giovedì, Novembre 21, 2024

Girls Just Want to have fun: Cindy Lauper vs. Robert Hazard – Masculin Feminin

Usciva oggi 6 settembre 1983 il singolo di Cindy Lauper "Girls Just Want to Have Fun". riscrittura di un brano di Robert Hazard e making di un video sottoposto al controllo creativo dell'artista newyorchese.

Robert Rimato cresce a Philadelphia in una famiglia ben avviata nel mondo della musica. Più del padre tenore è la sorella ad iniziarlo alla passione per il rock’n’roll, tanto da spingerlo a suonare nei piccoli club della città durante i primi anni settanta. Dopo un apprendistato a base di folk, Country & Western e reggae, nei primi ottanta Robert Hazard and the Heroes diventano una delle band da tenere d’occhio nel sottobosco emergente di Philadelphia. Il primo EP ufficiale viene pubblicato nel 1982 in forma autoprodotta con il titolo di “Robert Hazard” e tra le cinque tracce contenute, figura il singolo “Escalator of Life” che si farà strada attraverso le radio locali fino a raggiungere la “Hot 100” di Billboard.

Anthem Rock ben radicato in quell’evoluzione proletaria di massa che coinvolge anche il roots sound della E. Street Band, quello di Hazard è un mondo genuinamente mascolino dove ai valori del neo-edonismo pop, viene contrapposta la fiera resistenza del rocker a contatto con le proprie radici: “Its a Zulu Nation / Seduction, sacrifice, a new sensation / Nothing ever changes / We’re riding on the escalator of life / We’re shopping in the human mall“. In questo senso, il controcampo ad “Escalator of Life“, la cui clip conferma il tono allegorico e critico nei confronti della MTV Era, è rappresentato dal video di “Change Reaction“, un vero e proprio ritorno a casa, a contatto con il pubblico della South Street, centro controculturale della città, dalla Beat era fino al Punk.

Se il successivo contratto con la RCA non aiuta Hazard a spingersi oltre la fama locale, a portargli fortuna in termini di royalties sarà un demo scritto distrattamente e subito dopo abbandonato, assorbendo di fatto una carriera che continuerà in tutt’altre direzioni. 

Girls Just Want to Have Fun” viene concepita dal musicista di Philadelphia nel 1979, durante una doccia rigenerante in un motel, incisa velocemente in versione demo e dimenticata fino all’interesse diretto di Rick Chertoff, produttore di Cindy Lauper alla ricerca di materiale per il debutto della cantautrice Newyorchese, intitolato “She’s so unusual“. 

A dispetto di alcune leggende metropolitane che proliferano in rete, tradotte direttamente nella nostra splendida lingua, il testo originale fu cambiato dalla Lauper in pacifico accordo con Hazard, che accettò di buon grado le modifiche richieste. Una “pax” creativa che non diminuisce affatto la qualità della scrittura della Lauper, come consapevole operazione combinatoria, né immerge il rocker di Philadelphia in una dimensione irreale, fuori da un accordo di natura commerciale.

Mentre la versione di Hazard è una vera e propria ode alla promiscuità maschile, declinata attraverso il consueto conflitto con la famiglia, costantemente impegnata a correggere le attitudini di un figlio perdigiorno, dove le donne rappresentano la croce e la delizia del divertimento stesso, quella rivista dalla Lauper conferma che l’autorialità di un pezzo, se esiste nei termini di “autorità” del soggetto, è strettamente connessa agli aspetti performativi, per come si manifestano entro un crocevia di istanze creative; istanze che possono rendere la paternità di un “testo” pop del tutto fluida. 

Il testo della Lauper mette al centro un soggetto femminile e apparentemente questo sembra condurre verso una disamina critica delle norme sociali che impediscono l’autodeterminazione di un genere rispetto ad un altro. Ma non è solo questo, perché ad essere invertita è anche la cronologia degli eventi. Al contrario della versione di Hazard, il primo dialogo è con la figura materna, mentre il padre subentra in un secondo momento, quando intercetterà una telefonata notturna della figlia. Lo status genitoriale viene di fatto invertito, affidando alla madre l’origine della sofferenza di genere (Oh mother dear we’re not the fortunate ones), mentre Hazard dialogava con il padre rivendicando il diritto alle sue notti brave, rispetto alla riconosciuta solidità della famiglia nucleare (Father dear, you are the fortunate one). 

Nella nuova vita di “Girls” la Lauper controlla ogni aspetto, dagli arrangiamenti che spostano la solidità granitica e fortemente identitaria del roots rock scritto da Hazard verso territori che mescolano giamaica e soul Motown (il contributo di Rob Hyman ed Eric Bazilian degli Hooters), fino alla creazione del videoclip diretto da Edd Griles, sodale dell’artista newyorchese fin dai tempi dei Blu Angel, la band retro-rockabilly in cui militava la Lauper.

Il brano di Hazard diventa allora un canovaccio, uno standard da riempire e completare con un diverso indirizzo creativo, relativizzando il concetto stesso di paternità autoriale in una forma che può essere definita come ri-scrittura. 

Il video di “Girls Just Want to Have Fun” approda su MTV in un momento fondamentale per le interpreti femminili. Il 1983 è l’anno delle Go-Go’s, di Madonna, di Pat Benatar, della nuova vita di Tina Turner, di Chaka Khan. La Lauper in particolare controlla ogni aspetto creativo del suo video, perseverando nell’intenzione di portare a compimento una vera e propria operazione autoriale. La costruzione di un’icona della videomusica procede di pari passo con le intenzioni di occupare lo spazio televisivo prima ancora di quello legato ad altri media. “Girls” è molti dei video successivi della Lauper, entreranno in rotazione su MTV prima della programmazione radiofonica.

Nel video di “Girls” la Lauper porta un pezzo della sua vita, non solo la vera madre ad interpretare quella della finzione narrativa, ma tutti i colori e le attitudini del South Village Newyorchese, tra strade, riferimenti e il cameo conclusivo di Steve Forbert, il cui apprendistato è quello del musicista di strada intorno al  Greenwich Village.

In questo senso, la sua dichiarazioni di intenti, diventa politica quanto quella di Rickie Lee Jones nella “Coolsville Trilogy” diretta da Ethan Russell, dove la connessione tra vita e azione diventa essenziale. Il deambulare tra città e scena famigliare, strada e festa, abita la stessa appropriazione identitaria entro uno spazio ibrido e di convergenza.

Parte di questa consapevolezza nel forzare le cornici del mezzo televisivo non è solo rappresentata dalla capacità di prolungare colori e toni della clip nei contenitori più noti della televisione mainstream, come il Late Night di David Letterman, dove la descrizione delle attitudini materne nella relazione con i pesci dell’acquario, sembra uno spin-off della messinscena iperrealista del video, ma anche attraverso alcune scelte desunte dall’immaginario televisivo statunitense, tra cui l’ingaggio del Wrestler Captain Lou
Albano, nella parte del padre. Idea che serve a parodizzare in modo estremo le dinamiche patriarcali in seno alla famiglia.

Sono due i movimenti opposti messi in scena nel teatrino casalingo; il primo è un’esasperazione del lip-sync con Lou Albano che “sottrae” il verso alla Lauper, sostituendosi di fatto al controllo narrativo del videoclip, usualmente affidato all’interprete. Il secondo è la reazione stizzita di Cindy che mette al muro il padre con una vera e propria mossa di Wrestling, rimettendo in gioco la percezione dei ruoli.

L’identità di genere allora assume chiaramente una qualità eminentemente performativa, tra un media e l’altro, a dispetto di chi si immagina la scrittura come un fortino chiuso e inespugnabile.

Cindy Lauper – Girls Just Want to have fun – Dir: Edd Griles

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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