mercoledì, Dicembre 18, 2024

Goat – Commune: la recensione

La trascendenza a cui puntano i Goat si realizza attraverso una forma ritualistica genuina che pur riferendosi alle sonorità della cultura psichedelica, esce immediatamente dal recinto di quella scena ripotenziata in tempi recenti, innestando riferimenti ad altre culture che impediscono, fortunatamente, una collocazione generica del loro suono. Mentre World Music, il debutto del 2012, gettava le basi con una forte riconoscibilità degli elementi africani di volta in volta dispersi in un contesto psych e funk, con Commune la danza si fa molto più espansa, perchè pur muovendosi da quella forma ossessiva propria della psichedelia dei ’70 e dall’ipnosi doom dei primi Black Sabbath, sposta progressivamente il centro verso il sud del mondo, cercando connessioni tra le strategie di una musica psicotropa e quelle, di volta in volta, della tradizione Maliana, Brasiliana e di tutto il continente africano. Commune è un disco quasi più percussivo del precedente, ma in modo più subdolo e oscuro trova una via per rileggere la tradizione fuzz e minimale di formazioni come la Edgar Broughton Band alla luce di un sound visionario e ancestrale le cui radici sono da ricercare in tutte quelle esperienze di matrice sciamanica che sembrano il territorio elettivo della band di origini svedesi. E se Hide from the sun fa pensare alla ricerca etnomusicale dei Sun City Girls, il tintinnabulo che introduce Talk to Gods propone il rovescio dell’estetica doom, per l’interesse che rivela nei confronti della musica sacra tra oriente e occidente. Allo stesso tempo la poetica dei Goat influenza anche la voce e la parola, orientata alla litania rituale ma allo stesso tempo alla separazione netta dal giogo cultuale (divino o satanico che sia) tanto che la formula non è mai quella  devozionale, ma al contrario un rito di liberazione vera e propria dal peso di ogni religione, una scelta che si chiarisce con le parole di Goatslaves: “Too many people living on their knees“.

Commune è un album a suo modo imponente, perchè rielaborando riferimenti apparentemente riconoscibili, li libera sia dalla retorica psichedelica, che da quella etnografica, individuando lo spazio per una convincente ibridazione, la cui trasposizione abita in una vera e propria terra di mezzo. Il fascino di una traccia come The Light Within, per esempio, sembra risiedere tra il senegal e la west coast, tra capoverde e la psichedelia più sudicia e ossessiva. I Goat si rendono artefici di una delle versioni più radicali e convincenti della renaissance psichedelica proprio allontanandosi da una revisione enciclopedica del genere, ma al contrario, affrontandolo con libertà, spirito visionario e una potente ricognizione tra terra e cielo.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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