Kim Gordon anticipa la pubblicazione del suo nuovo album solista previsto per il prossimo marzo, con un videoclip interpretato da Coco Gordon Moore. Riattiva le stesse connessioni famigliari di “Hungry Baby“, pubblicato nel febbraio del 2021 per promuovere il precedente “No Home Record“, dove la figlia era sempre al centro di una suburbia desertificata ed elaborata dalla creatività di Clara Balzary.
La giovane fotografa e filmmaker statunitense, figlia di Michael Peter Balzary, meglio noto come Flea, torna dietro la macchina da presa e realizza una clip molto simile alla precedente, che assegna alla presenza fisica di Coco il contrasto indomato tra energia femminile e spazio urbano.
Lo sguardo è in apparenza vicino a quelli di Larry Clark, Harmony Korine e per certi versi anche alla fotografia di Richard Kern senza l’estrema sessualizzazione dei corpi. Questa viene sublimata da una straordinaria esplosione di rabbia complementare e opposta, rispetto alla forza centripeta di “Hungry Baby”.
Il personaggio di Bye Bye è quello di una ragazza in fuga, il cui contesto è semplicemente inabissato nell’istante, nell’esplosione degli eventi, nello sguardo periferico delle videocamere di sorveglianza, nei furti e negli espedienti di una ragazza sul bordo.
Non è un video “retrò” come ci è capitato di leggere da parte di una critica di imbarazzante incompetenza, è al contrario l’immagine flagrante della discrepanza fluttuante che si verifica nella post-adolescenza, tra identità, aspettative e profilazioni del mercato.
Lontana dalla coolness coeva, inclusa quindi la retromania, Balzary mostra un meta-codice che ne disinnesca i presupposti, rilanciando un’ipotesi vitalistica al di là del bene e del gusto e inventandosi una personale sinestesia tra movimento, colore e rumore, per dialogare con il cut-up stilistico del brano.
C’è una straordinaria simpatia per il male, attraverso quelle modalità che hanno attraversato intimamente anche formazioni come i Sonic Youth e l’immagine di alcuni cineasti indipendenti, ma soprattutto un’incorporazione del monologo di Rosamund Pike nei panni di Amy Dunne nel “Gone Girl” di Fincher.
Il riferimento è soprattutto visuale e legato alla condensazione delle immagini frequentative: il supermercato, il taglio di capelli, la fuga in macchina, la dimensione del crimine.
La potenzialità polisemica di quel monologo ha consentito anche una rilettura femminista di alcuni stereotipi, ma viene rielaborata sapientemente da Balzary attraverso la spinta psicofisica di un’autoaffermazione radicale.
Rabbia come crescita, spinta verso la trasformazione senza alcun limite: Coco, una Drunken Butterfly.