venerdì, Novembre 22, 2024

Emma Tricca – Relic: la recensione

La prima cosa da evitare parlando di Emma Tricca è quella di ricorrere alla stra-abusata retorica dei cervelli in fuga, buona forse in altre occasioni ma non certo in questa. Emma è nata in Italia per poi trasferirsi altrove, questo è vero, ma il suo viaggio era qualcosa di naturale per lei e lo si capisce ascoltando la sua musica, che ha radici soprattutto tra Inghilterra e Stati Uniti, punti di approdo del suo vagare artistico. Non cerchiamo quindi storie strappa-lacrime che non le e ci appartengono e parliamo di musica, di ottima musica, fatta da un’italiana che è più che altro cittadina del mondo.
Relic è il secondo album di Emma, a distanza di ben quattro anni dall’esordio, Minor White, che fu ben accolto da critica e pubblico grazie alla sua semplice, quasi disadorna, bellezza, esaltata dalla voce cristallina della sua autrice. La formula si ripete anche in questa occasione e funziona ancora. Emma ha infatti una padronanza assoluta dei propri mezzi, una grande conoscenza dell’epopea country folk in cui la sua musica va ad innestarsi e, cosa molto importante se non imprescindibile, sa scrivere belle canzoni con apparente facilità, traendo ispirazione dalla tradizione nord-americana e britannica e dal meglio del songwriting e del canto degli anni 60-70, da Joni Mitchell a Sandy Denny.
In Relic ci sono dieci brani, tutti di ottima qualità, frutto di una grazia innata e in grado di farci dimenticare per una trentina di minuti dei dolori terreni, cullati dalla voce di Emma e dai pochi strumenti (una chitarra e qualche effetto solitamente) che la accompagnano. Difficile scegliere i momenti migliori tra tanta bellezza, ma ci proviamo comunque citando Sunday Reverie, piccolo carillon di una dolcezza disarmante, November At My Door, dove la vocalità cristallina della Tricca raggiunge i suoi picchi tecnici ed interpretativi, The Painter, il brano più elaborato con belle parti di piano a guadagnare visibilità e a dare sprazzi di classe, e Drunken Conclusions, sbornia melanconica che anticipa la delicata chiusura con Golden Chimes (Relic).

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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