domenica, Novembre 17, 2024

Haley Bonar – Last War: la recensione

La voce industriale della bella e brava Haley Bonar guadagna pieno spazio nell’ultima campagna sonora della musicista americana, avventura che questa volta si palesa in veste bellica sotto il titolo Last War. Un minutaggio asciutto (9 tracce per un totale di 32 minuti) che scorre senza incepparsi fra gorgheggi limpidi quasi fossero frutto della vivida Islanda e echi polifonici che fanno rimbalzare la mente alle sonorità in ecopelle fra ’80 e ’90. Le sonorità si sciolgono dai gioghi del punk ruvido del precedente lavoro lasciando il campo a celestiali ballate e ad un folk ancestrale e celtico alla Enya. Che siano gli anni ’80 il background da cui Haley ha attinto a piene mani, suona abbastanza chiaro fin dall’inizio; frullare di batteria molto Cure (Kill The Fun), cambi di tonalità sensuali come la migliore Debbie Harry ha insegnato (No Sensitive Man). Se ci fermassimo qui Last War risulterebbe l’ennesima glorificazione di un passato che vede nei trend di oggi il proprio revival, una serie di citazioni e tributi gradevoli sì, ma masticati e maneggiati fino all’usura. Rincuora difatti constatare che la versione migliore di Last War emerge nella seconda parte dell’album, dove Haley Bonar si lancia in contorsioni melodiche contrapponendo al languido abbandono di From A Cage la turbolenta e intima Woke Up In My Future.

Last War ospita un ventaglio di stati d’animo che s’incarnano nel timbro chiaro e preciso di Haley e benché la nostra interprete dimostri di essere agile tanto nei grovigli noise e rumoristici quanto nelle serenate più dolci, è con l’esecuzione acustica di Eat For Free che rivela il suo meglio. Una chiusura intima, un racconto personale ricco di metafore e collegamenti così impalpabili da nascondere il senso ad ogni battuta. Si potrebbe dire che con Eat For Free si concludono gli scontri a fuoco avviati con l’inizio e l’ultima guerra di Haley volge al tramonto.

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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