Ivan Piepoli anticipa il suo debutto sulla lunga distanza con il singolo di “Don’t take me home“, primo estratto da “The Kingdom of the Embalmed Bugs”, prodotto da Marc Urselli e suonato dallo stesso Piepoli insieme a Francesco Cianciola e Adriano Segreto.
Il videoclip è stato realizzato da Antonio Stea, telentuoso videomaker di cui abbiamo parlato più volte, in particolare per il lavoro fatto con i Violent Scenes (Grim July, Nope Face) e per la collaborazione con il Mundi Festival.
Stea ha scritto la sceneggiatura di “Don’t Take me home” insieme ad Anna Squicciarini e si è nuovamente affidato allo stop motion, dopo “Nope Face” ed altri esperimenti.
Lo abbiamo intervistato per conoscere da vicino il processo di realizzazione di “Don’t Take me home”, esempio di un artigianato fiero, consapevole e ad alto potenziale creativo.
Antonio Stea, l’intervista su “Don’t take me home”
Come hai cominciato a collaborare con Ivan Piepoli?
La mia collaborazione con Ivan Piepoli nasce con la realizzazione del videoclip “Bored” dei Comfy Pigs, il suo progetto parallelo. Siamo entrati subito in sintonia e non vedeva l’ora di commissionarmi anche il videoclip di uscita del suo nuovo singolo ”Don’t take me home”.
Nel video c’è come una continuity narrativa con altri tuoi lavori, dove il personaggio di questo uomo/pupazzo solitario sembra percorrere un viaggio quasi metanarrativo. è questa la tua intenzione?
Sì, c’è continuità tra i miei lavori. La cerco proprio per ricreare un unico immaginario in cui il mondo resta sempre lo stesso ed al suo interno i protagonisti si raccontano mostrando un lato oscuro, solitario e recondito del loro animo.
Hai lavorato con svariate tecniche, formati, ma ultimamente l’animazione sembra al centro dei tuoi interessi principali, come mai?
La bellezza dell’animazione sta nel portare nel mondo reale tutte le immagini che ho in testa. Tutto il processo, dalla costruzione degli scenari, le ambientazioni, la creazione dei personaggi e gli oggetti di scena, è quello che più amo in quanto mi permette di dare una forma all’irreale, poi mi appassiona scoprire e affinare nuove tecniche.
Questi sono i motivi per cui prediligo l’animazione.
Ci racconti il modo in cui hai allestito il set per l’animazione e le tecniche che hai utilizzato, oltre a quelle più specifiche dello stop motion?
Innanzitutto ho iniziato con la costruzione del personaggio creando uno scheletro con il filo di alluminio e dando vita poi al volto e ai suoi tratti. Dopo di ché ho realizzato l’automobile con cartone e polistirolo. Gli interni sono stati costruiti con cartone pressato e tutti gli elementi di scena con cartone e materiali da recupero. Le sequenze della macchina sono state realizzate utilizzando dei video proiettati da un computer come sfondo per l’inquadratura, per dare l’idea della vettura in movimento, mentre sul personaggio ho simulato con una torcia i fari delle altre auto che si stagliano su di lui.
Alcune immagini sono live action, come le sequenze notturne in soggettiva di viaggio sulla strada?
Sì, le immagini in soggettiva sono in live-action, l’obiettivo era quello di poter dare una via d’uscita al personaggio, anziché chiuderlo in quelle pareti e contenitori fittizi. Aprire la strada per la sua liberazione, il distaccarsi da quel mondo artefatto che lo rende schiavo e vittima del sistema.
Come stai affrontando il tuo lavoro di videomaker in questi mesi terribili, in cui i lavoratori dello spettacolo devono subire un doppio giogo: quello di una brutta pandemia e quello di una classe politica impreparata, rispetto ad altri paesi europei, a dialogare con chi si occupa di cultura e spettacolo?
Quest’atmosfera è pesante per molte categorie, chi opera nel settore dello spettacolo purtroppo soffre più degli altri questo blocco, ma non bisogna demoralizzarsi.
Nel mio piccolo mondo cerco di guardare avanti con ottimismo, in modo da ottenere spirito e forza per continuare a creare e a far vivere la mia fantasia