Sfiorano il fondo di Malkuth, due delle tre bizzarre figure ecclesiastiche che officiano il corteo funebre al centro di Ashes to Ashes, il video. Un sacerdote, una ragazza vestita a festa, due suore e un clown turchese, procedono solennemente sulla spiaggia vicino ad Hastings, seguiti da un escavatore. Di chi sono le esequie e soprattutto, dov’è il corpo? Comparsa sul bagnasciuga, la madre del clown ripete un monito della tradizione orale inglese dedicata ai bambini “My mother said I never should play with the gypsies in the wood“. Al posto degli zingari, nello spazio occupato dall’ignoto, c’è l’astronauta di una vecchia canzone la cui deriva sembra confinata nella cornice del sogno. Una stanza imbottita dove un folle vede ciò che gli altri non possono. Altrove, il sedile della navicella pronta al viaggio interstellare, lo inchioda al centro di una cucina. La pira funeraria polverizza immagini e tracce mnestiche. Engrammi che costituiscono il dispositivo rappresentativo e che si sostituiscono all’esperienza. Il Maggiore Tom, subisce un vero e proprio accanimento terapeutico: appeso ad un mostruoso macchinario organico già tecnologizzato, quasi fosse uno degli esoscheletri alieni di Hans Ruedi Giger, sopravvive nel ventre della balena, poco dopo l’inabissamento del Pierrot/Pinocchio tra i flutti del mare. Che tipo di formazione attende il nostro clown/burattino? Riuscirà a recidere i fili che trattengono ogni possibilità di emancipazione dalla terra, rompendo i propri limiti? E soprattutto, nel gioco di schermi che ne racchiudono altri, qual è il sogno e chi è il sognatore?
Funerale nello spazio. Da Space Oddity a Ashes to Ashes
“Stavo pensando a come avrei collocato il maggiore Tom in questi 10 anni, e che forma avrebbe assunto la completa dissoluzione del grande sogno che si manifestava quando era stato spedito nello spazio. Se la grande tecnologia era stata in grado di inviarlo lassù, una volta raggiunto l’obiettivo non c’era sicurezza del motivo. Torniamo quindi da lui dieci anni dopo per scoprire che la faccenda è diventata più dura. Non essendoci un motivo per quella spedizione, la cosa più drammatica che sono riuscito a pensare era quella di un conforto trovato in una specie di droga come l’eroina. In realtà lo stesso spazio cosmico che lo alimenta: una forma di dipendenza. Vuole tornare nel grembo da cui proviene” (David Bowie, Scary Monsters – Promo disc – Interview – RCA – DJL1-3840 – USA 1980)
Il 31 dicembre del 1979, il Kenny Everett Show celebra la fine del decennio con una performance in studio di David Bowie, messa in scena da David Mallet. Per mezzi e attitudine visuale, il setting ricorda il lavoro svolto dal regista britannico con i precedenti video realizzati per la promozione di Lodger e segue l’approccio già sperimentato nel contenitore di Everett con Boys Keep Swinging. Le immagini, girate agli Ewart Studios di Wandsworth, il 18 settembre del 1979, mettono al centro una nuova versione di Space Oddity. La richiesta proviene da Mallet stesso, è la condizione per partecipare allo show della ITV. Bowie accetta, ma a patto di poter scarnificare la canzone, elaborando una nuova versione riscritta per tre strumenti e che in qualche modo anticiperà l’approccio produttivo condiviso con Tony Visconti per la realizzazione della colonna sonora di Bertolt Brecht’s Baal. Insieme ad Alabama Song, il brano anticiperà di due anni il lavoro fatto per l’originale televisivo di Alan Clarke e sarà pubblicato su 45 giri nel 1980, come frutto delle session registrate nel settembre del 1979 ai Good Earth Studios dello stesso Visconti, insieme a Zaine Griff al basso, Hans Zimmer al piano e Andy Duncan alla batteria.
Bowie decide in qualche modo di congedare gli anni settanta con il brano con cui li aveva introdotti, servendosi di una delle sue creature letterarie più trasversali come rilettura critica del decennio precedente. Generazionale, personale e mitopoietico si intrecciano, laddove la costruzione narrativa del mito assolve funzioni negative e positive allo stesso tempo, sospeso com’è tra disillusione e trasformazione. Tutti i motivi visuali del video confluiranno in quello di Ashes To Ashes, di cui questo rappresenta un vero e proprio banco di prova.
Ashes to Ashes: morfologia di Pierrot
Co-diretto insieme allo stesso Bowie in un contesto di reciproca collaborazione, il video di Ashes to Ashes viene girato a sei miglia dalle spiagge di Hastings per tre giorni e in parte nei soliti studios dove era stata realizzata la clip per la nuova versione di Space Oddity. 35.000 sterline è l’impegno economico complessivo dell’operazione, tra le più costose del tempo. Concept, stile e alcune suggestioni culturali provengono dalla ricerca di Bowie, che fornirà a Mallet uno storyboard dettagliato. Suo il Pierrot, la cui codifica proviene da lontano e dall’esperienza con Lindsay Kemp nel Pierrot in Turquoise. Come scrivevamo nel 2016 in questa lunga disamina iconologica, ci convincono fino a un certo punto le associazioni biunivoche con il Pierrot Lunaire di Giraud/Schönberg, tanto verificabili quanto pretestuose se inserite nel solco di una rilettura pedissequa dell’espressionismo tedesco, questo perché il processo di stilizzazione del costume principale, ideato e realizzato insieme a Natasha Korniloff è frutto di un’ibridazione che si riferisce ad altre maschere. Tra queste non sfugge la morfologia geometrica di Pinocchio, oltre all’automatismo motorio del personaggio, ma anche lo spirito macabro di Henri de Toulouse-Lautrec nella foto “en pierrot” del 1894, ritratto mascherato che emerge dall’ombra e che assorbe le caratteristiche allucinatorie della sua arte. Nel costume di Ashes to Ashes, contro il nero del cielo, predomina il bianco, mantenendo apparentemente una relazione filologica con le primissime origini della maschera, in realtà scomposta tra profilmico e virtuale, nei personaggi di contorno e nel paesaggio. Il doppio e l’ombra che accompagnano la storia delle rappresentazioni legate a Pierrot per tutto l’ottocento viene quindi disseminato tra i set allestiti a Beachy Head e ad Hastings e le manipolazioni consentite dal dispositivo della britannica Quantel utilizzato da Mallet per l’effettistica del video.
Ashes to Ashes: Paintboxed?
Tra gli errori più frequenti che ormai si sono diffusi come un virus con gli articoli dedicati al making of di Ashes to Ashes, c’è l’ipotesi che la crew tecnica si sia servita di alcuni effetti di solarizzazione dell’immagine per ottenere i risultati più contrastati. Mallet in realtà si porta dietro la sperimentazione fatta con gli Hot Gossip, sempre per i video performativi realizzati in seno al Kenny Everett Show, e in particolare per la clip relativa a Supernature.
Le similitudini tra questo e il video di Bowie sono evidenti e riguardano le modalità con cui i valori cromatici del paesaggio vengono trasformati, grazie alle capacità del mixer video utilizzato dal regista inglese e diffuso in quegli anni. Niente a che vedere con le tecniche di solarizzazione.
L’altro errore è che il lavoro sia stato svolto con il Paintbox, dispositivo lanciato dalla Quantel nel 1981 e adottato dal broadcast britannico nel 1982, un anno dopo le sperimentazioni con il Flair, workstation pionieristica sviluppata grazie ad una collaborazione della Logica e del dipartimento tecnico della BBC situato a Kingswood Warren. Il Paintbox consentirà una modifica delle immagini televisive direttamente sullo schermo grazie ad un sistema hardware/software integrato totalmente autonomo. I sistemi integrabili della Quantel precedenti al Paintbox consentivano già, con minore versatilità, di creare e colorare il cielo di un’immagine pre-esistente mediante una palette, oppure di alterarne completamente i valori cromatici, mantenendo inalterati quelli di luminanza. Un esempio estensivo dell’utilizzo del Paintbox è tutta la produzione grafica di Max Headroom, la serie prodotta da BBC. Solo di un anno dopo gli esperimenti di videopittura che “Painting with light“, la serie televisiva prodotta dalla Griffin Productions e trasmessa da BBC 2 nel 1986, affiderà agli artisti Richard Hamilton, Howard Hodgkin, Larry Rivers, Sidney Nolan, Jennifer Bartlett e David Hockney. Il Paintbox si presenta come workstation completa, che integra un tablet touchpen per agire su segni e colori. Le capacità metamorfiche del sistema oltre a consentire la combinazione di sorgenti grafiche eterogenee adatte ad interagire con la tecnica del bluescreen, permettono di cambiare i colori illimitatamente basandosi sui principi luminosi e puntando alla saturazione del colore per oscurare l’immagine più che per esaltarne la brillantezza. Il Paintbox consente in quegli anni di intervenire “al volo” sulle immagini, anticipando la prassi del disegno su tablet e consentendo la gestione di una maggiore o minore opacità dell’immagine in relazione alla pressione della penna. La cornice tecnologica è ovviamente diversa dalle possibilità attuali, ma interpreta già l’evoluzione dell’immagine digitale in termini performativi. Il Paintbox consentiva inoltre la memorizzazione di effetti e l’accesso ad una libreria di preset con modalità per quegli anni del tutto innovative.
Come si evince da questo reel realizzato come demo per la prima generazione del Paintbox, quella degli anni ottanta, le caratteristiche del dispositivo orientano la grafica video verso un’esaltazione delle funzioni di compositing, aspetto che è presente in modo molto minimale nel video di Ashes to Ashes, più orientato al lavoro sul colore e la luce.
Tutti questi aspetti sono comunque chiarissimi nel video ideato da Bowie-Mallet sei anni prima di “Painting with light” e concorrono a creare quel surrealismo pop che dominerà nei video musicali degli anni successivi prima che questi sostituiscano la giustapposizione di immagini illogiche con una tendenza più marcatamente narrativa. Proprio in questi termini il video di Ashes to Ashes rigetta l’uso mainstream della trasparenza televisiva servendosi di contrasti stridenti, effetti di video pittura consentiti dalla tecnologia del tempo, movimento e astrazione.
Anticipa certamente la rivoluzione che il Paintbox opererà nell’intersezione tra grafica e video, soprattutto nel campo dell’advertising, ma i risultati tecnici del lavoro di Bowie/Mallet sono probabilmente dovuti a prototipi e mixer della Quantel precedenti ad un dispositivo che fu presentato per la prima volta al NAB show nella primavera del 1980, e che sarà utilizzato pubblicamente solo a partire dall’anno successivo. Non ci sono indicazioni e testimonianze dirette che documentano l’adozione del prototipo da parte di Mallet, che avrebbe dovuto essere immediata e in esclusiva, considerati i tempi di lavorazione del video, il cui set fu allestito pochi mesi dopo. Nonostante questo, alcune fonti accreditano il Paintbox come dispositivo utilizzato per la post produzione. Secondo un tecnico della Quantel con cui ho avuto l’opportunità di parlare, l’utilizzo della workstation da parte di David Mallet non è probabile.
Cenere alla cenere: entropie
La totale rielaborazione delle sequenze contenute nel video di Space Oddity realizzato da Mallet l’anno precedente, servono per costruire una temporalità orizzontale, legata non solo al viaggio cosmico ma anche allo scambio tra autore e personaggio e alla discontinuità tra i due.
Il medium per il passaggio dimensionale sono le fotografie-finestra che Pierrot-Pinocchio/Bowie/Major Tom mostrano durante il video e che provengono da un’idea dello stesso Bowie. Il primo rispecchiamento è già un’ipermediazione, incorporamento e discontinuità con lo schermo mostrato dal Pierrot-Pinocchio contenente un paesaggio simile a quello dove agisce il Pierrot con Major Tom seduto sugli scogli. Il secondo investe simmetricamente Major Tom del ruolo di narratore, aprendo una finestra-schermo dello stesso tipo, ma sull’immagine bowiana del periodo discografico precedente, un personaggio circondato dalle pareti imbottite di quella che potrebbe essere la stanza di un ospedale psichiatrico, tra riferimenti biografici e risonanze mitopoietiche con le liriche del brano e la stessa parabola astrale del Maggiore Tom. La collocazione è ancora una volta quella del narratore. Al netto delle considerazioni biografiche ampiamente privilegiate, invece che analizzate come testo tra altri testi, utilizzando la parola “Junkie” come connettore, è interessante il modo in cui viene frammentato il racconto all’interno di una sequenza temporale palindroma. Non solo quindi la metavisione o la rimediazione del passato, con uno schermo-finestra che guarda al passato mitopoietico di Bowie, ma anche una seconda metavisione incorporata che volge lo sguardo nell’altra direzione, dove Major Tom dal passato osserva il futuro di Bowie.
È lo stesso artista inglese che nello spazio di una sola intervista concessa ad Angus MacKinnon per NME il 13 settembre del 1980, rivela questo doppio sguardo fantascientifico in due momenti diversi e come chiave di lettura dell’intero video: “Ci sono moltissimi stereotipi nel video, ma penso di averli ricombinati in modo da non farli apparire come tali, almeno nella misura in cui come sensibilità generale, emerge un certo sentimento di nostalgia per il futuro“. Verso la fine della stessa intervista Bowie, interrogato sulla presenza di Major Tom nella canzone parla al contrario di una certa nostalgia per un passato irrecuperabile: “davvero si tratta di un ode all’infanzia o se preferisci, di una filastrocca popolare“.
Quella nursery rhyme che ha ispirato anche Sally di Fabrizio De Andrè, e che nel già citato vinile intervista di Scary Monsters, pubblicato dalla RCA come strumento informativo per le radio, consente a Bowie di connettere la tradizione britannica tardo ottocentesca con il cautionary tale dedicato al destino del Maggiore Tom, gli permette anche di rilevare un sentimento del tempo sollecitato dalla permutazione numerica delle date: 1890 / 1980: “Credo che le filastrocche del 1980 abbiano molto a che fare con quelle del 1890, che erano davvero orrorifiche, con questi ragazzini a cui vengono mozzate le orecchie. Ci stiamo nuovamente avvicinando a questo e credo che le filastrocche sullo stile di Sesame Street siano ormai datate, sfortunatamente“
Tempo, spazio e follia. Ashes to ashes come racconto di fantascienza
Eppure c’è un gioco, tra tempo, spazio e follia che Bowie desume dalla fantascienza quando si diverte a compiere questi viaggi dimensionali. La centralità della quadrilogia di Michael Moorcock dedicata a Jerry Cornelius è indiscutibile nella creazione dell’universo narrativo Bowiano per lo meno a partire da Ziggy Stardust, soprattutto se si considerano le caratteristiche androgine e bisessuali del personaggio creato dallo scrittore inglese, la sua passione per la moda, il fatto che oltre all’attività di agente segreto ne porti avanti una parallela come rock star, il tutto sullo sfondo di una swinging London descritta con toni apocalittici e nel contesto di quella rivoluzione letteraria del genere introdotta da New Worlds, la rivista fondata da Moorcock stesso nel 1964, territorio di sperimentazione linguistica e narrativa e che nel momento in cui Bowie farà nascere il Maggiore Tom, sarà già una delle realtà consolidate della nuova fantascienza. Meno note le connessioni con il Maggiore Newman, l’astronauta americano che in The Final Programme, avrebbe documentato aspetti sconosciuti del cosmo dopo una rovinosa missione aerospaziale e il cui diario si troverebbe in una cava di Lapland. Colin Greenland, nel fondamentale Entropy Exhibition (Routledge Revivals): Michael Moorcock and the British ‘New Wave’ in Science Fiction, inserisce il Major Tom Bowiano nella linea di sviluppo dell’astronauta pazzo, vero e proprio anti-eroe introdotto dagli autori della New Wave fantascientifica britannica, da Moorcock stesso (Ryan e Newman) fino a Ballard, Trabert e Malzbeg.
Inoltre, la presenza del Pierrot in alcuni romanzi del Quartet (The Final programme, The English Assassin, The Condition of Muzak) indica connessioni mai rilevate né analizzate. Il primo romanzo della quadrilogia viene pubblicato nel 1968, dopo il Pierrot in Turquoise di Kemp/Bowie anche se una versione incompleta era uscita a puntate dal 1965 in poi su New Worlds. Se l’ispirazione comune è quella della commedia dell’arte, le cui caratteristiche improvvisative interessano a Moorcock per lavorare sullo slittamento di senso dei personaggi e sui salti della scrittura, il riferimento a “The English assassin“ diventa quasi obbligatorio. Scritto da Moorcock nel 1972, vede a un certo punto Jerry Cornelius ri-emergere dalle acque del mare come Pierrot per incontrare sulla spiaggia la sorella Catherine. Ed è probabile che la passione abbia spinto Bowie a recuperare questa iconografia, anche attraverso l’elaborazione visuale di Robert Fuest nella versione cinematografica di The Final Programme del 1973
Da Cloud al Pierrot di Ashes to Ashes
Sulla figura del narratore Pierrot-Pinocchio che inquadra e in qualche modo fa da dispositivo-cornice per i personaggi di Ashes to Ashes è necessario fare una breve digressione. Nel Pierrot in Turquoise di Kemp, filmato nel ’69 dalla televisione scozzese e mandato in onda il luglio dell’anno successivo, Bowie interpreta Cloud: cantastorie, performer e connettore per tutti gli elementi emozionali che dai personaggi arrivano al pubblico. Nella piece di Kemp esegue alcuni brani da lui scritti come interludi per la vicenda che vede Pierrot uccidere l’amata Colombina dopo che questa l’ha tradito con Arlecchino. In Ashes to Ashes replica il ruolo di Cloud ma incorporandolo nel personaggio di Pierrot-Pinocchio, anch’esso rimediato dal dispositivo, con il fotografo che lo inquadra e lo scatto che ferisce, quasi ad indicare una relazione con i media ad un livello diverso rispetto alle logiche che intrecciano le narrazioni di /personaggio/discografia/biografia.
Sono altrettanto lucide due dichiarazioni di Bowie concesse durante alcune interviste tra il 71 e il 76, spesso tirate in ballo semplicemente per chiarire quanto la figura del Pierrot abbia attraversato il suo mondo creativo, o al limite per ribadire il solito logoro binomio arte-vita di ascendenza romantica che è in verità solo una piccola parte dell’intera questione: In “Waiting for Bowie – and finding a genius who insists he’s really a clown” titolo che già da solo ci dice quali sono le facoltà cognitive di un giornalista, Bowie risponde a Jean Rook del Daily Express in un’intervista del 5 maggio 1976: “Sono Pierrot. Sono Chiunque. Faccio teatro, solamente teatro. […..] Ciò che vedi sul palco non è sinistro. E’ semplicemente clownerie. Sono come una tela e cerco di dipingerci la verità del nostro tempo. Viso bianco, pantaloni larghi, Pierrot appunto, l’eterno clown che presenta la grande tristezza del 1976“.
Prima ancora di questa dichiarazione, Bowie aveva detto in un’intervista dell’aprile 1971 a Rolling Stone: “Ciò che la esprime può essere serio […] ma come medium la musica non dovrebbe essere indagata, analizzata o presa così seriamente. Credo che debba essere agghindata come una prostituta, una parodia di se stessa. Dovrebbe essere il clown, il medium-Pierrot. La musica è la maschera indossata dal messaggio. La musica è il Pierrot e io, il performer, sono il messaggio“
Ashes to Ashes, incubatore di mode e tendenze
Come è noto, il cast di Ashes To Ashes mette insieme una serie di artisti tutti orbitanti intorno al Blitz Cub di Covent Garden e associati al delinearsi della sottocultura New Romantic. Tra questi l’artista gallese Steve Strange, agitatore culturale della nightlife e fondatore della band Visage, la designer Judith Frankland e due amiche di Strange, la stilista Darla-Jane Gilroy che sarà un talento seminale per la moda britannica tra gli ottanta e i novante ed Elise Brazier, che nel video è la ballerina vestita a festa. “Senza alcun preavviso Bowie si è presentato [al Blitz] – racconta Strange nell’autobiografia intitolata “Blitzed” – con altre due persone e il suo agente, Corinne ‘Coco’ Schwab, che non mi è sembrata particolarmente gentile“. Gli altri due a cui Strange fa riferimento, da altre testimonianze tra cui quelle di Andy Polaris, sono la figlia del comico Des O’Connor, Karen, e il fotografo e pittore Edward Bell che realizzerà l’artwork di Scary Monsters.
Bowie chiede a Strange un truccatore per il video di Ashes to Ashes e gli viene suggerito Richard Sharah, iconico make-up artist, tra i più importanti del decennio a venire. Lascia quindi completa libertà a Strange per la scelta dei costumi e delle tre persone che dovranno seguirlo in questa avventura.
Judith Frankland, laureata a Ravensbourne e stilista per l’outfit di Steve Strange nel video di Fade To Grey, contribuisce ai due costumi da suora per il video di Bowie, parte di una ricerca cominciata con la sua tesi di laurea e come ha dichiarato in alcune interviste, ispirati alle domenicane di Tutti Insieme appassionatamente. Il vestito del front leader dei Visage sarà quello della sposa in nero, ideato dalla stessa Frankland, ma con il copricapo velato di Stephen Jones, il creatore di cappelli più importante del Regno Unito e che aprì la sua prima boutique proprio nel 1980.
Il luogo è inizialmente segreto e una volta sulla spiaggia, il cast viene brevemente istruito sul da farsi, dai movimenti principali alle liriche da mimare. È il tre luglio del 1980, la spiaggia quella di Pett Level, sei miglia ad est di Hastings nell’East Sussex, luogo d’infanzia per lo stesso David Mallet.
Se il costume di Bowie, come abbiamo detto viene affidato alle mani esperte e fidate della Korniloff ed il trucco a quelle di Richard Sarah, Gretchen Fenston, rinomata stilista e creatrice di cappelli con base a New York, si occuperà di quello per il Pierrot bowiano. Mentre l’abito sacro in velluto della Gilroy è una sua crezione, il cappello per la ballerina impersonata dalla futura modella Elise Brazier, è invece un contributo degli stilisti Fiona Dealey e Richard Ostell.
La paga per le quattro comparse sarà di 50 sterline ciascuno.
Catarsi
David Bowie subisce il fascino, l’influenza e la seduzione della cultura dada/surrealista tanto quanto quella di altre stratificazioni che ispirano la transmedialità della sua arte, a partire dalle tecniche creative e combinatorie utilizzate per la composizione delle musiche e la scrittura delle liriche, fino agli artwork dei suoi album, i videoclip, le performance televisive, le modalità con cui interpreta le suggestioni della moda. I video rappresentano ovviamente il medium più logico per stabilire connessioni con il mondo delle arti visuali, codificando d’altra parte una tendenza specifica del videoclip stesso all’alba delle televisioni tematiche, che sarà capitalizzata solo in parte dall’esplosione del formato, ormai indirizzato verso una dimensione narrativa più superficiale e inevitabile. Ashes to Ashes in questo senso, nella combinazione tra sperimentazione visuale ancora al suo stadio empirico e una vicinanza flagrante all’incandescenza dell’evento performativo, come testimonia il reclutamento “vivo” del cast entro una scena in ebollizione, diventa melodramma postmoderno, nell’accezione combinatoria di più generi popolari che in qualche modo spingono verso un’esperienza catartica.
Non è solo la costruzione del brano e la relazione tra melodia e parola, in questa sede fuori dai nostri scopi analitici, ma anche la messa a morte di una tradizione generazionale che a differenza del bel film di Eva Ionesco sugli anni del Le Palace, quello che possiamo considerare il Blitz Club di Parigi, nega il post-punk come estetica e come filosofia proprio al momento del suo innesco. I relitti e le carcasse sacrificati sulla pira funeraria, non sono legati esclusivamente al passato dell’artista inglese e alle sue progressive mises en abyme, ma pongono una pietra tombale su tutte le posture a venire, confinando l’esperienza della musica pop nell’ambito incerto e abissale dell’esperienza psichica, fuori dal controllo delle varie chiese di riferimento.