In anni in cui il concetto di sinistra sulla scena politica italiana ha pressoché perso ogni valore, confuso tra primarie, arcobaleni, rottamazioni, inciuci, tarantelle, fatti quotidiani e chi più ne ha più ne metta, c’è chi ha scelto di rifugiarsi nel passato, nel glorioso PCI e nell’immaginario legato ad esso e all’Unione Sovietica, con consapevole ironia ma anche con il giusto approccio filologico e la voglia di far continuare a vivere le sue idee.
Gli Aeroflot feat. Collettivo Radio Mosca sono una decina di musicisti toscani, di San Miniato e frazioni per la precisione, che nel loro primo album danno voce all’associazione politica “Il resto del Cremlino” (da cui il titolo del disco) offrendo poco più di mezz’ora di buona musica filo-sovietica, lontana parente di quella proposta dai CCCP negli anni ottanta, perché diverso è il periodo storico, diversa la collocazione geografica e diversa l’idea politica alla base.
I brani dell’album possono essere divisi essenzialmente in due categorie: quella politica-ironica e quella popolare-locale. Della prima fanno parte brani come Inno Ufficiale de Il Resto Del Cremlino, che elenca una serie di termini ultra-sovietici (dai Kolkhoz a Togliattigrad passando per la Pravda e lo Sputnik) cantandoli in coro come farebbe l’Armata Rossa, o Militango, che immagina in modo spassosissimo la vita di Togliatti e della Iotti, con Palmiro che vuole andare alla riunione di cellula e Nilde che invece vuole vedere Mentana per studiare gramscianamente la gente. Nella seconda categoria si trovano invece ritratti di personaggi samminiatesi su arie che richiamano la musica popolare e addirittura il liscio: ad esempio troviamo la descrizione de Il Mela, distrutto da un amore finito male, o quella di Deliano, bar particolare che si riempie solo a mezzanotte.
C’è anche spazio per momenti più seri, in particolare in Ballata Per Le Vittime Del Duomo, che rilegge e contesta la versione ufficiale su una strage di guerra avvenuta a San Miniato nel 1944 e che tornò al centro dell’attenzione nazionale una decina di anni fa. Da segnalare poi gli intermezzi di canto popolare a cappella, che riprendono brani del tempo di guerra e anche precedenti già riproposti dai vari canzonieri degli anni sessanta, e che fanno capire una volta di più che c’è ironia in questo disco, ma anche tanta convinzione e fede in idee ormai considerate fuori moda. Ora aspettiamo il secondo volume, già annunciato all’interno del CD, che avrà come sottotitolo “How Christian De Sica’s uncle killed Lev Trotsky” (tutto vero).
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