James Maddock è inglese, di Leicester per la precisione, ma non si sente o quasi. Il nostro vive infatti ormai da una quindicina di anni negli Stati Uniti, dove ha dato vita alla sua carriera solista dopo le esperienze giovanili in patria con i Fire Next Time e il successo raggiunto per breve tempo, grazie anche a Dawson’s Creek, con i Wood a fine anni Novanta.
L’America era probabilmente nel suo destino, dato che fin dagli esordi la sua voce fu paragonata a quella di Sua Maestà Bruce Springsteen, cosa non del tutto inventata dai critici, basta anche un ascolto distratto per rendersene conto. Ora anche la sua musica è fortemente influenzata da quella del bardo del New Jersey, questo è innegabile, ma non per questo James deve essere aggiunto alla piuttosto folta lista di epigoni che da trent’anni a questa parte hanno cercato di ricalcare pedissequamente la musica di Springsteen.
Maddock riesce infatti a distinguersi dalla massa dei sosia dimostrando di avere una personalità forte, del mestiere, che in questi casi non fa male, e un bagaglio musicale che va oltre a The River e a Darkness On The Edge Of Town, andando ad abbracciare da un lato l’alt-country di autori come Ryan Adams e dall’altro generi più classici, dal soul-funk all’americana di autori come Steve Earle al rock FM di gruppi come i Counting Crows.
Oltre a questo James ha anche una buona penna, che in The Green raggiunge i suoi apici nella title-track, che può ricordare gli appena citati Crows con i suoi ganci pop, nella nostalgica ballatona acustica con tanto di violino piangente sullo sfondo My Old Neighbourhood e in Crash By Design, movimentata e quasi gitana, che rischia di esagerare con gli arrangiamenti ma che riesce a cavarsela alla grande.
Altrove la qualità non è così alta, come ad esempio in Let’s Get Out Of Here, dove entra un po’ di elettronica in chiave ritmica a dare un risultato poco entusiasmante, un po’ Rod Stewart anni Ottanta anche se meno tamarro, o in Driving Around, anche questa legata al decennio reaganiano e alla sua eleganza affettata, ma in generale il disco funziona piuttosto bene e vale sicuramente l’ascolto, per capire cos’ha oggi da offrire l’America springsteeniana, anche se cantata da un inglese.