Quando Samuel Bayer dirige tutti i video per il debutto dei Garbage è già un artista affermato da circa quattro anni. Smells Like Teen Spirit dei Nirvana è del 1991 e da quel momento in poi l’estetica del regista americano si consolida seguendo un tracciato ben definito che sembra guidato dalla necessità di tradurre in termini visuali le sollecitazioni dirette suggerite dalle liriche dei brani. Ma oltre a questo aspetto, che ha un valore relativo, diventa centrale la posizione del performer come azione di resistenza che si oppone alla messa in scena.
Dal video realizzato per i Nirvana, dove le difficoltà di lavorazione avevano consentito di elaborare un contrasto viscerale tra le esigenze di regia e il corpo irregimentabile di Kurt Cobain, Bayer esaspera il gioco al massacro, rivelando di volta in volta la presenza del dispositivo anche con interventi precisi in post-produzione, oppure allestendo ripetuti sabotaggi del set, la cui flagranza ovviamente non è più quella casuale del noto video diretto per la band di Seattle.
Il 1995 rappresenta un anno fondamentale per Bayer, perché è l’anno in cui realizza oltre ai video per i Garbage, due clip per David Bowie durante la promozione di Outside e Bullet with Butterfly Wings per gli Smashing Pumpkins, codificando una delle tendenze visuali del decennio per quanto riguarda saturazione e sporcizia dei colori, grazie anche al contributo di Beau Leon, colorist formidabile che ha donato tono e luce a video come Losing My Religion, The Hearts Filthy Lesson e lo stesso Only Happy When it Rains.
Alla distanza tra dispositivo e performance operata con le clip di Stupid Girl e Vow, attraverso due declinazioni del concetto di schermo, nel terzo video per i Garbage, Bayer incorpora tutte le tendenze videopittoriche, gli interventi di grattage digitalizzato e la retorica della performance in studio osservata da un dispositivo disincarnato, nell’uso esasperato e simbolico del colore. Più dei gesti che agganciano il significato della parola con un processo denotativo, è l’universo pittorico dove vengono immersi i Garbage a definire l’andamento della clip, tra outfit, sfondi, illuminazione e i relitti di un’officina dismessa non così distante da quella dove verrà allestito il balletto macabro e meccanico di The Hearts Filthy Lesson.
Il gioco autoironico di Shirley Manson, che irride il proprio songwriting e allo stesso modo tutta la teenage angst di quegli anni, viene riletto da Bayer con una parodia vera e propria del video dei Nirvana. La distruzione furibonda del set, la furia dei performer che si accanisce sugli strumenti, sembra più una performance artistica o la traduzione delle stratificazioni noise nel corpo pop del brano, attraverso l’utilizzo di trapani, seghe e altri attrezzi. Bayer segue il rimario sonoro e costruisce un video più attento agli aspetti sinestetici.
Ma soprattutto, c’è Shirley Manson, icona ibrida capace di tradurre l’energia sessuale delle liriche (Pour your misery down on me) attraverso un’indolente presenza che oscilla tra centralità e marginalità, fisicità ed evanescenza.
Bayer affronta tutto come se fosse una sessione di dripping post-pittorico. Interpreta quindi gli elementi di uno dei brani più erotici del decennio con un procedimento sensoriale che si affida al gesto, al movimento e al colore, passando in rassegna voyeurismo, penetrazione di corpi meccanici, decadenza e gioco infantile, gioia e l’improvvisa esplosione orgasmica di una pioggia argentata.