Nel giro di qualche mese, Balan Evans ha girato e diretto un paio di videoclip, con intenzioni e risultati molto diversi, ma che confermano senza alcun dubbio il suo talento. Documentarista e filmmaker sperimentale, negli ultimi cinque anni si è speso tra videoclip, documentazione live, advertising e documentario sociale. Suo il progetto “Queen Harold“, realizzato in 16mm per Dazed Digital e incentrato sull’attivismo Queer a Freetown, in Sierra Leone. L’elemento fotografico tradizionale è alla base di alcune sue produzioni, legate alla matericità dei formati analogici, mentre l’estetica digitale è al centro di una riflessione ben precisa che caratterizza alcuni video realizzati per artisti britannici, tra cui Hot Pink per le Let’s Eat Grandma.
Still, prodotto per Just Mustard è senza mezzi termini un video straordinario, realizzato con tecniche che gli hanno consentito di non ricorrere ad alcuna forma di vfx in fase post, realizzando tutti gli effetti in camera. Un approccio già sperimentato nel 2018 per Arp Chime dei Rondo Mo e che a distanza di cinque anni affronta nuovamente con risultati davvero sorprendenti.
I due video hanno in comune scelte di matrice prevalentemente ottica, ma “Still” è maggiormente legato alla lunga linea del cinema di ricerca, nel tentativo di recuperarne le intenzioni prelogiche e convogliarle verso un astrattismo di tipo retinico. Mentre il montatore del video, Dylan Friese-Greene, realizza come regista il bel Mirrors, sempre per Just Mustard, rilanciando di fatto le intuizioni di Evans sperimentate nel già citato video di “Arp Chime”, “Still” conduce oltre, delineando di fatto lo spazio performativo all’interno del flusso ottico e illuminotecnico.
“Still” non è semplice sinestesia, intesa come interazione sinfonica tra forme, luci e colori, ma è una sintesi potente di quell’interiorizzazione negativa narrata dalle liriche del brano: caduta libera dentro la propria psiche frantumata. Gli elementi del flusso di coscienza ci sono tutti, ma vengono assorbiti dall’occhio come tavolozza del possibile. Il volto di Katie Ball al centro del riflesso corneale mantiene l’unità del viaggio entro la retorica performativa, lip sync incluso. Il viaggio soggettivo invece è un’avventura dell’occhio, come forse l’abbiamo già sperimentata in alcuni video degli anni novanta, ispirati dalla rinascita aurorale di certa neopsichedelia. Inedita è la centralità quasi pittorica nell’arte visuale di Balan Evans; dipinge con le luci e cerca di strappare l’ultimo bagliore elettrico dal buco nero dell’esperienza digitale globale.