La storia di Lust For life è un mix tra vita, improvvisazione e rifiuto. A partire dal riff per la title track, ripreso da David Bowie con l’ukulele del figlio dal segnale di inizio trasmissioni della AFN fino ai testi improvvisati in studio da Iggy pensando a William S. Burroughs e a Johnny Yen de “Il biglietto che esplose”, James Newell Osterberg cerca di mantenere il controllo su una manciata di episodi a metà tra disperazione e distacco, molto più stratificati e dolorosi rispetto alla destinazione festaiola che alcuni brani (The Passenger, la stessa Lust For life) hanno avuto nei club di tutto il mondo.
Oltre all’omaggio al Van Gogh di Vincente Minnelli, le liriche di “Lust for life” testimoniano con feroce ironia lo stato di passaggio da una condizione difficile e marginale all’immersione totale nell’occhio televisivo globale, effetti collaterali di rigetto inclusi. Che Iggy Pop fosse a disagio con tutti i meccanismi promozionali estranei alla violenza “pura” della qualità performativa, è un fatto. Lo racconta anche Paul Trynka in “Open Up and Bleed”: si rinchiuse a doppia mandata allo Schlosshotel di Berlino, consumando cocaina e rifiutando tutto quanto era legato a quel disco, da The Passenger alla copertina fotografata da Andrew Kent, fino a provocare un netto distacco con lo stesso Bowie. Il tour promozionale dell’album fu abbandonato presto e il contratto con la RCA volse verso il termine con la pubblicazione di TV EYE Live, documentazione a qualità bootleg di alcuni show del ’77. L’album successivo, il potentissimo e sottovalutato “New Values“, uscirà per la Arista Records.
Non esiste di “Lust For Life” alcuna produzione video ufficiale realizzata a scopo promozionale, ad eccezione di qualche deragliante passaggio televisivo che individua Iggy Pop come corpo eccentrico, irregimentabile ed eccedente rispetto alla cornice catodica.
In questo senso si stabilisce una complicità ludica con Ad Visser e l’olandese TopPop, da cui l’artista americano andrà più volte, che sarà capitalizzata per i video ufficiali del disco successivo.
“I’m Bored” e la splendida “Five foot one” inseriscono il corpo selvaggio di Pop nel limbo dello studio, isolandolo nello spazio di un set fotografico; una consuetudine per i promo video precedenti agli anni ottanta, spesso prolungamento cromatico e geometrico degli artwork, qui sottoposti ad erosione interna. Il corpo di Pop evidenzia il carattere dinamico della differenza: sollecita, destabilizza, anche quando il “box” televisivo vorrebbe cannibalizzarne l’identità.
Il 9 luglio scorso, dal canale ufficiale di Iggy Pop è sbucato un nuovo video ufficiale di “The Passenger“, il primo mai realizzato. Diretto da Simon Taylor di Tomato Studio, collettivo londinese nato negli anni novanta intorno alla musica degli Underworld e specializzato in comunicazione visuale multi-piattaforma, un imprimatur di tutto rispetto e di altissimo livello che occupa la barricata opposta rispetto agli anni in cui Iggy distruggeva gli studi televisivi.
Eppure, Taylor che è artista sensibile, pur utilizzando le foto raccolte da un veterano come Paul McAlpine nella forma celebrativa della memoria, innesta un viaggio notturno e continuo insieme al lettering polimorfo del liryc video, recuperando una incerta aura “impressionista” alla Exploding Plastic Inevitable.
Ancora una volta, il corpo storicizzato di Pop è al centro, ma sfugge nel fuori fuoco della notte.