Jenny Hval è un’artista norvegese con all’attivo una serie di prodotti multidisciplinari tra cui quattro album solisti a suo nome tutti pubblicati fuori dal contesto collaborativo di Rockettothesky, uno dei suoi numerosi side projects.
La commistione di linguaggi è quindi l’aspetto più evidente del lavoro di Jenny, devota ad una particolare versione dello spoken word che a tratti ricorda la Laurie Anderson degli haikai ma con una consapevolezza meno acuminata sul rapporto tra voce, timbro e strumento, tanto che l’introduzione dell’album privilegia un approccio sensoriale ed erotico alla voce del tutto tattile e urgente, caratteristica che manterrà per tutto l’album.
Ma a dispetto delle premesse, Apocalypse, girl è molto più legato agli strumenti che al ruolo della parola, tanto che la produzione di Lasse Marhaug, musicista che in patria si è mosso tra il metal e la drone music, sposta l’asse verso quest’ultima in un lavoro di stratificazione tra elementi elettronici e innesti acustici, incluso l’utilizzo di oggetti campionati che evocano immagini del disastro, spazi urbani ormai abbandonati. È una cornice che serve alla Hval per raccontare una società in lento declino, dove il ruolo della donna, tra riscatto e oggettificazione, assume di volta in volta la forma di una confessione intima e di un racconto sull’horror vacui: ““you say I’m free now, that battle is over / and feminism’s over / and socialism’s over / yeah, I can consume what I want now.”
Apocalypse, girl costruisce una vera e propria narrazione tra tessitura sonora, rumori e liriche dove lo spazio per la forma canzone è ridotto a brevi bozzetti (per esempio, in Sabbath) che non si estendono quasi mai alla totalità del brano, quasi a suggerire la forma residuale di un’espressione legata ad un mercato (quello pop, quello indie) che per la Hval non ha evidentemente più alcun senso. L’unico modo per approcciare l’album è quindi quello dell’abbozzo, della storia breve, di un mondo che collassa dentro il successivo in una forma che condivide più elementi con la drone music e quella ambient. Di questi universi manca il fascino seduttivo immediato della meditazione; Jenny Hval non lascia mai gli ormeggi e si identifica con la voce di un narratore intrusivo, arrabbiato e allo stesso tempo involuto.
Allo stesso tempo, l’album ha una progressione ascensionale che trova nei brani Heaven e Holy Land le due stazioni di elevazione più sentite. Se da una parte l’influenza della musica corale sacra e del gospel è ben chiara, non solo per il retro copertina dell’album la cui foto sembra documentare una misteriosa funzione tra preghiera e possessione, ma anche per l’impiego massivo di organi e suoni legati all’espressione più diretta della musica religiosa; questa preghiera sembra più orientata alla separazione dal proprio corpo come conseguenza di una ricerca identitaria che cerca di sbarazzarsi dei confini imposti dalle differenze di genere: “But when I touch you I turn you into a girl / only for a moment”
In questo senso, Apocalypse, girl è una strana esperienza, a tratti difficile da percorrere, ma non del tutto ombelicale come sembra. Da un’esperienza caotica personale Jenny Hval sembra indicare una via dal respiro più collettivo, legata alla propria ridefinizione in un mondo ormai occupato da un’ipertrofia di segni che vanno velocemente verso la distruzione.
Jenny Hval – Sabbath – video ufficiale