mercoledì, Dicembre 18, 2024

John Milk – Treat me right: la musica viene dallo spirito. L’intervista

John Milk viene da Lione ma la sua formazione musicale si è sviluppata tra la città nativa e la suburbia parigina, dove negli anni ha assimilato moltissima musica roots con un’attenzione particolare ai ritmi africani e a quelli della Giamaica.
Dopo aver fondato una piccola etichetta discografica per incidere i lavori di molte band reggae locali comincia a produrre la sua musica e con un processo inverso ai musicisti giamaicani influenzati dal soul classico, arriva a questo ascoltandolo tra gli interstizi del reggae. Il suo primo album, pubblicato dalla Underdog e intitolato Treat me right è un sorprendente debutto soul tra i più convincenti e coinvolgenti dai tempi di Cody Chesnutt. A differenza del collega statunitense, Milk ha assimilato moltissimo afro-beat, ritmi africani tra i più disparati, molta musica nigeriana e ovviamente roots reggae.

Il risultato sta a metà tra il suono motown, per come è stato recuperato da etichette californiane come la Stones Throw e il “beat” della musica africana. Nell’incedere sensuale del groove Milk sembra più ancorato allo spirito che alle questioni legate a politica o coscienza identitaria, un’occasione in più per rintracciarlo e per fare quattro chiacchere con lui sul suo debutto discografico, sulla musica che l’ha ispirato e sul suo modo di intendere quella dell’anima.

Come si è svolta la tua formazione musicale?
Come autodidatta, ascoltando la radio e la musica che piaceva a mio padre, principalmente blues. Ho poi avuto l’occasione di incontrare persone che mi hanno introdotto al Roots Reggae, al Jazz e alla musica Soul

E in questo percorso quanto sono state importanti città come Lione e Parigi?
Lione era grande proprio perché la scena musicale non era così vasta. Puoi incontrare molte persone che suonano in un’area molto circoscritta. Incontri Dj e li ascolti suonare più di una volta a settimana, questo ti consente di ascoltare continuativamente le produzioni di ognuno, per tutta la durata dell’anno. In questo senso è semplice intercettare le giuste vibrazioni e sviluppare una formazione musicale. Parigi è differente, più grande e con moltissimi stili eterogenei. Quando trovi qualcuno che fa la tua stessa musica, diventa un’esperienza eccitante sopratutto se quello che fai suscita interesse e ti consente di fare molti concerti e di ottenere esposizione mediatica

Puoi raccontarci come sei arrivato a fondare un tuo studio di registrazione dopo aver assimilato tutta questa musica?
Ho cominciato con la mia etichetta, la KA Records, registrando roots reggae che proveniva tutto dalla scena underground di Lione. Cercavo di comprendere quale era quel quid che faceva il suono giamaicano così speciale. Ho comprato registratori a nastro, pre amplificatori e ho registrato tutto quanto dal vivo con una band locale di supporto. Il suono era davvero molto sporco, a quei tempi cercavo di migliorare le mie capacità per il lavoro in studio, tenendo sempre presente che il suono è per il cinquanta per cento un personaggio da armonizzare.

Attraverso quale tipo di processo sei passato dalla musica radicata nella tradizione giamaicana al soul classico?
La musica giamaicana è naturalmente inspirata da quella nordamericana. Ascoltare leggende come Bunny Lee, Delroy Wilson e molti altri, significa anche percepire i riferimenti che questi musicisti assorbivano dalla cultura statunitense, attraverso James Brown, King Curtis, Nat King Cole. Lee Perry ha fatto moltissime cover di Curtis ed è solo un piccolo esempio dell’influenza del Soul americano sulla musica giamaicana. Credo che per me sia stato lo stesso. Ho trovato il Soul attraverso il Reggae e ho voluto cominciare a farlo mantenendo la mia identità e la mia cultura esattamente come hanno fatto i musicisti giamaicani

John Milk – treat me right – video ufficiale

Ci puoi raccontare come hai incontrato la Underdog?
Si è trattato di un vero colpo di fortuna. Quando ho finito il primo demo di “Treat Me right”, il mio manager ha inviato mail a tutte le etichette specializzate, per vedere se vi fosse un certo tipo di interesse. Underdog ha mandato un feeback positivo e da li è cominciato tutto

Il tuo suono è un metissage tra il soul della motown, la musica giamaicana delle radici e l’afro-beat. C’è qualcosa che hai assimilato respirando l’aria multiculturale delle città suburbane francesi?
Assolutamente si, grazie per questa analisi, credo tu abbia ragione. Ho avuto questa oppurtunità di crescere nella suburbia parigina con ragazzi neri, meticci, asiatici. Tutti i ragazzi che si interessano di musica hanno quasi sempre l’opportunità di ascoltare quella africana e il rap e più in generale possono imparare molto da tutte queste culture. È un aspetto che ha modellato il mio modo di assorbire e più tardi anche il mio suono.

John Milk – Give Me More Than Time – il video ufficiale

L’hip hop francese, sopratutto nei novanta, aveva una forte attitudine politica, sia dal punto di vista della coscienza sociale, sia da quello delle questioni identitarie. Sei vicino a quello spirito o per te è solo una questione di groove e di suono?
Non mi interessa affrontare strettamente questioni politiche con questo album. Nei novanta le cose erano molto diverse, e la coscienza musicale aveva una relazione stretta con quella politica. Io penso che per come questi aspetti si siano evoluti di male in peggio, la coscienza debba essere trovata in qualcosa di molto più spirituale. È da li che ho tratto la mia ispirazione. Senza essere necessariamente connesso ad aspetti religiosi, io spero di infondere e trasmettere una buona dose di saggezza e spiritualità, è un approccio molto più universale rispetto a quello strettamente politico. Non ha alcun senso protestare per i diritti reclamati dalla cultura black negli anni sessanta. Sono convinto che abbiamo perso tutta la sfera della coscienza e della spiritualità, per questo cerco di scrivere canzoni che parlano di questo.

Quale musicista francese è stato più importante per la tua ispirazione?
Serge Gainsbourg. Perché era un grande autore e anche un grande compositore.

Il suono di “Treat me right” è davvero stupefacente, mi è piaciuto moltissivo. Hai usato solo strumentazione analogica per registrare gli strumenti?
Si, ho utilizzato un Tascam TSR8 ad otto piste, preamplificatori analogici, microfoni vintage, controller analogici. Per registrare la batteria è perfetto!

Hai un gusto eccellente per la struttura dei brani ma allo stesso tempo, alcune canzoni sono puro ritmo come per esempio la splendida “Supa dancing”. Come scrivi le tue canzoni? C’è più spazio per l’improvvisazione o per la scrittura?
Non scrivo le canzoni all’inizio del processo. Tutto quello che desidero è che la mia band si senta libera di respirare e sperimentare la musica che sentono dentro. Io fornisco solo piccole indicazioni sul tempo e sui pattern ritmici all’inizio di ogni registrazione. Offre l’opportunità alla nostra musica di autodefinirsi nel suo farsi, è l’unico modo per ottenere qualcosa di genuino e vero. Non sono certamente il primo a farlo; Miles Davis registrava tutte le session integralmente facendo in modo che tutti si dimenticassero che la registrazione fosse in corso. Dopo questa fase lavoro nuovamente sulla resa strumentale per strutturare una canzone e quindi renderla più personale.

Ho letto che stai lavorando ad una colonna sonora. Puoi raccontarci qualcosa sul film e sulla musica che stai sviluppando?

Sto lavorando per alcuni cortometraggi realizzati da registi parigini. Non è niente di particolarmente grande al momento ma hanno bisogno di musica e amo comporre sulle immagini. Ho fatto lo stesso lavoro per l’advertising e mi piacerebbe farlo per una grande produzione molto presto!

Cosa pensi dei film francesi girati nel contesto della Banliue e che parlano di cultura delle radici, come per esempio il recente Bande De Filles, sono di qualche ispirazione per te?
Questo tipo di cinema cerca di affrontare quello che i giovani francesi sperimentano maggiormente nella vita: amore, odio, razzismo, culture differenti. È importante parlarne e filmare una realtà come questa. Ogni progetto artistico che riesce a definire il tempo in cui viviamo è una grande cosa.

John Milk – live session

Puoi selezionare per noi una playlist di brani che sono stati importanti per te e per il tuo suono? Dagli Stati Uniti alla francia, magari con una breve motivazione per ogni traccia

Doctor Feelgood di Aretha Franklin:
Perchè il blues prima di tutto una questione di coraggio!
The Line di D’angelo:
Perché questo album mi ha completamente messo al tappeto, nel momento stesso in cui registravo il mio
Akula owu onyeara di The Funkees:
Perchè il mix è splendido e il funk africano mi ha sempre ispirato moltisimo
Life is gone down low di The Lidjadu Sisters.
Perché le armonie vocali e l’hip hop può essere rintracciato anche nella musica nigeriana!
Curly Locks di Junior Byles:
Perché la musica dovrebbe venire sempre direttamente dal cuore

Hai mai pensato di cantare le tue canzoni in francese? Hai scelto l’inglese per una questione filologica?
Non ho mai pensato di cantare in francese. L’inglese è una grande lingua ed adatta ad esprimere molte cose in pochissime parole. E poi desideriamo sempre che la nostra musica viaggi all’estero!

Verrai in Italia per suonare dal vivo? e come sarà la line-up dei tuoi show?
Mi piacerebbe venire in Italia per alcuni concerti. Stiamo firmando alcune licenze per la diffusione dell’album in diverse nazioni europee e ci piacerebbe certamente condividerla con i nostri amici italiani. È importante vedere come le persone reagiscono al tuo suono e alla tua musica da una città all’altra; non so che line-up potrei portare in italia (ride) hai qualche suggerimento?!

John Milk – Give me more than time [Live Lab 0 France 0]

John Milk, una playlist per indie-eye

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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