venerdì, Novembre 22, 2024

Honey Locust Honky Tonk di Robert Pollard: fra country e contrabbando

Sarebbe difficile riferirsi a Robert Pollard prescindendo dalla salmeria di produzioni che vanno dietro il suo nome; frontman dei Guided by Voices, fondatore dell’etichetta Fading Captain Series, artista solista e altro ancora. Un curriculum di circa 80 album, attestazione di uno sforzo e di un flusso creativo che trova pochi termini di paragone. Robert Pollard è una macchina a ciclo continuo, un uomo che definire mosso da “urgenza” compositiva, sarebbe davvero poca cosa. Nel 2013 ha salutato l’anno pubblicando un album con i Guided By Voices, sono seguiti un EP, un cofanetto di singoli e l’album solista. E siamo solo a Luglio, mese d’uscita per Honey Locust Honky Tonk.

Ma il nutrito elenco non indebolisce la verve di Pollard, anzi, sembra che gli anni abbiano conferito al quasi sessantenne dell’Ohio un tocco magico e la capacità di produrre, album dopo album, degli ottimi record. Insomma, stiamo parlando del classico primo della classe, quello bravo in tutte le materie, ma senza la spocchia.

Per parlare di Honey Locust Honky Tonk frammentazione la parola chiave; tracce singhiozzate, minutaggio ridotto all’osso a favore della lunga tracklist, attacchi e chiusure in medias res senza fronzoli. Il tutto si estende il tempo di un respiro, dai 44 secondi di I Have a Drink ai 3 minuti e 36 di Air. Un album che si presenta in versione country, come anticipano la nota visiva del cappello da cowboy e il rimando al honky tonk nel titolo. E in effetti a scandire le note di pianoforte ci pensa una mano pesante e costante, che colpisce i tasti con tenacia metodica in Strange And Pretty Day. Un album al profumo di gin, per certi versi sfuggente e scontroso; Honey Locust Honky Tonk non cerca di farsi nuovi amici, suona per se stesso con isolamento da eremita. Le melodie struggenti di Igloo Hearts, i contrappunti acustici in Circus Green Machine, la paranoia ipnotica di I Killed A Man Who Looks Like You, tutto rientra in quel lessico dai genuini contorni rock and roll, riassunto nello stile scarno e ruvido di chi ha trovato nel suonare e nella musica, un antro di assoluta imperturbabilità.

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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