Assistere ad un concerto di Kali Malone è un’esperienza unica. Questo perché l’attenzione matematica alla struttura e alla prassi esecutiva permette alla musicista statunitense di evidenziare la coesistenza tra ambiente e strumento su basi assolutamente empiriche, che non si presentano mai uguali.
Per la Biennale Musica, Malone eseguirà Trinity Form, progetto ideato e sviluppato per la Basilica di San Pietro di Castello e commissionato dalla stessa Biennale Di Venezia, suonando l’organo costruito da Pietro Nacchini nel 1754. Insieme a lei, alle ore 17:00 del 20 ottobre ci saranno il violoncello di Lucy Ralton e la chitarra acustica con e-bow di Stephen O’Malley, già con Sunn O))), KTL, Lotus Eaters, per sancire una collaborazione che è cominciata proprio dal vivo e che discograficamente caratterizza l’ultimo lavoro di Malone uscito nel 2023 per Ideologic Organ, intitolato Does Spring Hide Its Joy.
Nata e cresciuta in Colorado nel 1994, Kali Malone ci ha vissuto fino a 16 anni, quando si è trasferita per un breve periodo nel Massachussetts, stabilendosi definitivamente a Stoccolma dal 2012.
Durante il perfezionamento e il master in composizione elettroacustica al Collegio Reale di Musica della città, ha pubblicato nel 2018 una serie di lavori, tra cui la cassetta Organ Dirges 2016-2017 per Ascetic House, Cast of Mind in formato LP per Hallow Ground. Quest’ultimo, registrato con il sintetizzatore modulare Buchla 200 insieme ad una strumentazione di ottoni e legni, mette in pratica i principi dell’accordatura naturale, esplorazione centrale nel lavoro della Malone, cresciuta artisticamente all’interno di quei gruppi di ricerca che si concentrano sugli studi microtonali, applicando modalità alternative al sistema di accordatura della scala musicale occidentale, diffuso e noto come temperamento equabile.
L’organo a canne era già uno strumento di ricerca importante per Malone, non solo nei primi lavori tra cui quello già citato per Ascetic House, ma anche nella prassi laboratoriale condivisa con Jan Börjeson, accordatore svedese d’organi, con cui lavora costantemente. Questa formazione tecnica le ha consentito di capitalizzare i passaggi specifici dell’accordatura, elaborando un processo di ricerca radicale nella composizione.
Interesse che prosegue con The Sacrificial Code del 2019, dove la registrazione e la microfonazione di tre organi differenti elimina tutti i riferimenti ambientali che codificano in certi casi il suono stesso e la definizione storico-religiosa dello strumento, tra cui il riverbero dello spazio. Una riduzione radicale che punta all’essenza anche in termini compositivi, dove l’ego dell’esecutore viene letteralmente scarnificato da ogni tentazione ornamentale e manipolatoria. C’è una dimensione meditativa che attraverso una ferrea disciplina, ritrova estrema libertà fuori dalle convenzioni e dagli standard che vorrebbero definirla.
La prassi di registrazione degli album è molto diversa da quella live. Nella prima ogni tono viene registrato separatamente, secondo una scansione metronomica, mentre nelle performance dal vivo subentra una dimensione performativa basata sulla resistenza e sulla concentrazione, soprattutto quando gli esecutori sono più di uno e si muovono sugli stessi registri e sulle medesime ottave.
A questo si aggiungono le condizioni ambientali, la scelta di microfonare o meno le canne, la dimensione dell’accordatura pura, che può condurre a risultati inaspettati, anche in base agli sbalzi di temperatura del contesto.
Pur provenendo da un background di matrice improvvisativa, Kali Malone si è avvicinata maggiormente alle strategie della musica generativa, se la intendiamo come pratica strutturale ponderata e basata su specifici parametri. Un sistema per produrre musica e suoni che cambiano continuamente nella relazione con il tempo, lo spazio e il punto di fruizione. La ripetizione e la serialità nascondono quindi risultati inaspettati anche per l’esecutore stesso.
L’ultima pubblicazione discografica di Malone si allontana dall’organo, ma non dal metodo. In Does Spring Hide it’s Joy conduce oltre la sperimentazione del precedente Living Torch. In quel caso era la combinazione del sintetizzatore modulare Arp 2500 con una complessa struttura elettroacustica, in questo invece gli oscillatori ad onda sinusoidale accordati e suonati insieme al violoncello di Lucy Railton e la chitarra di Stephen O’Malley.
Senza alcun ancoraggio per l’ascoltatore è la dilatazione del tempo che definisce la qualità mutevole del suono, proprio quando sembra addensarsi, producendo massa. Si definisce una dimensione dell’ascolto basata sulla stessa attenzione reciproca degli esecutori. Ciò che in altri contesti potrebbe promanare da una prassi legata alla meditazione spirituale, per Malone è la contemplazione naturale delle catene montuose del Colorado, che hanno caratterizzato il possente orizzonte visivo della sua pre-adolescenza.
Nella ricerca del post-minimalismo che estende le intuizioni di Steve Reich e La Monte Young, Kali Malone sembra riconnettere la sperimentazione della drone music al tentativo di far riemergere una storia armonica cancellata e precedente al diciottesimo secolo.
Lo spazio di una chiesa del Seicento come la Basilica di San Pietro di Castello accoglie uno dei 500 strumenti costruiti dall’organaro Pietro Nacchini, fondatore della scuola veneta del Settecento.
Si tratta di un organo a una sola tastiera e dieci registri, inserito dentro una piccola cantoria, collocata dietro l’altare maggiore. Restaurato recentemente dal maestro Micconi, suona nuovamente in tutta la sua ampiezza armonica da circa tre anni.
Vedere l’interpretazione viva dello strumento da parte di Kali Malone insieme a due dei suoi collaboratori più frequenti, rappresenta un tassello ulteriore della sua ricerca in costante movimento e in una combinazione del tutto inedita che mette insieme i suoi primi lavori dedicati all’organo con l’impiego di un ensemble elettroacustico.
Per informazioni sull’evento, consulta la scheda sul sito de La Biennale
Kali Malone, nell’ambito della Biennale Musica diretta da Lucia Ronchetti, è una dei cinque organisti che si esibiranno nella Basilica di San Pietro in Castello, nelle Chiese di San Salvador e San Trovaso e nella Sala dei concerti del Conservatorio Benedetto Marcello, così da valorizzare le creazioni veneziane di Gaetano Callido, Pietro Nacchini, Franz Zanin e Jürgen e Hendrik Ahrend. Il titolo della sezione è Stylus Phantasticus – The Sound Diffused by Venetian Organs e ciò che accumuna le esibizioni è la scrittura organistica in direzione polifonica, declinata da punti di vista diversi, ma tutti tesi a valorizzare il rapporto tra suono e spazio architettonico che accoglie gli strumenti. Oltre a Malone, gli artisti coinvolti in altrettanti e diversi eventi sono Wolfgang Mitterer, John Zorn, Andrea Marcon e Luca Scandali
[Foto dell’articolo, Biennale Musica – ufficio stampa – Kali Malone foto di Victoria Loeb]