Night Crawling, con la definizione urbana del termine, indica l’esplorazione notturna dei meandri cittadini, quelli più oscuri e proibiti, dove creature che usualmente dormono di giorno occupano una soglia altrimenti invisibile, individuata nel cono d’ombra della vita comunitaria. Una suggestione più antica rispetto a quella che sostanzialmente circoscrive i confini della città post-moderna è la pratica giapponese del Yobai, attiva prima dell’era Meiji, dove un uomo ancora slegato dal vincolo matrimoniale, scivolava nella casa di una donna di pari condizioni durante le ore notturne, e con il suo eventuale consenso, ci dormiva insieme. Una vera e propria iniziazione sessuale che nelle metropoli degli anni settanta, individua i bagliori di una nuova aurora non binaria, quella della promiscuità selvaggia e della fluidità dei generi.
Nella nuova canzone di John Cale, diffusa attraverso un video d’animazione realizzato dall’illustratore Mickey Miles, l’artista gallese racconta le scorribande notturne condivise con David Bowie nella New York degli anni settanta, riferendosi attraverso le liriche ad un gioco sul bordo che diventa improvvisamente moltiplicazione di un limite. Dopo i primi versi, la ripetizione Rileyana di una frase, occupa la quasi interezza del brano tra le tastiere e una bassline ossessiva, molto vicine all’elettronica di HoboSapiens, in quella scomposizione cubista delle influenze Jazz che hanno attraversato alcuni capitoli della produzione dell’ex Velvet Underground
Il verso I can’t even tell when you’re putting me on / We played that game before ci racconta la continua reverie del trascinamento urbano. Quel movimento sempre uguale, sempre sul limite, ma ogni notte introduzione ad una nuova metamorfosi.
Il ripetersi di questa immagine riflessa nelle liriche, individua uno stimolo potenziale, uno sviluppo interrotto, ma all’interno della ripetibilità degli eventi intrappolati nel tracciato temporale. Lo stesso video coglie questa dimensione e costruisce un vero e proprio Nastro di Möbius, con alcuni motivi narrativi che ogni notte sembrano riproporre lo stesso gioco, gli stessi titoli di testa come se si trattasse di un serial, di una situation comedy agganciata alla propria coazione a ripetere. Del resto, nel geniale video di Mickey Miles, tutto promana da una nuvola di fumo, dalle insegne luminose, dall’iridescenza dei colori pop, per poi spegnersi dentro il segnale elettrostatico di uno schermo catodico.
“Ad un certo punto, intorno alla metà degli anni settanta – racconta Cale congiuntamente al lancio del brano – io e David Bowie ci siamo incontrati a New York. Mentre discutevamo molto sulla possibilità di portare a termine un lavoro condiviso, finivamo per vagare lungo le strade della città, fino a non essere più in grado di formulare un pensiero, figuriamoci una canzone!“
La New York di Night Crawling è allora il vero centro della riflessione di Cale, un incubatore allora ancora capace di produrre arte, tra sicurezze e pericolo. Il vagare sul lato selvaggio su cui il video insiste è un congelamento, tenero e sofferto, di quel continuo trovarsi fuori binario, rispetto alla realtà quotidiana: “Ho sempre pensato che avremmo avuto un’altra possibilità per registrare qualcosa insieme – aggiunge Cale – questa volta senza l’interferenza del nostro essere perennemente fuori di testa“
Ma cos’è la dimensione creativa, se non la capacità di uscire dal mondo? “Creare musica – dice ancora Cale – è la capacità di indovinare un pensiero ed un sentimento, anche quando la realtà dice che non è possibile in termini logici“
Night Crawling coglie allora uno stato di transito che non si risolve mai, sul sentiero di una creazione potenziale che si perde nella flagranza dell’istante, nel divertimento pre-formale.
C’è un non detto, recuperabile attraverso alcune testimonianze raccolte negli anni, tra cui un’intervista concessa da Cale nel 2008 ad Uncut dove l’artista gallese cita le session ai Ciarbis studios di NY registrate insieme a Bowie nel 1978, una jam furibonda dove i brani sono spunti, abbozzi folgoranti, idee da sviluppare ancora immerse nel gioco aurorale dell’improvvisazione e che saranno diffuse solo attraverso alcuni bootleg nello spazio cultuale delle fandom di riferimento.
“Quando abbiamo registrato quelle session, […] era un periodo di divertimento estremo per noi. È stato emozionante lavorare con lui, perché c’erano molte possibilità nell’aria, ma in quel momento eravamo i nostri peggiori nemici… Avrei mai desiderato produrre Bowie? Dopo aver passato del tempo con lui, ho capito che la risposta era no. Il modo in cui eravamo allora l’avrebbe reso troppo pericoloso” (Uncut, Giugno 2008, intervista curata da Stephen Troussé)
David e Cale si erano incontrati in città qualche anno dopo la produzione di Horses curata dall’artista gallese. La session, come attestano le sue parole, diventa una festa, un gioco quasi distruttivo che non può svilupparsi in una collaborazione compiuta. Era il 5 ottobre del 1979 e una versione parziale di quell’esperienza vede la luce grazie ad un bootleg pubblicato qualche anno dopo in vinile 7 pollici, intitolato Two Gentlemen in New York. I brani contenuti, con titoli “inventati” dalla clandestinità, sono “Velvet Couch” e “Piano-La“, il primo dei quali ha la struttura più definita, con la voce di Bowie che sembra amalgamare liriche e melodia sulla traccia pianistica impostata da Cale, mentre il secondo brano si ferma al livello di un mormorio cantilenante.
Qualche mese dopo, John Cale insegnerà a David Bowie una parte di viola allo scopo di fargliela suonare durante l’esecuzione di Sabotage alla Carnegie Hall di NY, per un concerto che andrà in scena il primo aprile 1979, all’interno di un contenitore complessivo curato da Steve Reich e Philip Glass, profeticamente intitolato “The First Concert of the Eighties“. Durante l’evento Bowie indosserà un Kimono nero, ma non esistono registrazioni video dell’evento.
Nel lungo tracciato d’amore che lega David Bowie ai Velvet Underground, avvicinamento che avviene in varie forme, creative (Il brano Andy Wharol contenuto in Hunky Dory), celebrative (l’esecuzione live di White light/White heat e di I’m Waiting for the man) e produttive (la seminale collaborazione con Lou Reed), la relazione con John Cale fa parte di quelle occasioni perdute che avrebbe messo davanti allo specchio la genialità proteiforme e in ebollizione di due artisti sospesi tra disciplina e anarchia. Che Bowie lo abbia osservato da vicino in più di un’occasione non è scritto, ma riconducibile ad alcune scelte estetiche. Introdurre Pablo Picasso dei Modern Lovers nella tracklist di Reality, è un modo per indirizzare la paternità del punk al lavoro di John Cale tra il 1975 e il 1978, ma anche un imprimatur per quello che può esser considerato l’album di Bowie più introspettivo e influenzato da alchimie eterogenee.
Di nuovo il Nastro di Möbius, nella continua potenzialità di un incontro mai effettivamente avvenuto.