Si potrebbe discutere sul fatto che gli ultimi video musicali di Mark Romanek non siano all’altezza dei primi. Noi non siamo ovviamente d’accordo.
Tutti realizzati dal 2013 in poi dopo una pausa lunghissima dove il nostro si è dedicato ad altro, sono in realtà coerentemente legati da un fil rouge che si riferisce alla street art, ai colori che occupano gli ambienti suburbani e all’invasione del lettering e degli effetti digitali nello spazio performativo, ovvero ad una variante che dalla città reale passa ai segni e alle cicatrici di quella virtuale (Barnbrook über alles). In quest’ultimo caso c’è la clip realizzata per gli U2 (Invisible), mentre per la suburbia c’è una trilogia inaugurata con il bel video di Picasso Baby realizzato per Jay Z, esperimento di video pittura bruciatissimo e assolutamente tattile nell’avvicinarsi ai colori della strada, per niente patinato e sporchissimo tanto da vanificare l’ipotesi che nel mondo indipendente, spesso serbatoio delle più immonde cazzate passatiste, ci sia ancora spazio per sperimentare.
Prosegue sulla stessa linea, ma invertendo di priorità il rapporto tra corpo e ambiente con la clip girata in studio per Taylor Swift e intitolata Shake it off dove i colori saturatissimi vengono veicolati dai performer isolati in un limbo scuro come il catrame. Ultimo della serie il video girato per Justin Timberlake. L’approccio “proletario” di Can’t stop the feeling, nell’apparente semplicità, punta tutto sui colori e sull’ambiente “naturale”, un po’ come succedeva con la “prima” clip della storia moderna (si esce vivissimi dagli anni ottanta, genoma ancora in circolo) che utilizzava segmenti della città in senso performativo e ci riferiamo ovviamente alla bellissima versione di “Wild thing” interpretata da Sister Carol nei titoli di coda del capolavoro di Jonathan Demme, Something Wild