dalle pareti che confinano i protagonisti. Nel caso di “Colpa”, invece, ho cercato una sospensione. Le pareti della stanza in cui si svolge il 60 % del brano si sono alleggerite confondendosi quasi con le tonalità del cielo. È un po’ come se si fosse compiuta finalmente una graduale liberazione da un periodo di “clausura”.
A proposito di elaborazione: i Vfx, quando ci sono, tendono ad una naturalezza fenomenica. Puoi dirci come li hai impiegati in questo video?
Gli interventi di vfx riguardano quasi solo la scena d’apertura, durante la quale un lenzuolo bianco, cadendo dall’alto, si deposita sul corpo nudo della protagonista e la fa svanire nel nulla. È un’operazione illusionistica che vuole sostenere anche in questo caso un percorso di liberazione. Mi interessava la possibilità di anticipare visivamente l’alleggerimento da una colpa, attraverso la sparizione di un corpo. In modo analogo, a metà video, la protagonista sparisce e riappare camminando dietro i tronchi di alcuni alberi di un bosco. Il gioco illusionistico rimanda sempre a un’idea precaria di realtà, nelle cui pieghe si nasconde sempre il principio di un mistero ancestrale ricollegabile alla cosmologia. È un tema che mi affascina molto.
Gaia Morellato ha una presenza notevole. I suoi colori naturali ben si adattano alla composizione pittorica del video. Puoi dirci come si è sviluppata la collaborazione con lei?
Gaia è un’attrice fantastica, attenta, intelligente e molto sensibile. Quindi capace di trasmettere emozioni. E a queste qualità si aggiunge una bellezza per niente scontata. I suoi occhi e il suo viso mi hanno colpito sin da subito perché sembra nascondano le regole di un mondo diverso dal nostro. C’è qualcosa di surreale, ma comunque rassicurante nel suo volto. Qualcosa che la avvicina all’estetica rinascimentale, rendendola meravigliosamente libera dalle mode del tempo. Ecco, Gaia è il soggetto di un dipinto preraffaellita che, stanca di posare, è scappata dalla tela per conoscere il mondo.
Sempre a proposito di pittura. I videoclip sono uno spazio ibrido e possibile, qui su indie-eye lo chiamiamo “di convergenza”. Confluiscono elementi diversi e non sempre strettamente cinematografici. Tu hai un background cinematografico, sei un narratore, dirigi cortometraggi. Nonostante questo, nello spazio contratto del videoclip mi sembra che nei tuoi video, anche quelli apparentemente più tradizionali, il colore e la composizione pittorica siano centrali…
Nella scrittura, nel cinema, nell’arte in generale non ci possono essere barriere che confinino gli interessi di un autore in competenze specifiche. Un bravo scrittore, di solito, non è solo chi legge avidamente, ma soprattutto chi, con curiosità, si lascia portare al di là delle proprie consapevolezze per conoscere qualcosa di nuovo da portare nel suo lavoro. Io la vedo così: penso che il linguaggio cinematografico e quello pittorico vadano considerati come approcci solo tecnicamente diversi, ma proiettati verso lo stesso esito: ascoltare per raccontare, viaggiare per trasportare, sorprendersi per sorprendere, farsi ingannare per illudere e quindi emozionarsi per emozionare.
Quali sono stati i tuoi stimoli di partenza per “Colpa”, non necessariamente dei riferimenti precisi, ma stimoli, occorrenze, accadimenti esteriori e interiori…
Non ricordo precisamente quali fossero, ma sicuramente i primi appunti per questo video li ho presi al mare. Sulla spiaggia di Termoli, dove mi trovavo per le vacanze. La scena d’apertura del video, infatti, vuole richiamare un contesto subacqueo, ovattato. Avevo inizialmente aggiunto dei pesci che si muovevano attorno alla testa dell’attrice, contestualizzando maggiormente l’ambiente, ma poi ho deciso di rendere tutto meno esplicito lavorando invece sui suoni di fondo: il canto lontano di una balena e un leggerissimo tappeto riverberato di frequenze basse che si mischiano al respiro affannato della protagonista.
“Colpa” è un video potente per la frequenza con cui sollecita chi guarda a mettere a fuoco immagini significative che si legano e si slegano dalla parola. Quella della Donà mi sembra una narrazione interiore che porta al disinnesco dell’ego, come elemento che produce negatività, in tutte le sue declinazioni. L’immagine tende nella stessa direzione? In che modo e attraverso quali processi?
Sì, l’immagine va nella stessa direzione, ma cerca di offrire un punto di vista complementare rispetto alla narrazione di Cristina. Il percorso che ho seguito parte dalle stesse premesse di alcune opere di Joseph Kosuth, dove l’artista gioca con il rapporto paradossale che esiste tra significante e significato. Una “sedia” può essere contemporaneamente una parola composta di lettere, una foto che ritrae una sedia e l’oggetto stesso. Nel caso di “Colpa” ho cercato di mantenere questa relazione “ludica” tra parola e immagine, andando però a sovvertire, quando possibile, il legame tra significante e significato. Ma forse è tutto meno complicato di così: è solo un gioco ad accchiapparello tra immagini e parole.
Il lavoro sul colore mi sembra fondamentale. Ogni frammento elabora lo stato d’animo sollecitato dalla parola, anche in termini cromatici. È così? Puoi raccontarci come hai lavorato sul colore, sia in termini di fotografia che di color grading?
I punti di riferimento che ho voluto usare per la gestione del colore ruotano principalmente attorno a due fonti per me molo importanti: uno è René Magritte per l’uso dei colori pastello, soprattutto le tonalità fredde e tendenti all’azzurro, e l’altro è “Film Blu” di Krzysztof Kieślowski per la “drammatizzazione” del ciano in termini narrativi ed emozionali. Sono molto soddisfatto del risultato e del dialogo intercorso tra la fotografia di Stefano Bella e Rui Dias e la fase di color grading curata da Fabiana Messina, poiché partendo da premesse di natura pittorica, da una parte, e sperimentale dall’altra, il rischio era di focalizzare l’attenzione solo su elementi di natura estetica, sacrificando la narrazione e i toni poetici.
L’altro aspetto che mi interessa del tuo lavoro in generale, sempre in relazione a “Colpa”, è il lavoro sul tempo. Anche quello mi sembra fondamentale. Qui viene trattato in modo diverso rispetto alle dilatazioni e alle espansioni che attraversano alcuni tuoi video.
Sì, il tempo è una dimensione che mi interessa molto in termini filosofici. Per la contraddittorietà che rappresenta nella sua funzione sociale da una parte, per esempio il tempo per lavorare, il tempo per divertirsi ed evadere dall’ansia generata dal tempo stesso, e nella sua valenza fisica dall’altra, ovvero il tempo che non esiste o il tempo che rallenta in funzione di un moto relativo. Ecco questa contraddittorietà “relativista” del tempo, declinata in contesti metafisici mi ha sempre molto affascinato. Einstein una volta disse: “C’era una giovane donna di Wight che viaggiava molto più veloce della luce. Un giorno partì muovendosi di moto relativo e arrivò la sera prima”.
La clip più vicina a “Colpa”, per vari motivi, mi sembra quella bellissima che hai realizzato per L’anno che Verrà di Lucio Dalla. Cosa ne pensi?
Sì, per il tema trattato mi sembra un giusto paragone. E anche in questo caso il tempo è una dimensione centrale, usata per raccontare il rapporto tra un ragazzo e l’immagine più anziana di se stesso.
Il videoclip in Italia è un contesto ancora da svecchiare, nonostante ci siano molti giovani autori e artisti sensibili come te che escono dal solco della solita estetica promozionale. Cosa ne pensi?
Penso che il videoclip sia l’occasione di far poesia senza compromessi narrativi. Ma sono ottimista. Ci sono molti registi, soprattutto giovanissimi, che non hanno paura di sperimentare e di distruggere le regole a cui tutti sono sempre stati abituati.
Progetti futuri?
Sì! Sto lavorando a una docu-serie e a un feature film. Il 2022 sarà destinato soprattutto a questi due progetti, ma se dovesse arrivare una buona proposta musicale sarò felice di dedicarmi a un nuovo videoclip o, come la chiama Cicchi, a un’opera video.