Nina – l’appassionato tributo che lo scorso Dicembre gli Xiu Xiu hanno offerto alla cantante e pianista americana Nina Simone – si è rivelato inaspettatamente uno dei migliori prodotti della stagione appena conclusasi. Registrato in presa diretta con un team di fidati collaboratori, l’album ha riportato alla luce lo stile compositivo fratturato e radicale che aveva caratterizzato gli esordi del gruppo. Siamo tornati ad occuparci della cosa, contattando Jamie Stewart per una nuova intervista, in cui il mastermind degli Xiu Xiu ha approfondito le ragioni che lo hanno portato a concepire questa raccolta di cover, oltre a darci alcune anticipazioni sul nuovo album di inediti “Angel Guts: Red Classroom”, previsto per Febbraio.
Caro Jamie, è un piacere averti ospite ancora una volta qui su Indie-eye. Vorrei cominciare con una domanda relativa alla genesi dell’ultimo album. Nella cartella stampa di “Nina” vengono menzionati gli Swans e la loro “splendida ostinazione”. A tale proposito, hai dichiarato che la loro condotta ti è servita da esempio per superare un momento difficile. Sembra quasi che, nella cornice del disco, la figura di Michael Gira venga omaggiata tanto quanto quella di Nina Simone. Potresti dirci qualcosa in più circa questo tributo nel tributo?
Durante un tour in cui aprivo i concerti degli Swans è capitato che io e Michael discutessimo la nostra comune passione per la musica di Nina Simone. La sera successiva ho fatto un concerto penoso, mi vergognavo da morire. Mentre mi ubriacavo nel backstage ascoltando in cuffia un disco di Nina, le deflagrazioni live degli Swans si sono insinuate attraverso la registrazione. Come sottolineavi, l’ostinazione del gruppo mi ha ispirato, e ho pensato che confrontarsi con la musica della Simone avrebbe costituito una sfida degna di questo nome.
Considerando quanto detto fin’ora, ritieni che gli Swans abbiano in qualche modo influenzato anche i paesaggi sonori di Nina? L’album mi sembra il tuo più esplicito sforzo in senso avant-garde da molti anni a questa parte. Gli arrangiamenti free-form di alcuni brani mi hanno persino fatto pensare ai This Heath del primo disco omonimo.
In termini di riferimenti stilistici non mi sembra che Nina suoni come un disco degli Swans. Tuttavia, dal momento che gli Swans si ostinano ad essere inesorabilmente sé stessi, e dal momento che Nina si ostinava ad essere inesorabilmente sé stessa, possiamo dire che questo disco cerca di seguire il loro esempio.
La cartella stampa menziona il fatto che gli arrangiamenti dell’album siano stati curati dal tuo collaboratore di lunga data, Ches Smith. Al di là dell’aspetto canoro, quale è stato il tuo apporto creativo all’album? Avevi un’idea precisa di dove andare a parare in termini musicali quando hai cominciato a pensarci? Quanto è stato pianificato in precedenza, e quanto improvvisato in studio?
A parte cantare non ho fatto assolutamente nulla. Il bello di lavorare con uno come Ches Smith è che posso dirgli “fa’ tua questa cosa!”, ed essere sicuro che ci metterà tutto l’impegno possibile. Ha passato diversi mesi a studiare gli arrangiamenti. Parte del disco è improvvisato, ma si basa comunque sul suo accurato studio creativo. Abbiamo provato con il gruppo per un paio di giorni e poi registrato tutto al primo o secondo take. Vedere ed ascoltare il disco che prendeva forma è stato meraviglioso.
Quale è stato il criterio che ti ha portato a scegliere determinati brani? È una semplice raccolta di canzoni che ami o hai provato a tracciare un qualche tipo di percorso concettuale? Quanto hanno contato i testi o la vena politica della Simone nella scelta?
Mi piacerebbe poter dire che dietro al disco c’è una profonda base concettuale. In realtà si tratta semplicemente di canzoni che amo. Canzoni che mi hanno commosso profondamente, da cui ho imparato moltissimo, canzoni i cui testi avrebbero potuto essere cantati da un ragazzo bianco della classe media nato nel 1978, senza che l’operazione risultasse orribilmente offensiva. Alcuni dei brani eseguiti mantengono elementi riconoscibili, ma nella maggior parte dei casi gli arrangiamenti sono talmente estremisti da cancellare ogni traccia delle canzoni originarie.
Come mai hai deciso di approcciare la musica della Simone in maniera così radicale?
Nina era una persona radicale. Quel che mi ha sempre incuriosito di lei, oltre la sua voce, il suo talento e il suo coraggio a livello politico, è proprio il fatto che fosse così anticonvenzionale. Se guardi la registrazione di una sua qualunque performance, ti accorgerai che dal vivo metteva a nudo completamente la sua essenza, senza alcun timore di sembrare demente o pazza. È questa parte di lei che ci ha ispirato in misura maggiore. Approcciare la sua musica in maniera troppo ovvia non avrebbe avuto senso.
Tornando al concetto di “splendida ostinazione”… Quali sono le maggiori difficoltà a livello pratico/finanziario che un musicista come te si trova ad affrontare? Ricordo un’intervista in cui i Father Murphy demolivano il mito degli USA come mecca dell’underground, rivelando che i compensi per le esibizioni live da voi sono persino più bassi che in Europa. Come fai a tirare avanti, e cosa ti spinge a tirare avanti in questo contesto?
Madre di Dio, se fossi in questo settore per i soldi avrei già dato forfait! Tieni presente che prima di fare il musicista a tempo pieno insegnavo ai bambini dell’asilo e guadagnavo 8 dollari l’ora, dunque ero già ben cosciente di cosa significasse sbarcare il lunario. Tuttavia la musica è un universo strano e, anche se non ti permette di guadagnare molto, offre a volte opportunità insolite. I ricchi, per esempio, adorano sentirsi fighi, e per qualche strana ragione pensano che i musicisti siano fighi. Quindi in certe occasioni aprono le loro feste e le loro camere da letto ad un mucchio di pezzenti mezzi sordi, nel tentativo di non annoiarsi. È grazie a questo che ho sviluppato un gusto raffinato. È una faccenda davvero divertente, un concentrato di equivoci e dissolutezza.
Chiudiamo con un’anticipazione sui tuoi progetti futuri. Che cosa dobbiamo aspettarci dal nuovo album di inediti previsto per Febbraio?
“Angel Guts: Red Classroom” affronta temi come crimine, doppia penetrazione, doppio suicidio, l’apocalisse e il significato dell’amore, il quartiere di Los Angeles chiamato MacArthur Park, la Santa Muerte e le implicazioni razziali della sessualità. Solitamente le nostre influenze sono molto eterogenee, ma in questo caso ci siamo concentrati su pochi elementi. Ci siamo ispirati agli Einstuerzende Neubauten, a Nico, a Scott Walker, al lato sperimentale dei Kraftwerk e dei Suicide. La musica è prodotta esclusivamente grazie a sintetizzatori analogici, field recordings, una batteria elettronica analogica e una batteria acustica. Per la prima volta in tour non suonerò la chitarra. Mi limiterò a cantare e a scheggiarmi gli stupidi denti contro lo stupido microfono.