Quale stile?
Il linguaggio codificatissimo e allo stesso tempo aperto al possibile del video musicale, ha da tempo rotto gli argini del contenitore tematico. Una dimensione con cui spesso non fanno i conti gli addetti ai lavori, immaginandosi un “genere” ormai sfrangiato in mille direzioni, figuriamoci chi ne scrive, invischiato ancora nella retorica binaria Videoclip/Cinema. Eppure, dal 2005, attraverso questi spazi e con una serie di iniziative cross-mediali di respiro talvolta laboratoriale, abbiamo indicato una via analitica e creativa, accettando tutte le contaminazioni dell’ambiente “nativo” scelto come piattaforma per veicolare contenuti. Più che interrogarsi sulla dimensione economica, sull’assenza di budget specifici e su tutti gli aspetti promozionali, quest’ultimi veri e propri incubatori del peggio nutriti da “funnels” che hanno a che vedere solo con attitudini e scelte di marketing, sarebbe più fecondo sollecitare l’inevitabile convergenza di “testi”, pratiche e strategie determinate e determinanti, nella progressiva perdita di centralità delle piattaforme di fruizione.
Lo scrivevo chiaramente nel catalogo dell’ultima edizione di “Asolo Art Film Festival“, l’ottimo evento diretto da Cosimo Terlizzi, per il quale nel 2019 ho curato la sezione non competitiva dedicata ai video musicali internazionali; la cornice degli ambienti visuali cannibalizzati dal videoclip è in costante comunicazione con altri mondi, aspetto che è radicato anche nei continui rimandi tra cultura pop e i linguaggi delle avanguardie, ma che dopo la “specializzazione” e i “grandi autori” degli anni ’90, ha assunto un andamento “non lineare” fatto certamente di incorporazioni e sovrapposizioni che nell’ambito dei nuovi media hanno favorito un avvitamento spesso indistinguibile tra memoria storica e nuovi sconfinamenti.
Eppure già il Paintbox della Quantel, dispositivo scarsamente analizzato anche nelle nostre tesi di dottorato, pur nella dimensione ancora pachidermica dell’hardware, indicava con un gesto della mano diventato adesso comune tra gli animatori che si servono dei nuovi sketchbook, la dissoluzione della cornice e dello stesso framework, inventandosi un luogo tutto da creare che scioglieva i confini tra fruitore, piattaforma e utilizzatore. “Painting with light” era il titolo della serie prodotta dalla BBC negli anni ottanta per consentire ad artisti come David Hockney, Francis Bacon, Richard Hamilton, Sir Sidney Nolan, di utilizzare i prototipi della Quantel. La mano tendeva disperatamente verso lo schermo, un catodo per il fruitore finale, ma il gesto alludeva ad una “libertà” digitale già immaginata. Non è un caso, che il video di “Money For Nothing”, realizzato con il Paintbox, giocasse con la retorica dello sguardo immersivo caro a Steve Barron, sfondando i limiti dell’arena catodica.
Ci fanno un po’ ridere allora le classifiche che non tengono conto delle dinamiche di flusso globali in cui siamo immersi, immaginandosi ancora una bolla rappresentativa chiusa, negativamente tipica per il sottomondo “indie”, mentre i display delle Smart Cities già moltiplicano le immagini della rete, frammentando l’evento live e cercando, per esempio nella produzione e diffusione degli “after show”, una logica rituale e partecipativa che rimbalza dal corpo dell’evento alla sua ricombinazione lungo le piattaforme di condivisione sociale.
Il Cinema, quando sopravvive nei videoclip, è già “post”, occhio riconfigurato attraverso le esperienze performative, la pixel art, le modellazioni 3D, manualità ri-mediate dai nuovi dispositivi digitali, “professionismo” pachidermico sostituito dall’anarchica forza “stylo” dei dispositivi consumer; media eterogenei che spesso, nel caso dei videoclip migliori, sono coinvolti in una vera e propria inversione di priorità tra interazione tecnica e pratica artistica.
Perché siamo convinti che sia necessario prima di tutto cercare la seconda, come fattore determinante per anticipare la prima, individuando il rapporto tra suono e visione come luogo di transito ancora tutto da immaginare.
Ecco perché al posto delle lamentatio un po’ provinciali sullo stato comatoso in cui verserebbe la “videomusica” italiana, salvo poi individuare narratori di secondo grado che alludono al Cinema in forma pedissequa e da bar sport, sarebbe più onesto spingersi oltre il rimpallo asfittico tra promozioni e stampa di settore, sondando territori ai margini delle configurazioni consuete, la cui sopravvivenza è spesso un trucco (o una trappola) della comunicazione.
Sono ec-centrici i migliori videoclip del 2019 per la redazione di indie-eye; fuoriescono dal sogno di riportare indietro le lancette dell’orologio e si proiettano in avanti, spesso con una dolorosa consapevolezza dei propri limiti. Limiti che possono essere alternativamente economici e tecnici, ma che si interrogano costantemente sulle forme del linguaggio e sulla presenza/assenza dei nostri corpi, s/oggetti e identità volatili eppure ancora in grado di ferirsi.
Sono questi i lavori che a mio avviso ci consentono di individuare quel vuoto, Storico e teorico, sperimentato attraverso la maggior parte delle testate musicali che si occupano di musica e che destinano ai video uno spazio ancora ancillare, fermo al ruolo promozionale dei vecchi “Panoram”, chiusi nella dimensione scopica dello schermo. Quelle realtà collocano creativi e autori in calce e talvolta omettono crediti e riferimenti.
Tranne rarissimi casi, questa assenza di fonti è il risultato di una strategia miope che parte dagli uffici stampa, la cui formazione non giornalistica sta cominciando a pesare come un macigno incontrando le tendenze peggiori della rete, basate sulla “montatura” dei risultati e sulle potenzialità di rilancio di un contenuto attraverso l’approssimazione della blogosfera. L’hype, nemico da sempre della conoscenza, nasconde, oltre ad un vuoto di idee, anche un inquietante vuoto professionale, basta pensare alla relazione truffaldina tra agenzie di promozione e realtà che producono informazione senza alcuna identità giuridica e in forma amatoriale. Questo rapporto, già in origine falsato, invece di rappresentare una varietà feconda, ricca e utile, sostituisce con la quantità dei contributi (o delle visualizzazioni), la complessità collettiva di un oggetto della creatività.
Per aggregare, cercare, combinare informazioni, costruire biografie creative, a fronte di comunicati stampa che raramente riportano il nome del regista, figuriamoci di un colorist, abbiamo dovuto svolgere un lavoro faticoso e complesso, non tanto per approfondire o per stabilire una griglia analitica, ma semplicemente per offrire un’informazione basica e corretta.
Questo per confermare quanto sia ampio il sommerso oltre i percorsi obbligati delle agenzie e quanto sia ridicolo, se non stupido, il tentativo di offrire una “tassonomia completa” su queste basi.
I video italiani che abbiamo scelto sono quelli che alla tendenza di un’industria ormai appiattita sul canone della comunicazione corrente, hanno preferito linguaggi di frontiera, spesso dalla forte libertà creativa. Questa libertà compie uno sforzo, quello di immaginarsi i dispositivi come un ostacolo da superare, a partire ovviamente da possibilità molto diverse l’una dall’altra. Il diaframma tecnico viene forzato fino a spingerne le potenzialità verso ibridazioni fuori dall’ordinario che quasi sempre si interrogano sulla qualità mutogena delle nostre identità “always connected”, con il tentativo di afferrare un contatto con la terra, una vicinanza con il corpo oppure la prossimità con quel soffio che dall’invisibile, inghiotte il visibile.
#1 – Best Italian Music Video of 2019: C’Mon Tigre – Behold The Man – il video di Marco Molinelli e Sic Est
Il progetto C’Mon Tigre, espanso alle dimensioni di un vero e proprio collettivo, merita e meriterà su queste pagine un approfondimento dettagliato per quanto riguarda l’aspetto visivo, curato da Marco Molinelli, la cui formazione come filmmaker è radicata nel collettivo “Postodellefragole”, fondato nei primi anni zero e primo passo di una lunga esperienza che tra corti e videoclip ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Lo spirito collettivo del progetto ha coinvolto nei video dei C’Mon Tigre altri autori di rilievo, con un approccio transnazionale e di frontiera che è diretto prolungamento del loro infinito viaggio etnomusicale. Nomi come quello di Gianluigi Toccafondo, Maurizio Anzeri, Shigekiyuriko Yamane, Danijel Zezelj, Harri Peccinotti sono confluiti in un complesso meltin’pot creativo combinando animazione, fotografia e illustrazione, digital art, calligrafia, cinema sperimentale. “Behold The Man” si serve del talento di Domenico Tedone, aka Sic Est, alchimista dei VFX e delle motion graphics in 3D. Il luogo di transito di cui parlavamo nella nostra introduzione è sfiorato dal video di Molinelli / Tedone, per il modo in cui senza soluzione di continuità, il “mondo” rappresentativo rinasce e si distrugge attraverso una complessa geometria frattale. Il corpo, s/oggetto ormai innestato tra digitale e la replica “deepfake” della dimensione organica, da luogo ad una nuova cosmogonia che nasce dai confini minimali di un dancefloor e ricorda il lavoro di Olivier Latta con il software Houdini. Meritatamente Vimeo Staff Pick nel 2019 (ed è capitato a pochissimi italiani, è bene dirlo) è uno sguardo incantato e selvaggio sulle mutazioni identitarie e percettive, che non a caso comincia prima della musica stessa con una combinazione tra arte digitale e sound design. L’animazione, che non è mai corpo esclusivo nei video dei C’Mon Tigre, diventa il cardine per occupare altri spazi e generare linguaggi eterogenei, tra cui la definizione di un’arte performativa “senza” corpi apparenti. Danza e movimento, come gesto rituale che dal mondo fisico transita in quello virtuale, nella ricerca di un dialogo ancora possibile tra immagine e musica. Si tratta di un video significativo, non solo per il panorama italiano, ma per tutto quello internazionale.
#2 – Best Italian Music Video of 2019 Amerigo Verardi Due Sicilie, Il video diretto da Chiara Chemi aka The DollMaker
Chiara Chemi è un’illustratrice e un’animatrice atipica. Il video di Amerigo Verardi che abbiamo presentato in esclusiva nel gennaio del 2019 è un notevole innesto tra finzione, immagine documentale e videopittura. Chiara, ce lo ha raccontato nel contributo realizzato per Indie-eye Showreel, ha praticato tutti gli ambiti dell’animazione e dell’illustrazione, superando con ostinazione i limiti imposti dal formato. La sua è una scrittura di poesia, che proprio nel videoclip trova lo spazio più libero e combinatorio. Le convenzioni dei videoclip narrativi, i più insidiosi di tutti, vengono rovesciate come un guanto, anche nella loro trasformazione in tableaux vivants. L’immagine diventa nuova tela su cui ridisegnare i confini evitando la fusione ed evidenziando al contrario le cicatrici. Come per altri artisti scelti in questa selezione, la terra, i colori della strada e quelli del sangue, rileggono e “complicano” la distanza del digitale.
#3 – Best Italian Music Video of 2019: Cadori – Speciale – Il video di Elide Blind
Elide Blind, già protagonista del terzo episodio di Indie-eye Showreel, il primo format video italiano dedicato a chi realizza videoclip, ha la capacità rarissima di creare immagini a metà tra estrema prossimità fisica e astrazione della forma. Artista “digitale” a tutti gli effetti, ma ostinatamente legata ad una dimensione “ottica”, riduce il lavoro sulla post produzione, inventandosi una nuova realtà aumentata che procede dallo sguardo “corrotto” e difettoso, su quella fisica. Sistemi autocostruiti, lenti che cercano di recuperare l’aura storica della stenoscopia, ma che catturano necessariamente uno spirito diverso, sfruttando dispositivi consumer (smartphone, per esempio) insieme ad altri device professionali. Il video di Speciale, realizzato per l’ottimo Cadori, è un esempio potentissimo di esplosioni corporee, dove la luce catturata e modificata nella relazione tra ottiche e sensori, occupa ancora uno spazio fondamentale. L’inconsueta e suggestiva ibridazione tra cantautorato e Shoegaze operata da Cadori, trova un corrispettivo visuale in questo esperimento sui corpi e le luci che recupera lo spirito “optical” di alcuni video a cavallo tra gli anni ottanta e i novanta, senza replicarne il gioco e la ricerca, ma trovando una propria strada creativa che abita i nuovi media con lo stupore artigianale di quelli “vecchi”. Manuela Tommarelli è una firma da tenere assolutamente d’occhio.
#4 – Best Italian Music Video of 2019: Giovanni Truppi – L’Unica Oltre L’Amore – Il video di Valentina Galluccio
Il territorio ibrido e promiscuo del videoclip negli ultimi anni si è rivelato fecondo per l’animazione. Non che sia una relazione nuova se si considera il lungo tracciato storico di questa forma breve, ma per quanto riguarda gli artisti italiani, confinati spesso alle sole occasioni festivaliere, ha moltiplicato le possibilità di sperimentare. Valentina Galluccio è una giovane artista napoletana dal grande talento che ha sfruttato in più di un’occasione le possibilità della rete per farsi conoscere, piegando le tecniche del disegno tradizionale su sketchbook ai nuovi formati digitali. I suoi brevi esperimenti pubblicati su Facebook sono un esempio virtuoso di come sia possibile trasformare una piattaforma di condivisione in uno strumento creativo. Selezionata anche da Asolo Film Festival 2019 con uno dei suoi corti, ha realizzato il bel video di “L’unica Oltre L’amore” per Giovanni Truppi. Tecniche, prassi e poetica, Valentina le ha raccontate ad Indie-eye con questa lunga intervista. Il video per Truppi è un trionfo del tratto in mutazione costante, per come lo abbiamo assimilato dall’animazione prodotta nell’est europa (penso ad un autore come Marcell Jankovics), ma allo stesso tempo rappresenta quel continuo aprirsi della cornice ad altri schermi, di cui l’arte di VAGA è infusa. “L’unica Oltre l’amore” comprende a fondo la relazione tra storytelling e suono, elaborando una splendida coda che occupa l’ultimo minuto strumentale del brano. La forma e il tratto, il bianco e il nero, a un certo punto si invertono di polarità per dare vita ad un pulviscolo che è la materia di cui è fatto il confine tra visibile e invisibile. Chissà se Valentina ha visto “L’amour a Mort” di Alain Resnais, in caso contrario, consigliamo affettuosamente la visione.
#5 – Best Italian Music Video of 2019: Canova – Goodbye Goodbye – Dir: Lorenzo Silvestri
Lorenzo Silvestri e il Collettivo Bendo Films hanno collaborato spesso con Canova. Per il video di “Goodbye Goodbye“, gli artisti milanesi hanno scelto Chabeli Sastre Gonzalez, forse il “volto” più intenso e dolente della gettonatissima serie “Baby” diretta da Andrea De Sica e Anna Negri e proposta sulla piattaforma Netflix. Su questa marginalità del non detto si fonda la clip del collettivo Bendo, che recupera formati e modi del cinema anni settanta, abbandonando la retorica della citazione per evidenziare gli scarti, i vuoti, le differenze. Se c’è una dimensione che affligge i nuovi autori italiani di videoclip è proprio la ricerca della cornice “vintage” in forma decorativa, una malattia diffusissima che non ha colpito il talento di Lorenzo Silvestri, attento al dispositivo ritmico, alle ripetizioni, ai gesti e ai movimenti di macchina che diventano patterns audio/visivi. Lo sguardo prima di lasciarsi; un movimento repentino del volto prima di scomparire, un nuovo addio come momento apicale e irriducibile. Nel video di “Goodbye Goodbye” lo sguardo è indirizzato ad un soggetto e ad un corpo assente e il volto di Chabeli diventa immagine del crepuscolo in un paesaggio urbano derealizzato.
#6 Best Italian Music Video of 2019: Stone Larabik – Fils du terre terre, il video diretto da Dione Roach
Dione Roach, apolide toscana, è cittadina del mondo. Ha studiato fine arts alla UEL di Londra e si è laureata nel 2012. Pittura e fotografia sono i suoi territori, ha esposto moltissimo a Londra in contesti collettivi e per una serie di personali. Il suo progetto più recente è il prolungamento della sua ricerca su genere, sessualità, identità, applicate in un contesto sociale specifico. Nel carcere di Douala in Camerun, Dione ha sviluppato il primo studio di registrazione e la prima label nata all’interno di una prigione africana. Il nome è Jail Time Records, organizzazione No-profit che sta cercando di continuare la propria avventura grazie ad una campagna di crowdfunding lanciata su gofundme. Parleremo presto del progetto raccontando una percezione diversa del carcere, con il primo numero di “Lettere dal fronte“, il nuovo format di Indie-eye legato a storie di cittadinanza attiva. Nel frattempo scegliamo il video di Stone Larabik “Fils du terre terre” diretto dalla stessa Roach, come uno tra i più intensi del 2019. Dione ci ha rivelato di non essere particolarmente interessata alla forma del videoclip, ma di praticarla nell’ambito del progetto con l’approccio che si avvicina al suo modo di concepire la pittura e la fotografia. Il risultato è di sorprendente flagranza, una qualità che manca quasi del tutto nel panorama italiano della videomusica, soprattutto quella legata al mondo posturale della “nuova” ondata trap. Un bianco e nero contrastatissimo, vicino al “tono” quasi Xerografico di alcune sue fotografie, sbalza fuori i corpi dall’ambiente claustrofobico del carcere di Douala, conservando l’immediatezza e la forza del gesto collettivo. Non c’è bisogno di molto altro, se non di quel confine tra documentazione e sguardo soggettivo, realtà e memoria storica che distingue il punto di vista da un prodotto di massa.
#7 – Best Italian Music Video of 2019: Nevrorea – Karmaboy il Video diretto da Giorgio Di Pasquale
Giorgio Di Pasquale, giovane animatore siciliano e fresco di studi presso l’accademia Nemo di Firenze, ha sperimentato la forma del videoclip più di una volta, elaborando una via creativa e stimolante anche per i lyric video. La clip realizzata per Nevrorea è una splendida elaborazione della street art, in termini sia grafici che colorimetrici, che filtra la passione del nostro per le Graphic Novels. Animazione digitale che forza i confini del software verso un’interpretazione più autoriale del movimento, elaborato immagine per immagine con un viaggio visivo che interpreta quello sonoro con grande inventiva.
#8 – Best Italian Music Video of 2019: Night Skinny – Street Advisor ft. Noyz Narcos, Marracash, Capo Plaza – Il video diretto da No Tezt Azienda
Street culture e i colori della street art, moda e sperimentazione, fashion clips, il “brutto” e il “bello” del digitale, senza alcuna paura. Sono alcuni degli sconfinamenti che caratterizzano la già ricca videografia di No Text Azienda, collettivo milanese che si è legato in modo molto forte alla scena rap italiana. “Street Advisor” è il video girato per Night Skinny e con i featuring di Noyz Narcos, Marracash, Capo Plaz, prima clip estratta da “Mattoni“, nuovo album per l’artista di Termoli. Video di innesti che ben si adatta all’estetica di Luca Pace, assecondandone le intersezioni, i campioni “impossibili” e “inaudibili”, con un linguaggio quasi subliminale, dove gli schermi, le interfacce e le cornici in genere, si sfaldano una dentro l’altra confondendo manipolazione e documentazione in modo emozionale. Un po’ come nell’esperimento realizzato per la residency in Fondazione Prada che coinvolgeva l’attrice Stacy Martin (Habeas Corpus) o nelle campagne di digital design commissionate ai nostri, l’esperienza digitale comune si fonde con un recupero della stessa meraviglia che attraversava i videomaker della seconda metà degli anni ottanta quando giocavano con le sovrimpressioni elettroniche per creare un linguaggio selvaggio tra consapevolezza e istinto. Quello che arrivava dallo scambio diretto con l’advertising e il design, qui arriva dai pop-up ads e dai pre-roll video, dalle landing page “fantasma” dello streaming illegale e da tutte le scorie del bombardamento intermediale. Brthr hanno fatto scuola.
#9 – Best Italian Music Video of 2019: Andrea Laszlo De Simone – Conchiglie – Il video diretto da Gabriele Ottino e Paolo Bertino
Gabriele Ottino e Paolo Bertino collaborano da molto tempo insieme. Sia nel collettivo Superbudda che come Sans Film, la sigla con cui hanno firmato numerosi videoclip per Subsonica, Paolo Saporiti e ovviamente Niagara, il progetto elettronico che Ottino stesso condivide insieme a Davide Tomat. Con Andrea Laszlo De Simone collaborano dai tempi di “Vieni a Salvarmi” e hanno proseguito con “Gli uomini hanno fame“. Il nuovo “Conchiglie” ha più di un elemento in comune con “Vieni a salvarmi”. Il primo riguarda il coinvolgimento di Sergio Rubino come attore, il secondo il personaggio del naufrago con impermeabile giallo, al centro di entrambi i video. Non è cieco in “Conchiglie” e rispetto all’astrazione acquatica del primo video, cerca un contatto diretto con la terra, appena dopo essersi salvato. Dalla qualità amniotica di “Vieni a Salvarmi”si passa ad una del tutto sensoriale e aptica, per poi trapassare nuovamente nel bianco dell’atmosfera che nuovamente acceca l’immagine. Attardarsi sulla continuità narrativa tra i due video sarebbe peregrino, quello che è interessante è quanto nei due lavori, la vita e la morte cambino continuamente posizione e punto di osservazione. Ottino e Bertino dimostrano ancora una volta di saper lavorare magistralmente con lo spazio, qui contratto nelle linee naturali delle rocce, in quelle geometriche del pavimento, nel corpo provato di Rubino che si trascina lungo un percorso di sassi e granito. Come spesso accade nelle loro produzioni, i due registi riescono a ricavare il massimo di astrazione dalla realtà e al contrario, un alto livello di concretezza dal sogno.
#10 – Best Italian Music Video of 2019: Ferraniacolor feat. Tommaso Cerasuolo – Alfabeto illustrato – Il videoclip diretto da Giacomo Fabbrocino
Potrebbe sembrare un video “fuori tempo massimo” quello di Giacomo Fabbrocino per i Ferraniacolor, il progetto di Marco Alfano e Luca Zarrilli, nomi storici della new wave italiana, invece è una fantasia pop perfettamente tra i tempi. Come avevamo avuto modo di scrivere, dentro i colori estremi di una strana interferenza temporale tra la televisione commerciale degli anni ottanta e i segni di una “pop avant-garde”, si “gioca con gli oggetti e le loro prospettive “aumentate”, le luci che infestano il sorriso degli interpreti, il linguaggio pubblicitario che assimila alcune liriche, Godard e Jacques Demy, ma anche la televisione “elettronica” di quarant’anni fa. Al decimo posto non per qualità (come tutti i video della selezione, la cui collocazione non riguarda i meriti) ma come ponte tra le incorporazioni di cui abbiamo parlato, un ponte che agevola lo scambio, senza illudersi di “fotografare una scena”, quando la scena, nel caso ci fosse, sarebbe solo una cornice dentro altre già o mai state.