mercoledì, Dicembre 18, 2024

David Bowie e l’intelligenza artificiale. Sogni parole e immagini

Anche i musicisti sognano parole elettriche. David Bowie e lo sguardo sulla finestra IA

Il viaggio di Michael Apted nello spazio produttivo di alcuni tra i più importanti artisti del novecento è una sintesi stimolante di idee proiettate verso il futuro. Uscito nel 1997, Inspirations navigava tra media diversi, concentrandosi sul braccio di ferro tra materia e coscienza per localizzare le diverse forme dell’ispirazione creativa. Il segmento dedicato a David Bowie, filmato in studio nel 1995 durante la produzione di Outside, è la dimostrazione pratica più completa dell’impiego che l’artista inglese fece del Verbasizer per costruire le liriche di quell’album.
Bowie rilegge le tecniche di cut-up desunte da William Burroughs a partire dal 1974, successivamente intrecciate con le Oblique Strategies di Brian Eno durante la produzione del trittico berlinese, e traduce la prassi del ritaglio combinatorio nell’architettura di un software ideato insieme a Ty Roberts, CTO di Universal Music Goup, futuro co-fondatore di FanTracks e Gracenote, non a caso due realtà votate alle library, ai metadati e alle tecnologie di riconoscimento contenuti.

Nel frammento girato da Apted, Bowie apre un Powerbook e spiega le funzioni del randomizzatore di testi, istruito con una serie di frasi e spinto a generare diverse combinazioni in base a input successivi: “un vero caleidoscopio di significati, argomenti, nomi e verbi che si scontrano l’uno con l’altro”.
Difficile non scorgere in questa ulteriore automazione di un processo creativo basato sulla casualità, la relazione tra intervento umano e modelli generativi al centro del recente dibattito sull’Intelligenza Artificiale.

David Bowie ha in qualche modo anticipato l’applicazione dell’intelligenza artificiale come strumento creativo, anche se i presupposti su cui ha lavorato erano molto lontani dalle attuali possibilità tecnologiche. Oggi, il connubio tra creatività umana e tecnologia ci mostra potenzialità illimitate, tanto da spingere la ricerca artistica in una dimensione ancora inesplorata. In una realtà dove strumenti avanzati basati sull’IA possono aiutare a scrivere testi, creare documenti, immagini e video, l’arte é destinata ad espandere i propri confini espressivi.

David Bowie e il Verbasizer

Addestrata su un enorme set di dati rispetto al dialogo semplificato di Bowie con il suo Verbificatore, l’IA è in grado di generare testi, immagini, contenuti audio, sequenze video prevedendo lo step successivo, sia esso un pixel o una parola. L’input, definito come prompt, è la descrizione testuale e su questa base il trasformatore generativo pre-addestrato, il cui acronimo è GPT, sfrutta un modello di apprendimento profondo capace di evolversi da se stesso, superando di fatto altre IA istruite semplicemente per effettuare compiti specifici.
Modelli con architetture simili, trasformano da testo a immagine, come nel caso di Stable Diffusion, utilizzato recentemente da Davide Cardea e AANT per il video degli Underdog uscito in anteprima esclusiva proprio su Indie-eye, possono creare musica come MusicLM di Google, creare video nel caso di Imagen Video.

Per quanto il lontano tentativo di Bowie, ancora legato al cappello di Tristan Tzara e alla furia anarchica del Lettrismo, ci indichi l’utilizzo della macchina come possibilità di velocizzare un processo combinatorio legato precedentemente alla casualità del gesto, permaneva la ricerca dell’errore come immagine paradossale della spontaneità. Ripetizioni, giustapposizioni che consentivano di far precipitare le parole e osservare il punto di collisione, democratizzando il processo di creazione poetica attraverso la trasformazione di pagine tagliate e riorganizzate. Ad un passo dalla sregolatezza di tutti i sensi preconizzata da Rimbaud, il cut-up nella sua essenza basilare spostava il senso e creava nuove sinestesie.

Democratizzazione è una definizione allettante e pericolosa che ricorre per descrivere l’orizzonte dell’IA come livellamento della creazione contenuti, nell’ipotesi che questo cambi radicalmente tutta l’industria della produzione audiovisiva, già radicalmente trasformata nella prassi quotidiana da tools, applicazioni, funzioni; una per tutte, l’implementazione text-to-speech / speech to text in alcuni software di montaggio non-lineare, largamente utilizzata per la produzione di news sulle piattaforme di condivisione video più diffuse, senza dover ricorrere al lavoro di uno speaker.

La combinazione di più IA con propositi diversi, che assolvano rispettivamente le funzioni generative del contenuto, l’analisi del giusto target a cui indirizzarlo ed infine l’elaborazione dei risultati di engagement per offrire indicazioni utili ai creatori sui passi successivi da compiere, potrebbe mettere in crisi il modello di business delle piattaforme VOD, basato su processi molto più lenti, costosi e collettivi.

Nothing Forever, la serie streaming messa in circolo per Twitch e su cui si è discusso negli ultimi mesi per lo più ridicolizzandone i risultati, ha aggregato decine di migliaia di follower in poco tempo, indicando prospettive precise, tra cui le possibilità illimitate di estensione del concetto stesso di serialità, le potenzialità di miglioramento del concept in base all’apprendimento di gusti e desideri degli spettatori, le capacità del modello IA di gestire tutta la filiera produttiva, dallo storyboard alla regia.

Che il pubblico di Nothing forever sia attualmente interessato allo scarto tra stereotipi rappresentativi e la surrealtà di scelte e soluzioni che delineano l’ecosistema di personaggi e oggetti della serie nella loro relazione con il “nulla”, significa che le capacità della macchina di incepparsi, producono un contrasto simile alla regressione infantile di Hal 9.000.

L’interesse si basa su distanze e differenze, dove l’errore, il difetto oppure il glitch rappresentano ancora le possibilità di ri-scrittura da parte di chi guarda: l’interferenza e la dissonanza che rendono vivo un ologramma. Più vivo del modello che lo ha sognato.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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