domenica, Dicembre 22, 2024

IOSONOUNCANE – La terra, il paesaggio e le immagini: l’intervista

Del fatto che DIE fosse un bel disco abbiamo già parlato in questa separata sede; del fatto che Jacopo Incani fosse una potenza dal vivo sapevamo già, e la conferma, puntuale e molto attesa, è arrivata in una sera primaverile, in uno stipatissimo GLUE a Firenze, nel quale si respirava aria di evento: e così è stato. La sensazione è che davvero tanta attesa abbia portato al musicista sardo una rinnovata linfa e consapevolezza dei propri mezzi: ed in un’ora di conversazione siamo riusciti a carpire molte cose interessanti sul suo modo di concepire la musica e l’immaginario ad essa sottostante. Ciò che ne esce è il quadro di un artista già estremamente maturo, con un secondo disco che si sta conquistando sul campo l’approvazione concreta che l’hype (meritatissimo) aveva già ventilato.

[Le foto dell’articolo sono di Silvia Cesari)

IE: vorrei che ci raccontassi non tanto cosa è successo in questi cinque anni di silenzio ma le ragioni per cui hai avvertito l’esigenza di prenderti questo tempo. Come hai catalizzato tutta quest’attesa?

IOSONOUNCANE: non è stato assolutamente premeditato in realtà. Ho suonato sino a tutto il 2012 e ho solamente appuntato del materiale sino ad allora. Tanca era un beat, Stormi era un paio di accordi minori, Paesaggio e Mandria ancora non c’erano. E’ successo che, dopo tanto stare in giro, ero veramente stremato e ho deciso di tornare a casa: avevo addirittura deciso che non avrei mai più fatto concerti. Ho selezionato dei pezzi che percepivo come legati fra di loro, in base a due cose: le melodie strette da un legame di parentela, quasi arcaiche e legate ad un tempo lontano, e i brani in cui sentivo emergere la presenza del cantu a tenore.

IE: anni fa mi dicesti che i pezzi di IOSONOUNCANE nascono in “pantofole e pigiama”, mi ha molto divertito questa cosa. Che vestito hanno questi brani, invece?

IOSONOUNCANE: La macarena su Roma era un disco in realtà molto sbilanciato verso il ruolo della voce ed è stato un episodio quasi accidentale, figlio della necessità che avevo di scrivere di determinate cose, di prendere una valigia e di andare a suonare. Appena appuntati Tanca e Stormi, ho sentito di colpo rinascere in me la voglia di fare il musicista in senso pieno, senza alcuna imposizione verso me stesso. I pezzi poi sono diventati sempre più ricchi e sono venuti fuori un sacco di ascolti di quel periodo, dal cantu a tenore a Gershwin alla techno. E sui testi ho poi lavorato per più di tre anni…

IE: ho notato un autentico afflato poetico nelle nuove liriche maggiore rispetto al passato, in DIE quali sono stati i tuoi riferimenti?

IOSONOUNCANE: all’inizio, sulle melodie, sono nate alcune singole parole: “sole”, “mare”, “rive”, “fame”, tutto l’opposto de La Macarena. Le melodie sono qui venute fuori in ore nebbiose durante la notte, nella quale però avevo quest’immaginario comunque luminoso, preda com’ero della voglia di tornare a casa. Contemporaneamente, in questa dicotomia tra buio e luce, mi sono interrogato sul perché del ricorrere di questi due binari e ho preso una marea di appunti su alcuni romanzi, di Hemingway, di Camus, di Steinbeck, di Grazia Deledda, di Gavino Ledda e soprattutto sul ciclo di poesie La terra e la morte di Cesare Pavese, poesie che utilizzano venti parole in totale. Poi ho incontrato più volte Manlio Massole, un insegnante che si è licenziato ed è andato di colpo a lavorare in miniera: e vedeva la miniera proprio con gli occhi di un poeta. Mi ha dato dei consigli fondamentali senza saperlo nemmeno lui: quando gli ho parlato della trama, gli ho detto che non so se quest’uomo in mare sta morendo, morirà o se in realtà sia già morto. Lui, ficcante come sempre, mi ha risposto: “Questo è bene che non lo sappia neanche tu.”. Il consiglio più grande che abbia mai ricevuto. Dopo questo lavoro enorme sugli appunti ho applicato questo studio sulla stesura dei testi: riposizionando quelle poche parole in posti diversi all’interno della frase, si costruiscono significati differenti e, a loro volta, le immagini a cui quelle parole rimandano, spostate all’interno della struttura complessiva, forniscono un significato differente.

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IE: a parte l’evidente e ricorrente presenza del cantu a tenore, mi parli del tuo legame con la Sardegna dal punto di vista sonoro e non prettamente personale o intimo?

IOSONOUNCANE: non lo so, guarda, tu che suoni puoi capire che a volte due accordi o una semplice pulsazione ti possono accendere un lessico visivo nella mente, nel mio caso, quello del paesaggio che mi ha allevato.

IE: intendi, ad esempio, quella dinamica sole-buio che in Tanca è evidente sin dall’inizio?

IOSONOUNCANE: esatto. Tra l’altro racconta proprio la nascita del giorno utilizzando termini di morte, un meccanismo che, tra l’altro, ho utilizzato più volte nel disco. Ma ho dovuto lavorare davvero tanto su me stesso, venendo da un album che aveva un messaggio così preciso sin dalle intenzioni, mentre qui ho faticato molto all’inizio a legittimare le parole che cantavo. Sentivo che il senso era fortissimo ma avevo difficoltà ad esternarlo.

IE: in effetti, però, in DIE l’immagine delle parole va anche al di là del loro significato più immediato.

IOSONOUNCANE: è vero. Come dice Pavese, l’immagine è essa stessa il racconto e la sequenza di immagini mi permette di stendere il filo conduttore che possa rendere la mia percezione del senso dell’universo, che io stesso non so razionalizzare, però, intanto, la mostro. Ora spero che Pavese non esca dalla tomba e non venga a prendermi a calci in culo, però io ho cercato di fare proprio questo. Subliminalmente avevo certe cose dentro e a un certo punto le ho fatte venir fuori. Poi ho lavorato molto sulle simmetrie. In Stormi è lui che parla e ha questa visione di lei, quest’immagine di giovinezza e ha l’illuminazione di quando si stende “sotto il peso del sole” e le promette che lo vedrà di nuovo nel momento “dove il giorno rivive nel profilo degli alberi”. Questo è il primo giorno, mentre in Carne è lei che parla dell’ultimo giorno. Tutto il disco è pieno delle stesse cose usate in maniera opposta. Ma mi sta bene anche una lettura ad un primo livello perché le parole sono già immaginifiche per conto loro.

IE: come hanno dialogato temi così importanti con il tuo vissuto personale?

IOSONOUNCANE: in modo poco lineare e molto controverso. Io sono cresciuto col mare davanti, sono figlio di pescatori e minatori, per cui l’immagine di un uomo in mezzo al mare e di una donna che lo aspetta non è un’astrazione o un vezzo poetico ma è la mia realtà quotidiana. E assieme all’interiorizzazione del paesaggio attraverso la vista, ossia il mezzo meno mediato, è quello che ha regolato sempre il mio rapporto con l’esistente, e ciò vale tanto nel momento in cui mi trovo a Buggerru quanto nel momento in cui mi trovo a Bologna o in qualche altra città. Tutto questo, comunque, seppur sotterraneamente, era presente anche ne La macarena su Roma, in quanto il tema che accomuna i due dischi è la morte, perché lì ogni brano parla di un essere umano che muore. E’ davvero un evergreen nella storia dell’uomo.

IE: volendo, DIE è anche un disco prog. Quanto c’è degli Adharma (prima band di Incani, ndr) in questo disco?

IOSONOUNCANE: tantissimo e niente. Qui hanno suonato tanti miei amici, meno gli Adharma, a parte il fatto che con Riccardo, il tastierista, ho rivisto alcune strutture e alcune sequenze, tipo il finale di Tanca. Nel momento in cui stendo i beat oppure le parti di tastiera, però, sembrano proprio gli Adharma! Il prog poi fa parte di me, i miei ascolti sono tanto Close To The Edge degli Yes, quanto Pet Sounds o La buona novella. Devo vedere come prima cosa l’architettura generale, non posso farne a meno. Se vuoi, quindi, è un disco progressive nell’idea, nella sequenza centrale soprattutto. Ma poi, tirando le somme, in vita mia ho ascoltato molto di più gli Yes degli Animal Collective. E’ difficile per me scrivere un pezzo isolato, voglio lavorare più come un regista che non come un musicista.

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IE: ed effettivamente il senso dell’immagine è fortissimo in tutto il disco, io mi sono immaginato Herzog nel filmare DIE…

IOSONOUNCANE: ma tu pensa che alcune musiche de L’ignoto spazio profondo sono proprio del Cuncordu de Orosei, che tecnicamente non è un gruppo di cantu a tenore. Il cantu a tenore vero e proprio sono canti pagani, con struttura di due accordi maggiori distanziati da un tono, il cuncordu è un canto liturgico, con progressioni in minore. C’è un brano del Cuncordu, Tzeleste tesoro, che è una delle cose più belle, struggenti, potenti che abbia mai sentito e ha una successione molto simile a certe cose di Brian Wilson. Lavorando sui pezzi, mi sembravano due cose che potevano stare tranquillamente insieme.

IE: hai il desiderio, o magari lo avrai in futuro, di eseguire quest’album con un ensemble?

IOSONOUNCANE: teoricamente sì ma in questa fase sento di doverlo portare in giro così, anche per creare un rapporto con questa musica che vada oltre il tipo di lavoro che ho fatto.

IE: mi sembra di aver letto che ogni singolo suono suonato nel disco è stato prima trattato artificialmente. È corretto?

IOSONOUNCANE: dipende, ogni pezzo ha avuto un processo differente. Buio: la prima cosa scritta è stata la frase che canto, quella sequenza melodica mi ha dato subito una bella impressione. Poi Mariano Congia ha suonato l’arpeggio, che io ho looppato, due accordi semplicissimi ma suonati con impercettibili differenze di accenti e da lì ho tirato giù tutto l’assolo. Poi, di colpo, da un improvviso cambio di accordo, ho steso tutta la sequenza finale mentre quella iniziale è stata l’ultima cosa che ho scritto. Per altre cose, Serena Locci, una cantante straordinaria, ha interpretato via via da frammenti più piccoli a cose sempre più complesse, con il suo registro incredibilmente esteso: le voci di Stormi sono sue e sono più di trenta, trattate anche attraverso amplificatori e space echo. Abbiamo registrato nota per nota tutta la sua estensione! E poi ho campionato tutto, creando un vero e proprio sintetizzatore della sua voce. Così ho avuto un’intelaiatura armonica pressoché infinita. Fino a quando il materiale era davvero sterminato, per di più molte cose non suonavano come volevo, i fiati sembravano finti, gli organi troppo finti… Finché non ho chiamato Bruno Germano, che è un fonico bravissimo. Ci siamo chiusi in studio e il primo mese l’abbiamo passato solo a campionare colpo per colpo tutte le percussioni; poi, quando abbiamo fatto la tavolozza, abbiamo steso le ossature e abbiamo registrato di nuovo alcune cose completamente da zero. Poi è intervenuto anche Simone Cavina a suonare le batterie vere, anch’esse poi looppate, essendo i pezzi comunque costruiti con dei beat.

IE: quindi, sostanzialmente, è un disco elettronico “al contrario”, perché l’elettronica interviene come ultima cosa…

IOSONOUNCANE: esattamente, l’abbiamo usata come una vera e propria cassetta degli attrezzi. E di dinamiche prettamente elettroniche non ce n’è, è un’orchestrazione di campionature. Su ogni singolo suono c’è un lavoro enorme, il missaggio è durato trenta giorni, otto ore al giorno.

IE: ritieni, dunque, che sia cambiata, da qualche anno a questa parte, la figura del musicista elettronico?

IOSONOUNCANE: non te lo so proprio dire, perché da valanghe di musica che ascoltavo prima di lavorare a questo disco, sono passato a non ascoltare nulla durante le registrazioni. Ti direi che è cambiato il mio modo di percepire l’elettronica perché La macarena era un disco che partiva proprio da quello, DIE no. E al momento è molto più difficile per me riprendere i pezzi de La macarena, sui pezzi nuovi alla fine suono tutti loop.

IE: ultimo elemento: la tua vocalità. Da istrionica e camaleontica l’hai cambiata enormemente, è diventato un elemento puramente timbrico, al pari degli altri elementi sonori. È corretto?

IOSONOUNCANE: certamente. Nel primo demo che feci la voce era molto naif, ne La macarena era tutto più performativo e incentrato sul live, il che ha giocato molto sul personaggio, con la voce sempre in primo piano. Alla fine, però, questa cosa è durata lo spazio di quel disco e sentivo che non mi rappresentava più. In DIE mi sembra che le melodie siano comunque più compiute ed efficaci e una voce più dentro al mix era la scelta migliore e Bruno anche in questo ha fatto un lavoro eccellente. Sono molto contento e molto orgoglioso di aver fatto questo disco.

IE: sei sempre stato un artista amato e apprezzato. Con questo grosso cambiamento com’è stato tornare a relazionarsi con l’esterno e, nella specie, col pubblico dei tuoi concerti?

IOSONOUNCANE: mi piace molto, nonostante sia cresciuto come un solitario. Andare ora in giro in tre è molto divertente, anche perché da solo, in treno, fare sempre i cambi in tempo, eccetera, era diventato veramente sfiancante.

IE: dopo questa grande risonanza che ha avuto il disco, sebbene siamo agli inizi, che cosa ti aspetti dal futuro?

IOSONOUNCANE: ho una marea di pezzi già appuntati, in realtà, e ci sono anche diverse cose che mi piacciono. Sicuramente farò una cosa diversa da DIE, come DIE è completamente diverso da qualsiasi cosa abbia fatto in passato. Ma qualsiasi cosa farò, l’avrò fatta passando da questo disco e questo mi rasserena molto.

 

IOSONOUNCANE @ Glue 11-04-2015 – Il Live Report

In ultima analisi, sembra proprio che l’urgenza comunicativa di Incani, a parole oltre che in musica, trovi il suo sfogo definitivo nell’esibizione dal vivo. Ancora più potente che in passato, il suo set vive di accumuli sonori ed improvvisi svuotamenti, che hanno il raro dono di inchiodare l’ascoltatore al suo posto, tanto nell’aggredirlo con beat elettronici e campionamenti quanto nel lasciarlo in sospeso nei momenti di stasi, con l’unico desiderio di scoprire cosa accadrà immediatamente dopo. Naturalmente DIE fa la parte del leone, eseguito per intero con ampie digressioni su Tanca e Mandria, brani che già sulla carta lasciavano spazio all’improvvisazione, per oltre 50 minuti di impasti e paesaggi sonori di meravigliosa suggestione. Nella dimensione live, la commistione tra cantautorato (termine oramai “scolastico” e riduttivo per la complessità del materiale che l’artista sardo propone) ed elettronica è ancora più sfumata, tanto da sfuggire a qualsiasi etichetta; e, coerentemente con tale impostazione, gli ultimi due brani, La macarena su Roma e il capolavoro Il corpo del reato, quest’ultimo, a risentirlo oggi, sintomo di un horror vacui ancor più tremendamente attuale rispetto al passato, si inseriscono alla perfezione in un set visionario e antispettacolare al tempo stesso, attento com’è alla concretezza sonora e alla potenza linguistica. Lasciando molto più spazio alle parti strumentali, nelle quali dà l’impressione di divertirsi un mondo ad esasperare i picchi espressivi del disco, Incani ha anche modo di far respirare maggiormente la sua voce: addolcite le asperità e gli aspetti più caricaturali, le melodie recitano una parte davvero importante.

L’unico rammarico è che, in un live tecnicamente molto ardito, si “vede” poco di quello che Incani fa sul palco: non che ciò ne sminuisca la portata espressiva, grazie ad un magnetismo interpretativo davvero impressionante, ma capire in concreto come manda le tracce, cosa effetta e cosa no e quali diavolerie creino un sound di tale ampiezza e varietà timbrica (non è “elettronica” come siamo abituati a vedere e men che meno IOSONOUNCANE è un semplice “spippolatore”) è oramai più di una curiosità, anche per i poco avvezzi alla materia: sarebbe un modo per capire ancor meglio un approccio alla musica a suo modo rivoluzionario, che, fortunatamente, ha incontrato uno straordinario consenso di pubblico tanto meritato quanto assolutamente non scontato.

Francesco D'Elia
Francesco D'Elia
Francesco D'Elia nasce a Firenze nel 1982. Cresce a pane e violino, si lancia negli studi compositivi e scopre che esiste anche altra musica. Difficile separarsene, tant'è che si mette a suonare pure lui.

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