Come accadde lo scorso anno con la spiazzante uscita di Quarantine firmata Laurel Halo, Pull My Hair Back scombussola il repertorio Hyperdub con una miracolosa sintesi di riferimenti disparati. Senza aspirare ai livelli di sperimentazione di Halo, la proposta di Jessy è egualmente rinfrescante all’interno di un panorama in cui l’omogenità stilistica sembra sempre più cedere il passo a un’ondata di rinnovamento. Jhené Aiko, SZA, Cooly G, la stessa Grimes, l’elettronica d’inflessione R&B sembra godersi un momento culturale. Jessy, vocalist, tastierista e produttrice, fa base ad Hamilton, Ontario, da cui in seguito a una serie di concerti (si contano set di apertura ai compatrioti Diamond Rings e Trust) si è sollevato un più che motivato hype pronto ad affascinare l’Europa. A seguito di un training classico, Jessy decide di sperimentare con beats e sintetizzatori, divorziando temporaneamente dal piano acustico. Ad aiutarla nella stesura dei primi brani e a co-produrre l’intero disco è Jeremy Greenspan dei Junior Boys, veterani di un synthpop i cui primi lavori qui Jessy sembra inequivocabilmente richiamare. Lo Shellac Bob Weston si occupa della masterizzazione. Con un unico brano già all’attivo, Beach Mode (Keep It Simple), la collaborazione con la produttrice inglese e compagna d’etichetta Ikonika, lo scorso Luglio trapelava il primo singolo Kathy Lee, un’irresisistible perla downtempo a cavallo tra dubstep e R&B in cui il sapiente e sofisticato piano d’azione di Lanza è ben sintetizzato. Bass-heavy e intercalato dal sample di una voce maschile che pronuncia il titolo a mezza bocca, il brano incanta e seduce, barattando istinti danzerecci per un’atmosfera cupa e distaccata. La voce di Jessy, qui e un po’ ovunque nel disco, è dolce, vaporosa, finanche eterea, e preferisce un’interpetazione velata e sensuale a richiami da dancefloor ed espressionismi. L’ispirazione di riferimento, lo si riconoscerebbe lontano un miglio, è l’R&B 90s e primi 00s, il miracoloso connubio di beats, produzione alla Missy Elliott/Timbaland e la verve di un Ginuwine o di Aaliyah, la cui eredità nel panorama avant-R&B è tra le più celebrate degli ultimi dieci anni (più che alle ossessioni dei Drake o alle menzioni a sproposito, pensate al bel tributo di Katy B e Jessie Ware dello scorso anno). Basta sentire l’interpretazione del brano 5785021, in cui Lanza sembra giocare a lasciare all’amante numeri a casaccio e ripetere “You can call me / You know my address“, per riconoscere forte e chiara la lezione della scuola Timbaland/Aalyiah. Stessa istantanea associazione per As If, in cui i vocals si fanno occasionalmente più nitidi su uno sfondo di scariche irriverenti di synth e percussioni, in corsa verso manovre orchestrali. La fusione tra un brand pop quasi-agé di riferimento e la sperimentazione, d’altra parte, sembra il marchio di fabbrica di questa nuova ondata di electro-pop. Solo l’anno scorso Grimes faceva outing con le sue dichiarazioni d’amore per Mariah Carey e motivava così l’ossessione per le impennate in falsetto e il suo giocare a diva dispersa in un mare di beats incontrollati. E anche in Pull My Hair Back qualcosa di Grimes-y si percepisce, ma molto probabilmente per puro caso. Uno dei brani più eccentrici e geniali, Fuck Diamond, sembra davvero molto vicino all’universo sonoro di Claire Bouchet, ma Lanza trasale solo per tornare coi piedi per terra, più sensuale e corporea che robotica creatura. L’intero disco sembra infatti insistere su eleganti toni simil-ammiccanti (“I don’t give a fuck what you do / If you want my love / Baby pull my hair back“, canta nella stupenda title-track), gli stessi che la vedono in veste di disco-diva nell’irrestistibile Keep Moving senza perdere in credibilità, o incredula provocatrice nell’ansimante Against The Wall. Pur prevalendo calcolo e posatezza, il dubstep di Jessy Lanza non perde d’intensità dall’inizio alla fine e tende a causare forti dipendenze. Vi aspetta a fine estate.