domenica, Novembre 17, 2024

Ka-meh, il debutto di Misère de la Philosophie

L’occhio segue le vie che nell’opera gli sono state disposte (Paul Klee)

Misère de la Philosophie è certamente il moniker più ricercato con cui abbia avuto a che fare. Per chi non lo sapesse, per chi non avesse già digitato la frase in qualche motore di ricerca, si tratta dell’opera di Marx scritta nel 1847. Marx, Karl Marx, giusto per non creare fraintendimenti. Tuttavia non è un semplice libro; Misère de la Philosophie è quella che si potrebbe definire un’opera minore, meno conosciuta rispetto Il Capitale (certamente presente sul comodino di ognuno) nonostante contenga alcune delle argomentazioni colà sviluppate.

Senza entrare nel merito di quello che sarebbe un discorso tanto affascinante – di certo per la sottoscritta – quanto poco appropriato al contesto, mi limiterò a dire che l’album si presenta ad essere letto come una magniloquente allegoria i cui contorni sono disseminati nei testi visionari di Ka-meh. Dieci tracce che si iscrivono nel solco della tradizione aperta anni or sono dal melanconico saturnino per eccellenza, Syd Barrett, e proseguita fino ai giorni d’oggi. Dieci pezzi che oscillano fra le note psichedeliche, congiunture cabalistiche neppure poco evidenti con i CCCP delle origini, cui si somma il cantato di Sebastiano Taccola molto affine a quello di Giorgio Canali. Un progredire tensivo che raggiunge i suoi picchi nella linea combattiva di Interferenze o nella preveggente A voi. Nel mezzo, il garage corposo di Babok, il noise alla Jesus & Mary Chain in Terrore fino alla dolce ballata di Ombre Corte.

Cinque ragazzi di piombino che guardano con lo spirito di novelli Tiresia alla storia svuotata delle sue utopie e distopie, riportando l’andare in frantumi dell’orizzonte all’interno della frammentarietà del testo. E non potrebbe essere diversamente, dal momento che all’interno del disco, sollevato il cd, potrete notare la riproposizione dell’Angelus Novus di Paul Klee, quel quadro così caro a Walter Benjamin da farne incarnazione visiva del suo concetto di storia.

Troppi segni e segnali per non coglierne il nesso.

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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