Blixa Bargeld e Soci arriveranno a Firenze per uno dei tre imperdibili concerti italiani che li vedranno sul palco di Sesto al Reghena in occasione di Sexto’nplugged il prossimo 5 luglio; a Bollate il prossimo 6 luglio per il Festival di Villa Arconati ed infine a Firenze il 7 luglio al Teatro delle Mulina.
Le prevendite sono attive attraverso il circuito Ticketone, da questa parte
Lament è l’ultimo lavoro del combo, nato su commissione durante le iniziative di commemorazione del primo conflitto mondiale e che i nostri hanno ovviamente trasformato in un’esperienza unica e molto diversa dai presupposti. Il progetto viene finanziato dalla regione autonoma delle Fiandre, teatro particolarmente feroce del conflitto, che i Neubauten raccontano con la furia di un lamento anti-celebrativo partendo da un percorso di ricostruzione filologica che ha consentito, tra le altre cose, di recuperare suoni originali, cilindri di cera con le voci incise dei prigionieri di guerra e registrate in una condizione forzata, proseguendo così la sperimentazione fatta da Philip Scheffner con il medesimo materiale per il suo film “Half moon camp“, quasi tutto incentrato sulle registrazioni fatte a Wünsdorf, vicino a Berlino, dove erano stati segregati anche prigionieri di confessioni non cristiane.
Quello che muove Lament in prima istanza è quindi il rigore di una prassi documentale, attraverso la quale gli Einstürzende hanno setacciato i Lautarchiv della Humboldt University per raccogliere materiale storico da trasfigurare nell’esperienza sonora mettendo al centro dispositivi e strumenti non convenzionali così da produrre quel rumore in grado di generare nell’ascoltatore l’orrore per la guerra, con intenzioni che ribaltano completamente le necessità commemorative.
È lo stesso Bargeld che definisce il soggetto come per niente gradito al suo cuore, tema che gli consente quella distanza analitica necessaria e che affronta attraverso l’estetica del frammento.
Sono moltissimi e non tutti semplicissimi da decriptare gli elementi che concorrono alla costruzione di Lament, dal carteggio epistolare tra il Kaiser Guglielmo e lo Zar Nicola II, ricostruito dettagliatamente e recitato insieme ad Alexander Hacke con la distorsione dell’auto tuning, approccio quasi vaudeville che ricorda la sperimentazione di Bargeld stesso a metà tra avanguardia e stand up comedy nel suo Rede/Speech per come ce lo ha raccontato direttamente qui su indie-eye, e che fa il paio con il recupero di un pezzo teatrale di Joseph Plaut del 1914 re-interpretato con il filtro delle “impressioni animali” e legato al percorso dello stesso Plaut, attore di origini ebraiche attivo nel teatro popolare, performer dagli infiniti dialetti arruolato nell’esercito prussiano e poi fuggito dalla Germania alla volta della Svizzera nel 1936 per la feroce ironia con la quale già interpretava e immaginava la nascita del Nazismo.
Lo stesso procedimento che consente ai Neubauten di inserire questo pezzo di storia tedesca attraversa il recupero di un brano del repertorio degli Harlem Hellfighters, la formazione militare afro-americana arruolata in Francia e fuori dagli states per motivi razziali, che implementava una ragtime band all’interno della truppa registrando in quegli anni alcuni dischi che documentano tra musica e racconto la loro esperienza al fronte. Il soprannome di Hellfighters venne affibbiato alla formazione proprio dai nemici tedeschi.
“On Patrol in No Man’s Land“, uno dei due brani degli Harlem Hellfighters re-interpretati dai Neubauten, viene contaminato dalla lettura di Bargeld di un resoconto di guerra vergato dai tedeschi che descriveva la ferocia degli afro-americani durante il combattimento, raccontati come “diavoli capaci di sorridere mentre uccidono”. Il materiale diventa una sovrimpressione con il refrain del brano “Get the bloody boys! Get them on the bayonet! Ram them on it!” che i Neubaten strappano dalla tradizione rag per adattarlo all’incedere funereo della musica Weilliana.
Sono solo alcuni degli elementi che costituiscono il lavoro di Bargeld e soci, quasi mai sbilanciato dalla parte solamente documentale, ma costantemente attraversato dalla relazione organica-inorganica con gli strumenti e i dispositivi elettronici secondo una concezione che sulla carta è immediatamente orientata alla performance teatrale: “l’intero album è concepito come una performance – ha detto lo stesso Bargeld – ed è stato scritto in questo modo, con l’idea che fosse un momento di teatro“.
Einstürzende Neubauten: Kriegsmaschinerie
In questo senso, vedere dal vivo il campionario di materiali che concorrono a creare il rumore della guerra è un’esperienza assolutamente unica. Andrew Unruh sostituisce percussioni e il set tradizionale con elementi di metallo, acqua, fuoco, sabbia, carne, materiali plastici ai quali si aggiungono le registrazioni d’epoca. La natura dei materiali cambia di set in set in relazione ai brani eseguiti, in questo senso l’esecuzione di Lament, per quanto sia guidata da un concept narrativo di grande spessore, non è mai la stessa perché risiede proprio in quello spazio liminale tra il concept e il racconto, prendendo vita nel contesto performativo
E il metallo ovviamente non manca negli show dedicati a Lament, quasi sempre introdotti dal clangore che stride con il quartetto d’archi già sul palco mentre crea una crescente cacofonia insieme alla chitarra di Jochen Arbeit. Il concerto si apre quindi con “Kriegsmachinerie” esattamente come l’album, per ricreare l’incedere della macchina bellica attraverso l’emersione del rumore. Ma la nuova strumentazione che vedremo sul palco include anche un’arpa modificata con il filo spinato, delle stampelle amplificate con le quali Hacke deambula sul palco mettendo insieme tragedia e slapstick con una potenza performativa mai vista.
Marlene Dietrich: Sag Mir Wo Die Blumen Sind
Generalmente nei concerti dedicati a “Lament” gli Einsturzende inseriscono alcuni brani dal loro repertorio negli encore, come ‘Let’s Do It A Dada‘ e ‘Ich Gehe Jetzt‘ garantendo quindi un’esecuzione unitaria del loro ultimo lavoro che trova probabilmente il suo apice nella resa di Hymnen, metissage del repertorio innodico nazionale prima della guerra passando dalla lingua tedesca a quella francese e inglese con quel senso dell’ironia che contraddistingue l’ultima fase della loro carriera e di quella di Bargeld. Basta pensare al modo in cui Bargeld re-interpreta dal vivo il classico di Pete Seeger “Where Have All the Flowers Gone” pensando a sua volta alla versione prima cantata in francese e poi in tedesco con i testi di Max Colpet da Marlene Dietrich a partire dal 1962; Blixa si presenta sul palco tra grandeur e parodia della grande attrice tedesca con un costume di carta de-costruito, più che ri-costruito, a partire da quello di piume bianche della Dietrich conservato nel museo del cinema a Berlino.
Einstürzende Neubauten: Sag Mir Wo Die Blumen Sind
È proprio su questo brano che Bargeld ha raccontato in alcune interviste l’approccio combinatorio con il materiale: “Se c’è una cosa per cui non è possibile criticare la Dietrich è il fatto che in vita non abbia mostrato abbastanza il suo anti-fascismo. Pete Seeger, l’autore del brano è morto il giorno dopo la nostra decisione di lavorarci sopra. La musica di Seeger non è più stata suonata nelle radio dopo la denuncia della commissione per le attività anti-americane. Seeger è uno dei musicisti più importanti degli ultimi 100 anni. Le canzoni creano sempre altre canzoni; Max Colpet, sceneggiatore di Billy Wilder scrisse una versione tedesca della canzone per il mercato statunitense, aggiungendo due versi molto graditi da Seeger, che conosceva il tedesco e facendola arrangiare a Burt Bacharach, un arrangiamento geniale che abbiamo preso in considerazione trasformandolo in qualcosa alla Neubauten”
È una coscienza storica di spessore quasi Benjaminiano quella di Bargeld e dei Neubauten, viaggio sulle macerie del tempo come l’angelo della storia di Walter Benjamin, quello dell’Angelus Novus di Klee con il volto rivolto al passato, mentre si allontana “da qualcosa su cui fissa lo sguardo“. La Dietrich, nel lavoro di Bargeld, sembra trasfigurata attraverso il suo perpetrarsi attraverso la storia in un avvitamento tra presente e futuro, come nel lavoro di Suzanne Kosmalski che nelle sue installazioni dedicate all’attrice tedesca lavora sull’apparire dell’immagine rappresentandone proprio la sua progressiva dissoluzione.
Immaginario anche post-industriale che racconta la città stratificata come una flanerie tra stupore e orrore dove la Dietrich era già apparsa in un testo dei Neubaten, quello di Die Befindlichkeit des Landes dove i nuovi templi si configurano già come future rovine e sopra le reti di bunker che non è possibile eliminare sorge la Marlene-Dietrich-Platz: “Über den Schaltzentralen | Über dem Stoppelfeld aus Beton | Über heimlichen Bunkeranlagen | die nicht wegzukriegen sind | Marlene go home! | auch über dem Marlene-Dietrich-Platz”
Lament, sopratutto dal vivo, subisce quindi questa stratificazione all’interno della storia strumentale degli stessi Neubauten perchè ne rappresenta l’approdo dopo aver accumulato lungo questi decenni di attività un arsenale di strumenti adattati e ricostruiti, passati in rassegna sul palco sia sotto forma di auto-citazione sia come elaborazione di quelle tecniche sfruttate in altri contesti, qui al servizio di un’ulteriore re-invenzione del loro stesso passato.
La guerra è anche quella degli stessi Neubauten, la cui storia potrebbe esser declinata al futuro anteriore.
We didn’t die
We didn’t die
We are back with a different song
We didn’t die
We didn’t die
We’re just singing a different song
we are back with a change of weather
ein anderer Wind, ein neues Lied