lunedì, Novembre 25, 2024

Deradoorian – The Expanding Flower Planet: la recensione

Angel Deradoorian torna dopo Mind Raft EP, prima uscita solista a distanza ravvicinata dall’ultimo lavoro condiviso insieme ai Dirty Projectors, Bitte Orca, entrambi pubblicati nel 2009.

La struttura ritualistica e circolare della sua musica trova uno sviluppo ulteriore in questo primo lavoro sulla lunga distanza, il cui titolo pare abbia avuto origine da una frase ricamata sopra un mandala floreale, posizionato sulla carta da parati dello studio dove la musicista di origini armene e stanziata a Brooklyn, lavora.

Allo stesso tempo, è proprio Angel Deradoorian a fornire una possibile interpretazione per il titolo del suo nuovo disco, sottolineando la necessità di trascendere un’esistenza saturata dalla tecnologia, verso un’idea cosmica più vasta che consenta l’elevazione collettiva dal mondo materiale.

Accompagnata da un set strumentale non così distante da quello che porta con se sul palco, la Deradoorian si inventa un crocevia sonoro dove sia possibile far confluire pop, Jazz, gospel, musica etnica e un approccio ritualistico alla struttura compositiva, basata sulla ripetizione di alcuni pattern ritmici, come nella trance music e nella tradizione della musica meditativa. Citando spesso tra le sue influenze i Can di Ege Bamyasi, la Dorothy Ashby di The Rubaiyat of Dorothy Ashby e l’Alice Coltrane di Monastic Trio, chiarisce un percorso che trova l’elemento apicale nell’incrocio tra musica performativa (Jazz, impro, soul) e world music.

Il risultato è di rara potenza e creatività, non solo per l’esplorazione di nuove intuizioni armoniche, ma sopratutto per il modo in cui queste vengono applicate a numerose tradizioni, delineando un ponte ideale tra oriente e occidente come forse accade solo nella musica di Wildbirds and peacedrums e nell’esperienza solista di Mariam Wallentin.

Non è allora solo la lezione dei Can che emerge dalla title track, perchè nel suo corso prende forma un vero e proprio ibrido tra il sistema modale persiano, Laurie Anderson e la libertà performativa di Meredith Monk, il tutto con quella comunicatività e concisione “soul” che trova linfa vitale nella coralità ascensionale che confonde prodigiosamente oriente e occidente. Già in questa traccia la Deradoorian conferma la sua abilità nell’utilizzo della voce come uno strumento, e mentre in altre tracce si servirà insieme ai synth della Roland anche di un set di flauti, qui è la voce che sostituisce i legni e gli strumenti a fiato con alcune sovrapposizioni corali da brivido.

Se Violet Minded elabora una strana fusione tra musica barocca e la psichedelia dei Gong, complice una bassline che in parte deriva dal lavoro con i Dirty Projectors, ma che qui è decisamente oltre nella ricchezza dello spettro armonico sempre in bilico tra più tradizioni e timbricamente vicina al Jazz Zappiano di Hot Rats; Komodo sembra posseduta da molteplici tradizioni mettendo al centro l’attenzione allo spazio che caratterizza l’esecuzione della musica tradizionale giapponese del periodo Edo, dal Koto allo Shakuhachi, la cui influenza emerge in tutti i brani in cui Deradoorian si serve dei flauti. Eppure il suono che viene ricreato nel brano evoca anche quello di un dulcimer, crocevia di tradizioni diatoniche che connette la Scozia alla musica dell’est europa, la Cina agli appalachi, in un percorso che arriva al modo in cui la musica per il cinema si è servita di questo stesso patrimonio tradizionale immergendolo in nuove combinazioni popolari, tant’è la voce di Angel qui segue percorsi modali, ma anche vicini al confine tra musica colta e pop, per come era stato lambito dagli esperimenti di Edda dell’Orso insieme ad Ennio Morricone.

La musica di Deradoorian emerge quindi in uno spazio possibile, perchè sia che si tratti del medioriente di The Invisible Man o del desert rock di DarkLord, un mondo sonoro non assorbe mai del tutto il senso e l’obiettivo del brano, tante sono le sovrapposizioni e la ricerca di un sincretismo che superi l’idea di contaminazione, rivelando al contrario un terreno comune più del gioco post-moderno basato sull’accumulo di frammenti eterogenei.

In questo senso The Expanding Flower Planet punta alla trascendenza come tentativo di ricerca attraverso numerose vibrazioni confluite in un solo strumento o se si vuole, percorrendo la complessità dell’ordito con la semplicità della dotazione strumentale.

Frutto di alcune sessioni di home recording a Baltimora e a Los Angeles, l’album di Deradoorian è stato in realtà completato in numerose location, dal Topaz Chamber studio di Kenny Gilmore ad una chiesa di Los Angeles, quest’ultima teatro ideale per conservare  il riverbero spaziale e ambientale. L’attenzione allo spazio sonoro è allora assolutamente nodale per capire, non solo tecnicamente, la prassi di questa straordinaria artista, dove tutti gli strumenti, come ha avuto modo di raccontare “acquisiscono un significato nel loro spazio esecutivo specifico, per vivere e respirare quello stesso spazio” e raggiungere una forma trascendentale, oltre la barriera materica del suono.

Deradoorian – “A Beautiful Woman” Live

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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