Quello di DRE è un mondo ipnotico, spazio creativo e immaginale “fuori dal mondo”, dove sia possibile lasciarsi andare. Aggettivi come psicotropo, lisergico, optical, visual descrivono solo in parte gli orizzonti che la fusione di suono ed elementi visuali contribuiscono ad individuare nell’arte di DRE, senza che vi sia un ordine prioritario tra gli elementi in gioco. Ecco perché la sua sperimentazione trova nella rete lo spazio più adatto per potersi espandere dalla forma “trance” a quella visuale, attraverso un veicolo che eccede i confini del videoclip per come lo abbiamo conosciuto negli ultimi venti anni del novecento.
“Don’t Call Me Artist” è quasi un manifesto programmatico. Anonimo, ad eccezione dei manufatti digitali che produce, l’artista si definisce fotografo, pittore, producer, artista visuale e digitale, musicista. Mentre il suo nome e la sua reale identità rimangono totalmente anonimi, siamo riusciti a fare una ricca conversazione con lui attraverso Hannah, parte del suo team e ufficio stampa.
Il terzo e ultimo album di DRE si intitola “Club” ed è un viaggio non convenzionale nei territori IDM/Trance.
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DRE, l’intervista anonima
Partirei da un brano di cui non esiste ancora l’elemento visual: synesthesya. più che altro ci interessa il significato del termine, perché i tuoi lavori sembra che vadano nella direzione di alcuni visuals, ovvero quella di cercare un connubio tra suono elettronico e immagine digitale, tracciando tutte le connessioni possibili tra il primo e l’elemento visuale. è così?
Synesthesia è un brano contenuto nell’album ‘Killer Rabbit’ dal ritmo soft electro trance, in fondo molto diverso dal secondo ’Second’ e per molti aspetti quasi lontano anni luce dall’ultimo ‘Club’. Synesthesia è un viaggio onirico dettato da alterazioni visive e distorta percezione sensoriale. Attraverso l’immaginario in bianco e nero di Synesthesia si possono intravedere tutti gli altri colori. I video creati dall’artista sono proiezioni di visioni lisergiche che hanno avuto frutto solo per alcuni brani, almeno per ora. In questa Synesthesia il concetto di produzione di contenuti visuals è lasciato all’ascoltatore che può trarre dalle sue stesse percezioni un contenuto immaginario che si può definire chiudendo gli occhi e pensando di vivere in un mondo a colori distorto dalla realtà, bianca e nera, anche senza l’ausilio di sostanze stupefacenti. Le connessioni in effetti partono proprio dalle sinapsi e dalla distorsione delle stesse, o meglio, da quelle sensazioni che ti regalano visuals anche quando non produci fisicamente una clip; quasi come la stimolazione che induce ad una reazione parossistica nell’effetto trigger.
Che tecniche utilizzi? nonostante una certa omogeneità a livello estetico, il bianco e nero per esempio, le tecniche sembrano diverse. Puoi aiutarci ad individuarle?
Per quanto riguarda la meccanizzazione del prodotto visual i video dell’artista sono un mix di alcuni brevi video samples e particolari creati appositamente, lavorati in digitale partendo spesso da una base ricca di contenuti con colori vivaci resi poi ‘piatti’ e trasformati in grafica con effetti ‘sintetici’ tramite il software Final Cut Pro®. I passaggi per raggiungere la resa desiderata sono generalmente molti. Si tratta di unire in mix molti frame con un ‘collante’ unico che ‘sfrutti’ il brano il più possibile, nella sua interezza, e che trovi senso e spazio nella mente dell’artista. Il risultato sono frames in loop, distorsioni della realtà, transizioni luminose, immaginari.
Alcuni video hanno una consistenza più legata ai fenomeni luminosi, e quindi di matrice ottica, altri invece sono esplicitamente legati al design digitale. In entrambi i casi ci sembra che la dimensione sia quella “optical”, anche in riferimento alla stessa storia dell’optical art
L’optical art è un’influenza importante per l’artista e regala spesso stati d’animo e pensieri che lo hanno immerso in mondi lontani dove quasi tutto prende forma e assume una connotazione diversa, alle volte positiva, altre negativa. La traduzione in video di fenomeni luminosi, optical e di grapich design sono le proiezioni degli stessi fenomeni ‘visualizzati’ dallo stesso artista nei periodi di ‘trance’ utili a comporre i brani, prima di comporre i video; sono le distorsioni create dalla mente stessa dell’artista nelle fasi in cui alcune sostanze hanno paradossalmente reso tutto più chiaro e nitido.
La forma del videoclip in quello che fai è forzata fino ai limiti del visual, tanto che i tuoi frammenti ci sembrano adatti alla dimensione ipnotica della performance live. cosa ne pensi?
I concetti di ipnotismo e live sono un punto fondamentale e molto importante. Il progetto ’The Rabbit’ è per la maggior parte un ideale, ma concreto, tangibile e chiaro e ’nasconde’ un artista in totale anonimato che dimostra di avere punti saldi e fermi e di creare (come prima fa nella propria mente) un futuro realizzabile. l’idea di ‘catturare’ l’emozione di chi ascolta e guarda parte dal bisogno di concretizzare più aspetti legati ai sensi fino a forzare, a spingersi oltre, ad immaginare ancora oltre, perché no? In un mondo in cui il desiderio di evasione per alcuni può essere quello di tuffarsi in un mondo come quello di DRE per altri, perché non performare con uno spettacolo che coinvolga in una sorta di teatro sensoriale dove ci si può immergere con lo sguardo e si può ascoltare ad occhi chiusi, dove si possono cercare e trovare euforia, gioia, eccitazione, pianto, eccitazione? Uno spazio in cui ci può ‘lasciare andare’.