È un disco veramente impegnativo ma da cui non scappare quello dei Fedora Saura, pieno di riferimenti alti e portatore di una visione del mondo filosofica ancor prima che artistica e musicale, un manifesto ideologico per la rinascita dell’ Europa, vista come un’entità alla deriva non dal punto di vista economico e monetario, ma da quello ben più preoccupante dell’etica e delle idee.
Per farlo il collettivo svizzero di lingua italiana mette in scena una sorta di teatro-canzone ispirandosi senza paura al maestro Giorgio Gaber, spesso ricordato anche a livello vocale dal cantante/declamatore Marko Miladinovic, a volte in grado di giocare espressivamente con la voce come Carmelo Bene o di salmodiare ipnoticamente come Giovanni Lindo Ferretti.
Oltre a questi riferimenti “classici” ce ne sono però molti altri, specialmente per quanto riguarda lo spettro sonoro elaborato dalla band: all’interno dei sette brani che compongono La via della salute si può infatti ascoltare un po’ di tutto, grazie all’attitudine sperimentale e giocosa, oserei quasi dire progressiva o addirittura Rock In Opposition se non facesse venire in mente eccessiva seriosità e mancanza di prospettiva, dei musicisti. Tra le varie influenze le più evidenti sono quella della No Wave newyorkese, quella jazz-core, con un uso dei fiati molto particolare, quella post-punk in generale, con puntate nel reggae sulla scia dei Public Image Ltd e del basso di Jah Wobble, e quella della classica, vista però tramite la lente delle avanguardie di inizio Novecento.
La somma di tutti questi elementi dà risultati a volte stranianti, ma sempre accattivanti, con il suo acme nel lungo brano in tre movimenti Ex Europa Samba, 17 minuti in cui i Fedora Saura ballano sulle rovine del nostro continente tra ritmiche ipnotiche, chitarre grattugiate, passaggi teatrali accompagnati da un piano classico e un augurio di ritorno alla potenza e alla centralità ormai dimenticate da decenni. Gli altri brani, più diretti anche se comunque piuttosto elaborati, non sono da meno, ad esempio l’iniziale Peso/Mondo (Della civiltà civetta), che mescola benissimo Gaber e la sua critica alla civiltà dei consumi con ritmiche spezzate wobbliane, oppure la conclusiva Continentale (Artista visiva), che rilancia definitivamente l’Europa, o almeno ci prova, a passo di marcia post-punk.