Il teatro di Figura e il videoclip
Il recupero di tecniche d’animazione o di forme visuali di rappresentazione analogiche, nel videoclip contemporaneo passa spesso attraverso la rimediazione di contenuti e tecnologie. La pioggia di clip realizzate in cut-out animation nell’ultimo decennio la si deve in buona parte all’esplosione delle motion graphics e alle possibilità che queste offrono. Di fronte a questa progressiva flessibilità dei dispositivi e delle applicazioni di montaggio non lineare, emergono spesso tentativi che si allontanano dalle prassi grafiche imposte dall’evoluzione del mercato, cercando di innestare tecnologie primitive in forma creativa e più o meno rigorosa.
La riemersione della Stenoscopia, il mai abbandonato territorio dello stop-motion, l’uso materico dei mixed media, si oppongono e si integrano con elaborazioni lontane e vicine alla internet art che al contrario si intrattiene con i relitti e gli artefatti più o meno recenti della tecnologia.
Il teatro di figura è sicuramente una di queste eccezioni. Riduce quasi a zero la dimensione digitale del video e se nella storia del cinema gli esempi di segmenti animati con questa forma sono molto frequenti, nel videoclip li abbiamo visti più raramente. A memoria ricordiamo Twice dei Little Dragon, Eider Falls at Lake Tahoe di Kate Bush e il meno noto Home dei Nine Mile, realizzato dal collettivo Shadow of a Doubt.
Serena Cercignano, artista del teatro di Figura
Serena Cercignano, attrice, cantante, rumorista, regista, musicista di strada e molte altre cose, è anche artista del teatro di figura. Napoletana di nascita e toscana d’adozione, frequenta corsi con numerosi professionisti del settore, collaborando con realtà come The English Theatre Company e soprattutto fonda il Teatrino di Puck attraverso il quale si cimenta con burattini, ombre e narrazione. La sua missione è anche quella di far conoscere questa forma e il videoclip realizzato per Dei Perfetti Sconosciuti è un buon esempio in tal senso.
L’amore Morde, il video per Dei Perfetti Sconosciuti
Realizzato nel rispetto totale della forma e delle tecniche del teatro di figura, quindi con interventi davvero minimali in post, il video de “L’amore Morde” è un modo del tutto originale di fondere le regole dei videoclip performativi con quelle legate ad esigenze più strettamente narrative. Ne viene fuori un affascinante gioco visual che rilancia la forma del teatro di figura nel territorio di convergenza del video musicale.
“L’amore Morde”, il video della Cercignano, veicola il nuovo singolo dei toscani Dei Perfetti Sconosciuti. Il brano anticipa il nuovo album, previsto per il prossimo 18 marzo, intitolato Fuori.
Paolo Ronda, cantante e penna della band, non usa mezzi termini per descriverlo e si serve delle parole di Stephen King contenute ne “Il corpo“, uno dei racconti pubblicati nella raccolta “Stagioni diverse“: “L’amore non è quello che quei poeti del cazzo vogliono farvi credere. L’amore ha i denti, i denti mordono, i morsi non guariscono mai. Nessuna parola, nessuna combinazione di parole può chiudere le ferite d’amore. È tutto il contrario, questo è il bello. Se quelle ferite si asciugano, le parole muoiono con loro”
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Dei Perfetti Sconosciuti – L’amore Morde, il videoclip con il Teatro di Figura di Serena Cercignano
Silhouettes and shadows: L’amore morde e il teatro di figura. L’intervista a Serena Cercignano e Paolo Ronda
L’idea del video: come è stata sviluppata e da dove nasce
Paolo: L’ìdea del video per “L’amore morde” parte dal presupposto che questa canzone non è convenzionale per noi. Perché intrisa di suoni sintetizzati e chitarre acustiche che contribuiscono a formare un drone ipnotico. In questo senso si allontana dal rock alternativo che siamo soliti suonare per portare l’ascoltatore “altrove”; in quest’ottica abbiamo subito capito che il videoclip doveva rispecchiare l’idea del brano, essere anticonvenzionale e portare lo spettatore in un mondo giocoso e di sogno. Da qui l’idea di utilizzare il teatro delle ombre, un’antica forma d’arte che nasce in Cina, evocativa e liquida, potente e allo stesso tempo divertente, per raccontare una storia che viaggi in parallelo con il testo della canzone, ma che porti in video una storia d’amore diversa dal solito
La clip rispetta i parametri e le convenzioni dei video performativi, ma tratta l’immagine in relazione ai segmenti dove si vede il lavoro di Serena Cercignano, come mai questa scelta?
Paolo: Nel montare la storia raccontata dai personaggi ombra abbiamo scelto di mettere in scena una storia non didascalica rispetto al testo, ma sentivamo l’esigenza di esserci anche noi in video, prima come delle figure apparentemente distaccate dall’azione, in finale interagendo invece con la storia rappresentata, una convergenza che da senso a entrambi i flussi video visti fino a quel momento, per poi lasciare il campo a un cuore che vola verso lo spettatore.
Potete raccontarci la collaborazione con Serena?
Paolo: Non è stato semplice trovare un’artista del teatro di figura, soprattutto nel mezzo di una pandemia. Siamo stati fortunati a conoscere Martina Ridondelli, fotografa che ha curato alcuni nostri set oltre ad essere regista in seconda del videoclip, che ci ha fornito il contatto di Serena.
E’ bastata una telefonata con Serena per capire di avere a che fare con la persona giusta, innamorata di quello che fa e capace di infonderci il giusto entusiasmo per capire che questa opera si poteva realizzare. Portare in video digitale, qualcosa di così analogico e dargli la giusta profondità è stata una sfida, speriamo che lo spettatore possa goderne, così come è stato divertente per noi lavorare alla realizzazione.
Serena, le ombre, le luci, le marionette, i pupazzi, gli oggetti, sono tutti elementi della poetica sensoriale legata al teatro di figura. Se filmate, in termini visuali si avvicinano alle forme del protocinema. Hai pensato anche a questo aspetto?
Serena: Il teatro d’ombre è affascinante perché, di fatto, contrariamente a quel che si pensa, può essere realizzato e animato in tanti modi. Io mi ispiro molto alle tecniche “video visive” poiché a volte bisogna mettere in scena storie brevi e coincise, come per il videoclip di “L’amore morde”, e il mondo del video ritengo che a volte sia più schietto e diretto per la scelta delle immagini. Certamente anche il protocinema mi ha fornito alcuni spunti.
Serena, in “eppur bisogna andar“, il tuo spettacolo ambientato durante la prima grande emigrazione degli italiani in Brasile, utilizzi molti elementi e media: suoni, musica, tutti gli elementi del teatro di figura, ma anche il teatro d’attore. In “la verità e la fantasia“, che è più incentrato sulle ombre, la tua voce narrante e quelle che doni ai personaggi fa da collante al mondo immaginale. La stessa cosa accade ne “La luna nello stagno“, dove sul palco monti uno schermo, mentre la luce fa miracoli. Per il video dei “Dei perfetti sconosciuti“, offri la tua arte per una narrazione che comprende musica e liriche. Come hai lavorato in termini figurativi, rispetto ai testi e ai suoni della canzone?
Serena: Credo fortemente che tutte le arti appartengano ad un grande unico meccanismo energetico che le fa incontrare e le fa intrecciare tra loro. Ne ” L’amore morde” credo ci siano già dei colori, delle sfumature sonore che esprimono molte emozioni. Figurativamente parlando, mi sono limitata ad interpretare ciò che ascoltavo, forse la difficoltà più grande è stata cercare di trovare delle immagini che potessero essere lette davvero da tutti. Ho ascoltato la canzone tante volte: quando solo per gli effetti sonori, quando solo per il testo, quando solo per il messaggio finale. E ogni volta poi costruivo, distruggevo, ricostruivo, fino a trovare delle scene che rispondessero alle esigenze sia del gruppo che, credo, del pubblico.
Rispetto al teatro il video comporta tutta una serie di interventi in post produzione. Come avete lavorato in tal senso, dal montaggio agli effetti “in camera”, fino ad eventuali modifiche in fase post, sia per la parte dove vediamo le ombre della band, sia per quanto riguarda il lavoro con le marionette e le sagome sullo sfondo?
Paolo: Ho cercato di rimanere più fedele possibile al girato, e intervenire con la post produzione meno possibile proprio per trasmettere questa sensazione di “vero”, di “analogico”. In una fase iniziale abbiamo anche provato a immaginarci un lungo piano sequenza ma sarebbe finito in un lavoro forse troppo pretenzioso e poco affine al mondo del videoclip. Abbiamo quindi optato per un montaggio che cercasse di mettere in luce quanto il 90% di quello che si vede in video accade davvero e non è frutto di una rielaborazione grafica di post produzione. Per dare l’effetto wow in un paio di punti sono stati aggiunti effetti in post, ma che fanno assolutamente gioco alla narrazione.
Serena, il videoclip si trova in una fase di convergenza molto più ampia rispetto ai decenni precedenti. Questo per l’accelerazione dei media digitali e per il modo in cui forme diverse, dall’animazione alle arti performative, confluiscono in questo territorio ibrido e sintetico, che non è cinema, che non è videoarte, che non è danza, che non è animazione, che non è teatro, che non è advertising, ma probabilmente è tutto questo. La domanda: pensi di cimentarti nuovamente con questa forma?
Serena: Il teatro di figura è stato utilizzato diverse volte nel cinema, come, ad esempio, nel film “La Storia Infinita”, ma anche in programmi televisivi di varietà, per esempio i Muppet, frammenti di Topo Gigio nei programmi per bambini o il Dodò dell’Albero azzurro per esempio. Durante la pandemia ho colto l’occasione di sperimentare sketch con ombre e burattini da mostrare in video. Nonostante i buoni risultati, credo di preferire maggiormente l’arte visiva dal vivo, per la vicinanza che stabilisce con il pubblico. In ogni caso lascio ogni porta aperta e ogni possibilità di sperimentare nuove forme di visione del mio mestiere