«Sono James Taylor» esordisce così il cantautore folk più famoso d’America. Lì in un angolo del palcoscenico, quando ancora il sole è alto, è venuto a presentare una grande amica con cui condividerà parte del concerto. Bonnie Raitt lo abbraccia, lui scompare dietro le quinte. Il pubblico già sorride di questo settantenne che sembra un professore della Ivy League dal carattere liberale.
Con una camicia dai colori sgargianti e vagamente hippy Bonnie Raitt stringe tra le sue mani la chitarra elettrica. La sua voce espressiva e versatile si adatta a una cover di INXS, Need You Tonight, una delle tracce del nuovo disco Dig In Deep. Risveglia subito la piazza, con gli spettatori che continuano ad affluire velocemente per raggiungere il loro posto a sedere. Raitt ride della natura molto rilassata e poco tecnologica del suo show, dietro di lei uno schermo di nuvole che cambia colore adattandosi agli stati d’animo delle melodie. La versione country rock di Burning down the house dei Talking Heads solleva le mani del pubblico che per un terzo è straniero.
James Taylor con il suo basco blu sulla testa entra quasi di soppiatto, attacca con la chitarra Carolina In My Mind, una canzone in cui immagina di essere altrove da dov’è. La band nel frattempo raggiunge il suo posto e il batterista Steve Gadd conduce Country Road come una piacevole passeggiata interrotta da energiche scosse. Con oltre cento milioni di copie vendute e cinque Grammy questo eroe del folk resta uno dei cantautori più influenti della storia musicale americana, mentre alterna sonorità malinconiche a ritmi seducenti. Si piange, si ride, si balla.
Su Steamroller Blues, Taylor accenna qualche passo di danza mentre il brano cresce e raggiunge il suo picco blues, poi è il momento della ninna nanna da cowboy che ha scritto e pensato mentre in macchina correva a conoscere il suo primo nipotino.
Something in the way she moves fa alzare in piedi la platea e ci ricorda quanto quel brano fosse piaciuto a George Harrison che lo prese a ispirazione per una delle canzoni più iconiche dei Beatles che iniziava proprio con lo stesso identico verso.
Fire and Rain è preziosa, qualcosa da custodire gelosamente, da trattenere stretta e al più lungo possibile, la voce di James Taylor è così profonda da ricucire la ferita che alberga in fondo a ogni anima. È il punto di non ritorno, la platea rapita si solleva già su i primi accordi, ha capito tutto, applaude e torna rigorosamente al silenzio.
Con l’inchino questo gentiluomo abbandona il palcoscenico, ma il pubblico non è pronto a lasciarlo andare via. E le uniche urla scomposte che arrivano sono quelle che lo accolgono nuovamente per il bis, insieme a Bonnie Raitt. Johnny B. Goode di Chuck Berry rivela l’inaspettata indole rock di Taylor in una vera e propria esplosione che prelude al vero addio a due voci di You Can Close Your Eyes. Ma in mezzo You’ve got a Friend che molti fin dall’inizio richiedevano e che lui paziente aveva già mostrato essere in scaletta, alzando la setlist che teneva ai piedi.
James Taylor è così rassicurante che ti senti come sotto una soffice coperta quando arriva una folata di vento improvvisa.