venerdì, Novembre 22, 2024

Il Personal appeal di R. Stevie Moore, dal 1968 con rigore

Se qualcuno pensava di fare il figo citando  The Flaming Lips come modello di bizzarria insuperabile, deve forse ancora fare i conti con R. Stevie Moore, più di 400 album dal 1968 ad oggi, molti dei quali prodotti secondo una filosofia DIY ferocissima, in formato CD-R e per l’etichetta di sua esclusiva proprietà.

Personal Appeal è una raccolta pubblicata dalla Care in the community sulla scia dell’attenzione “fanatica” che Moore avrebbe ricevuto da una serie di artisti seriamente appassionati da anni della sua musica, tra i quali spiccano Ariel Pink e un altro Moore, Thurston.

In tempo utile per rafforzare una mitologia comunque nota negli states, la raccolta copre un periodo tra il 1973 e il 2001 e include un campionario di bizzarrie assortite, tra cui una serie di folk ballad irresistibili, alcune davvero deliranti, disturbate da campanacci, rumore bianco, intermissions dello stesso Moore che si scusa per questioni eminentemente tecniche legate alla qualità della registrazione, così in media res, e ovviamente alcuni esempi di una pratica su cui Moore si è allenato in questi decenni, costruire delle dolorose canzoni d’amore sopra noti pezzi di musica classica, suonati e interpretati sopra esecuzioni originali, davvero esilaranti e meravigliose, tra queste segnaliamo Makeup Shakeup, inclusa nella raccolta in oggetto.

Ma al di là delle innumerevoli fasi che Personal Appeal passa in rassegna, spaziando dalla psichedelia anni ’60 fino ad esempi di Hillybillie e bluegrass sgangheratissimo, rimane un aspetto di assoluta coerenza lungo tutte le quindici tracce della raccolta, sia che si presentino sotto la forma appena descritta o semplicemente come brevi “fake-adverts”, fulminanti intermission, parentesi di anarchica insofferenza,  ed è la scrittura di Moore, capace di inventarsi tra bizzarrie assortite, una solida e notevole impalcatura pop, molto simile alla malinconia seducende di Harry Nilsson, in fondo un altro outsider del songwriting statunitense.

Un ascolto attento ad una traccia come The Picture dovrebbe restituire il senso di quello che stiamo scrivendo, brano dalla chiarezza quasi Beatlesiana, dove Moore soffre per essere stato abbandonato da una donna, tutto quello che gli rimane è un’immagine della stessa, fotografata completamente nuda, Moore la guarda ogni notte e si masturba, chapeau.

Una fantasia libera, al vetriolo, che attraversa tutti i brani, quasi fosse una sorta di Robert Crumb della musica ultra indipendente, dove il male di vivere emerge tra le pieghe di una storia musicale di cui riconosciamo molti capitoli; perchè alla fine la sensazione è di essere di fronte ad un autore inconoscibile che si è ritagliato uno spazio e una creatività senza limiti anche sul piano dello stile e della varietà di strumenti che ha imbracciato, preferendo la quantità alla qualità in termini di post produzione, rendendo certamente ardua la scoperta degli episodi migliori.

Si può certamente cominciare da qui, da una raccolta che ha il merito di mettere insieme una breve carrellata di piccole miniature, forse le più accessibili e le più pop di questo poeta self-made del New Jersey, questo grande artista del collage.

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Ugo Carpi
Ugo Carpi
Ugo Carpi ascolta e scrive per passione. Predilige il rock selvaggio, rumoroso, fatto con il sangue e con il cuore.
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