Ognuno avrà avuto il suo preferito. Il mio ad esempio era Silvestri (qui recensito nel suo concerto al Viper di Firenze), chi mi accompagnava apprezzava i movimenti da folletto di Fabi. Questo prima del concerto.
Tra le migliaia di persone del Mandela Forum presente il 3 novembre, dalle 21.30 fino alla mezzanotte passata, la maggioranza avrà cambiato decisione sui suoi preferiti, facendo crollare la propria indomita passione da fan ventennale o della prima ora.
Spero che con questo concerto possiate aver capito che il collettivo è sempre meglio del singolo. Questa all’incirca la frase di chiusura di Niccolò Fabi per la serata che lo ha visto protagonista, assieme ai suoi compagni Daniele Silvestri e Max Gazzè di un fortunato concerto. I tre si sono preparati vent’anni per arrivare a questo traguardo? Non credo. Il collettivo si è unito artisticamente circa un anno fa, ha addirittura intrapreso un viaggio in Africa con Medici con l’Africa Cuamm, onlus che Fabi segue da anni, per cementare un’amicizia che c’è stata per più di vent’anni ma che non doveva diventare solo jam session.
E jam non fu.
Chi vuol suonare deve prima imparare ad ascoltare. La leggerezza che li unisce, la concreta passione che li avvolge nonostante i percorsi sinceramente divergenti, il calore che esprimono con pochi versi, uno sguardo, un solo accordo. La preparazione al tour de ‘Il padrone della festa’, primo disco del collettivo, è stata fatta in Europa, in solitaria, con una cassa e qualche ammennicolo per riprodurre la sezione ritmica. E così è partito il concerto: Alzo le mani, l’accettazione del fatto che il mondo è un’altra cosa ed è quello il vero suono che amiamo più di tutto, e via andare con moltissimi pezzi simbolici dei tre.
Tu sorridigli sornione. Avrebbero potuto suonare tutte le 12 tracce de Il padrone della festa, avrebbero potuto fare gli stronzi e suonare solo le canzoni più conosciute, avrebbero potuto suonare con l’imbarazzo di un incontro occasionale, pianificato ma nei fatti non così voluto. Ma così non è stato.
Tutto è stato perfetto. La scelta delle canzoni, l’ordine di queste, l’accostamento tra i momenti maliconico-agrodolci (in cui Fabi è perfetto) e quelli decisamente più spensierati (dove Silvestri domina con Salirò). Una tripartizione si può fare, come fra tesi, antitesi e sintesi. Fabi è un piccolo compendio della vita quotidiana, un ‘diario degli errori’. Gazzè a volte arriva a picchi filosofici, come le radici del fratello autore, esplode su piccole gemme di amore puro e su scintille di ragione. Poi arriva Silvestri e unisce il tutto con metafore accostate a scorci di quotidiana sconsolatezza.
Fatece largo che passa il corteo. Facciamola finita co’ sta scena romana. Sì, i compagni di tour dei tre sono amici di lunga data e spesso nati e cresciuti negli stessi locali, nelle solite sale prove, nei bugigattoli vicino alle osterie. Due su tutti: Adriano Viterbini (che qui ho intervistato nella veste dei Black Friday) e Roberto Angelini, con una fama ritrovata grazie al romanissimo programma Gazebo di Rai 3. Però la romanità nasce e muore lì, nell’anagrafe. Il suono di un consolidato pop intinto di acustico, quello delle chitarre acustiche come primaria fonte di ispirazione, prima anche del pianoforte, è l’unica cifra stilistica che si può riconoscere in tutti e tre gli artisti. Poi stop.
Io non ho la religiosa accettazione della fine. Quasi 3 ore di concerto. Nella tracklist potete intravedere sessant’anni di carriera (vent’anni per tre), svariati Festival di Sanremo, il decollo e la morte della tv musicale commerciale, la rinascita, sempre un po’ sforzata, del pop intelligente e del cantautorato. Doveva essere logico un concerto così piacevolmente lungo (solo Springsteen ha precedenti di questo tipo). Un saliscendi di emozioni, con moderato uso delle proiezioni, soprattutto nei nuovi pezzi come Il padrone della festa, Alzo le mani, Life is sweet. Teatrini buffi come il botta e risposta con i pezzi più famosi dei tre ne L’avversario o lo smorzatensione di Corazon Espinado. E alla fine del concerto esce un bis, e poi un altro e poi un terzo. La cosa più sinceramente bella è la passione messa dai tre: Fabi più visibile nell’agitazione del momento, Gazzè nei sorrisi a mezza bocca, Silvestri nel cazzeggio.
Il 90% delle band italiane, statistica fatta un po’ a caso, nemmeno nel loro ultimo concerto prima di sciogliersi dopo una carriera incredibilmente stupenda riuscirebbero nell’intento di trasmettere la metà dell’entusiasmo di questo concerto. Ogni bis di FSG era un ringraziamento alla folla del Mandela Forum, nemmeno i tre fossero nati e cresciuti nella città del David.
Alzo le mani. I paragoni non sono mai carini. Ma nemmeno De Gregori e Dalla hanno saputo tirar fuori un tour così. Mi si dirà: ma loro la storia della musica italiana la stavano facendo in quel momento. Ma nessuno aveva coscienza di ciò, ribatto. E nemmeno ora con questo trio. Ma chissà che, se ancora non fosse chiaro, riporteremo queste tre figure nel posto che loro compete. In cima.