Che nel percorso doloroso di Mark Oliver Everett i suoi racconti ammonitori abbiano assunto un valore pacificante lo si è percepito chiaramente durante il concerto dello scorso 17 luglio nella splendida cornice del Teatro Romano di Fiesole. Giocando con il valore culturale di quelle “rovine” si è divertito a raccontare la sua provenienza adottiva Losangelina come priva di tracce così possenti, quasi fosse un esorcismo beffardo da esercitare sulla compresenza tra storia e morte; e in un certo senso ha proseguito sulla stessa linea di un umorismo crepuscolare ma assolutamente brillante, introducendo i primi cinque brani in scaletta come dei veri e propri “total bummer”, cercando di restituire all’immagine del perdente la feroce ironia di un crooner che sta a metà tra romanticismo e dolore, intrattenimento pop e introspezione, tanto che l’introduzione del concerto con “Somewhere Over the Rainbow” ci ha fatto pensare, per attitudine, postura e arrangiamenti all’Harry Nilsson orchestrale, quello tra etilismo e la hollywood classica di “A Little Touch of Schmilsson in the Night”. E con il songwriter Newyorchese Mark Oliver Everett ha molto in comune, sopratutto adesso che si trova ad attraversare a ritroso alcune fasi salienti della sua scrittura, con gli ingredienti di un pop agrodolce, tra derive Bacharachiane, country-blues rurale, Jazz Waitsiano e un gusto circense che innesta la cultura di un autore prettamente fine ’90 in certe forme popolari che erano care a musicisti come Randy Newman. È un live davvero molto bello e chiaroscurale quello che Mark Oliver Everett sta portando in giro, con una band straordinaria che oltre al suo piano verticale, aggiunge due timpani, campane tubulari, Xilofono e una batteria molto incline a forme swing, un contrabbasso cronometrico, due chitarre aggiuntive e la “croonerie” di Mark che si muove tra piano e chitarra con quella disinvoltura e allo stesso tempo quell’umanissimo impaccio che cerca sempre un aggancio comunicativo con il pubblico. Privilegiando per lo più il tono crepuscolare di “The Cautionary Tales Of Mark Oliver Everett” e quello tra luce e malinconia di “Daisies Of The Galaxy”, terzo album a nome EELS pubblicato nel 2000, gli EELS sul palco giocano con il repertorio fino a trasformare (giusto per fare un esempio) un brano come “I Like Birds” in un pop-soul indiavolato e potentissimo. Quasi sul finire, prima del bis, Mark Oliver Everett recupera tutta l’energia e l’affetto che gli arriva dalla platea chiedendo un abbraccio, e di fatto si lancia verso la cavea del teatro per stringere gli spettatori accorsi per toccarlo, in modo del tutto casuale. Stupisce che in un gesto come questo ci sia un’affinità attitudinale apparentemente vicina a quella di Cody Chesnutt, dove alla vibrazione si sostituisce una voglia di comunicare forse più laica e vicina a chi ascolta con il proprio bagaglio di gioie e dolori.