Quasi cinque anni di silenzio equivalgono ad un’eternità nel panorama italiano e, a maggior ragione, se seguono un esordio folgorante, La macarena su Roma, con il quale IOSONOUNCANE aveva dato già grande prova del suo talento, ancor più singolare per l’utilizzo dell’elettronica in un contesto cantautorale. Mai come in questo caso, però, tanta attesa è stata pienamente ripagata. La sorpresa assume dimensioni ancor più rilevanti in quanto, se il precedente lavoro si connotava per un piglio amaramente satirico, quando non autenticamente cattivo, Die mira decisamente più in alto, troncando di netto qualsiasi riferimento alla realtà contemporanea per affrontare temi universali come l’Essere Umano, la Morte, la Natura.
Coerentemente, Incani decide di abbandonare anche la forma canzone per un unico brano di 39 minuti, diviso in sei frammenti a struttura simmetrica. E sotto il profilo lirico sceglie di dispiegare il suo concept in un unico componimento che si ispira alla poesia bucolica greca e latina, quasi in una declinazione moderna dei temi di Teocrito e Virgilio, per trarne una riflessione sul senso della vita di un uomo e di una donna, poco prima della morte di lui (Die può essere, infatti, interpretato come “giorno” in sardo o come ablativo temporale in latino, nonché come il verbo “morire” in inglese).
Gli elementi musicali sono anch’essi radicalmente diversi rispetto al passato, se si pensa che sino ad ora Incani aveva agito completamente in solitaria. All’utilizzo dell’elettronica, “eminenza grigia” di tutto il disco e ancor più curata rispetto al passato, si staglia una vera e propria pletora di strumenti acustici e di voci maschili e femminili, un variopinto caleidoscopio di suoni e timbri amalgamati e armonizzati alla perfezione, nell’organizzare i quali Incani, oltre che ottimo cantante, si dimostra formidabile arrangiatore e direttore d’orchestra dal polso fermissimo.
In Die convivono violentissimi cambi d’atmosfera e accostamenti che, improbabili sulla carta, vivono invece di assoluta naturalezza nel quadro complessivo dell’opera. Tanca unisce cantu a tenore (più volte ricorrenti nel corso del disco) e cupissime suggestioni elettroniche che appartengono allo spettrale universo di Cut Hands, per sfociare in luminescenti sintetizzatori assai frequenti nella trance di Caribou. Stormi si poggia su chitarre acustiche e cori femminili in puro pop da spiaggia, come se Ivan Graziani incontrasse Vianello ai tempi nostri. La morbida psichedelia, arpeggiata in Buio, più incalzante nei tempi dispari di Carne, mette in primo piano chitarre, organi e fiati per avvicinarsi ad atmosfere proprie del progressive italico, anche sotto il profilo melodico. Paesaggio è un episodio quasi declamato che, con sincopati di chitarra e tappeti di ottoni, lancia la techno pulsante di Mandria, un’immersione verso l’oscurità a suon di handclap e droni sintetici.
Un disco straordinario, nel quale hanno prestato la propria opera una schiera di amici e collaboratori (fra i quali si citano almeno i due Junkfood, Simone Cavina alla batteria e Paolo Raineri alla tromba, oltre al compositore sardo Paolo Angeli e il compositore di elettronica Alek Hidell) e che è anche un atto d’amore di Incani verso la sua terra, richiamata da allitterazioni e assonanze (“sangue”, “sale”, “seme”, “rive”, “sole”), che evocano con immediato impatto la densa spigolosità del paesaggio sardo. L’artwork del cd è realizzato con le fotografie Silvia Cesari, la Grafica di Rocco Marchi e Francesca Baccolini (Obst und Gemüse).