Bella e brava, si usava dire tempo fa. Può essere una buona idea riportare in auge l’espressione, soprattutto se si sta parlando di Frankie Rose e del suo nuovo album solista (il terzo) Herein Wild.
La ragazza Newyorkese (di Brooklyn, per l’esattezza) non è una musicista di primo pelo. Illustre ex-batterista di gruppi della scena garage – lo fi americana (Vivian Girls, Dum Dum Girls, Crystal Stilts) nel 2009 decide di mettersi in proprio e l’anno dopo, con il supporto delle Outs, da vita, per l’etichetta Slumberland Records, all’omonimo Frankie Rose & The Outs. Il lavoro successivo, Interstellar, è registrato dalla bella Frankie utilizzando solo il suo nome e cognome. In questo disco le sonorità si inseriscono nel solco già tracciato dall’ album precedente, la melodia è il risultato di un mash up fra la new wave anni ottanta (The Smiths e The Cure, per citare due riferimenti illustri) un po’ cupa e poppettara e le atmosfere oniriche del dream pop. Lontani i rumorismi e le distorsioni delle band madri, si vira decisamente verso lo spazio etereo (come suggerisce il titolo dell’album)
Herein Wild, prodotto con la Fat Possum Records, non abbandona la strada percorsa e si affida con sicurezza all’ estetica dreamy, senza però dimenticare l’importanza di avere un battito potente a fare da contraltare. In più lascia da parte quell’ ombra dark che caratterizzava il cd precedente. Il risultato è uno stile maturo e attento ai dettagli, una melodia pop potente e definita con quel sapore sintetico che la rende orecchiabile ma mai scontata
Apre le danze You for me, un biglietto da visita dal tiro shoegaze che in alcuni tratti sembra strizzare l’occhio al garage suonato dalla fanciulla a inizio carriera. Si prosegue dolcemente, andando diretti nella stratosfera con Sorrow e Into Blues. Con Cliffs As High siamo riportati per un momento a terra. Il merito va attribuito a un basso che scandisce ritmi cupi e martellanti. Per il ritorno in orbita dobbiamo aspettare Minor Times e Heaven. Le tracce conclusive Street of Dream e Requiem sono la degna conclusione di un album ben strutturato che non cade mai nel manierismo ma mantiene sempre una sua precisa identità. E a questo proposito fa tanto la voce di Frankie: onirica, chiara ed emozionale.
Un’ottima uscita quindi, che accresce le quotazioni di una musicista sempre in grado di produrre album compatti e di qualità. Forse un po’ leggeri, ma mai banali.