mercoledì, Dicembre 18, 2024

Il cielo è sempre meno BLU: Tornano i Luoghi Comuni. L’intervista

Tornano i Luoghi Comuni a due anni di distanza da Chi Ben Comincia, l’ep che li aveva fatti conoscere attraverso la promozione attenta di Phonarchia Dischi. Tornano rigorosamente in trio e affilano l’impatto elettrico, continuando ad elaborare in modo personalissimo la storia delle numerose british invasion.

BLU è il nuovo album registrato presso “La Tana del Bianconiglio Studio” di Montecchio di Peccioli (PI), ed è un lavoro animato da quell’energia vitale che senza fare sconti al passato, guarda al futuro con l’intenzione di morderlo.

Gli strumenti sono quelli del pop anni sessanta e settanta, rivisto attraverso un’angolatura contemporanea. A complicare le cose, si aggiungono senso di incertezza e cinismo, come nella migliore tradizione britannica, che ad un genere considerato veicolo di gioia e disimpegno, aggiungeva elementi contrastanti di riflessione, pensiamo per esempio agli XTC nella seconda parte della loro carriera.
Ma i grossetani ci mettono dentro un gusto tutto italiano che da De Andrè passa addirittura per alcune influenze combat folk, senza dimenticare la terra d’Albione, quasi un approdo più che una storia da imitare.

I “Luoghi Comuni”  graffiano, ma senza mai ferire per davvero, perché l’elemento che forse li contraddistingue più degli altri è un profondo ed equilibrato senso di malinconia.  

Li abbiamo incontrati per discutere da vicino il loro lavoro, partendo sopratutto dalle liriche, che ben descrivono le intenzioni poetiche in rapporto con le scelte sonore: un cielo che inevitabilmente diventa sempre meno blu.

Luoghi Comuni, la copertina di BLU

Avete lavorato a fianco di un autore come Alessandro Antonacci che per voi ha scritto quattro brani: Affilate le Lame, Vinavil, Blu e Aurora. Cosa avete imparato grazie alla possibilità di avere a fianco uno scrittore che in qualche modo ha tracciato una linea per voi e quanto è cambiato il vostro modo di scrivere durante questa collaborazione?

Abbiamo imparato tantissimo, soprattutto per quanto riguarda la melodia di un pezzo e il tentativo di comunicare in modo chiaro e diretto, tenendo al centro la sintesi. Oltretutto Alessandro ci ha aiutati in un periodo in cui l’ispirazione faticava ad arrivare, dandoci la spinta per finire di scrivere il disco, iniziando a comporre non più da un riff o da una frase, ma dalla canzone nel suo insieme, partendo  quindi dalla struttura vera e propria con piano e voce oppure chitarra e voce.

Luoghi Comuni – Affilate le Lame, il video di Fabio Giorgetti

Oltre ai Beatles e ad un Calcutta distillato in forma pop per quanto riguarda alcune liriche, quali sono i progressi sonori e culturali più importanti che avete assimilato dal vostro Ep precedente, fino alla realizzazione di BLU?

Ti potremmo rispondere in 3 modi diversi. Chiaramente sullo sfondo c’è la produzione indipendente italiana, a cui non ci rifacciamo direttamente, ma con cui ci confrontiamo, inevitabilmente. Rispetto a Chi ben comincia siamo molto meno folk e stoner: quella era una via obbligata da prendere, anche per imparare a suonare in trio (prima il gruppo era composto da quattro elementi n.d.a.) ma dentro ci sentiamo abbastanza pop. BLU ne ha quindi risentito.

Nel vostro lavoro c’è un continuo senso di fuga: chi scappa o è costretto ad allontanarsi, chi vaga alla deriva e si riduce la coscienza a pezzi. Sembra che alla necessità di non voltarsi indietro verso il passato, si opponga il ritorno dello stesso, in forma più cinica e disillusa, soprattutto quando vengono descritte le relazioni amorose.  Lo stesso video di “Affilate le Lame” comunica bene questa continua necessità di fuga. È una via per affrontare il futuro con più grinta? 

Decisamente una corsa verso il futuro. La fuga è intesa come reazione verso qualcosa, un’oppressione, una situazione complicata. Le relazioni d’amore sono esaminate spesso come esempio, ma non sono un vero e proprio tema del disco. In BLU ad esempio c’è questa rottura amorosa un po’ fiabesca che porta alla contemplazione di un cielo sempre meno blu e quindi ad una reazione molto rabbiosa, ma che allo stesso tempo  guarda in avanti. Il concetto è: Vietato fermarsi.

“Tra noi due” sembra descrivere quel difficile rapporto tra le proprie passioni e la gelosia di chi ci sta vicino. La musica come un amante di cui essere gelosi…. 

Non è quello il significato, ma ci piace anche la tua interpretazione. E’ lo scontro interiore di un musicista. Il confronto è tra la vena cantautorale degli anni zero, anche in termini attitudinali come atteggiamento esteriore e una vena più rock . Mi vendo/non mi vendo, mi conformo/non mi conformo. La ragazza gelosa c’è sempre, si fa a gara a fare i professionisti, ma per l’anniversario si saltano prove e concerti.

Il titolo del disco gioca anche con l’inglese “BLUE” nella sua accezione di tristezza?

No no, non è un disco che parla di tristezza, anche se leggendo i titoli lo si può pensare. Magari una canzone decolla da una situazione triste per poi uscirne, ma la tristezza non è mai un punto di arrivo.

Mi piace il testo di Tre puntini: è proprio un momento di stasi tra una corsa e l’altra: “non sono stato mai schiavo di tante parole, soltanto di alcune, quelle vere pesano troppo, ed io non ho voglia e il telefono è rotto”. Un modo di mettersi a nudo mi pare, raccontando le difficoltà comunicative, oggi sostituite dalla messaggistica globale e dai segni freddissimi della cultura digitale.

È proprio come dici. Ma raccontiamo anche le conseguenze a cui ha portato questa mancanza di comunicazione. La canzone parla di un amore sognato per anni e portato avanti solo attraverso allusioni e un modo di comunicare ermetico, per poi accorgersi che la persona tanto amata non era quello che si pensava o immaginava.

C’è un particolare, un aneddoto, una storia da ricordare, accaduta durante la lavorazione di BLU?

Quando Nicola Baronti, il produttore artistico di Phonarchia Dischi con cui abbiamo lavorato, cercava di farci capire che dovevamo tirare un pezzo avanti o indietro. Quindi ci ha fatto ascoltare Ass like that di Eminem e ha iniziato a fare un verso con la mano che per quanto ci riguarda è diventato storia (probabilmente l’azione di sculacciare un sedere n.d.a). Abbiamo capito bene cosa volesse intendere e ogni volta che suoniamo un pezzo del genere, ci ricordiamo di quel consiglio.

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Virginia Villo Monteverdi
Virginia Villo Monteverdi
Laureata in Storia dell’Arte medievale e seriamente dipendente dalla musica Virginia è una pisana mezzosangue nata nel 1990. Iniziata dal padre ai classici rock ha dedicato la sua adolescenza a conoscere la storia della musica. Suona e canta in un gruppo, ama fare video, foto e ricerche artistiche e ogni tanto cura delle mostre d’arte contemporanea.

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