Per chi non fosse mai stato all’Anfiteatro delle Cascine intitolato alla memoria di Ernesto De Pascale, sarà utile ricordare che la struttura creata negli anni settanta e rinnovata intorno ai dieci del nuovo millennio, é immersa nel verde, con la cavea costruita tutt’intorno alla scena. Per raggiungere il palco, gli artisti scendono lateralmente lungo una stretta gradinata a picco e seminascosta da alberi e cespugli.
Vedere i Kraftwerk comparire in quella striscia di verde dopo gli ultimi bagliori del crepuscolo, inguainati nelle loro tute illuminate da circuiti, dava la sensazione di un piccolo irripetibile evento nell’evento.
Sembrava di assistere ad un’invasione aliena, dopo un atterraggio di fortuna ai margini di una citta.
Il quartetto tedesco sfrutterà in forma parodica questa suggestione, durante la versione live di Spacelab, dove un viaggio interstellare in soggettiva si concluderà con l’approdo di un astronave All’anfiteatro De Pascale, dopo una ricognizione sul panorama fiorentino.
Una retro proiezione giocosa e dadaista, parte dell’imponente contributo visual che accompagna tutti i brani del concerto e che rielabora temi, artwork e immaginario grafico lungo tutta la discografia dei tedeschi.
Questa continua oscillazione tra modernariato retro futurista e folgorazioni predittive, costituisce il gioco di incorporamenti che i Kraftwerk hanno immaginato per i loro live, nel continuo dialogo sinestetico tra arte visuale digitale e i suoni sintetici di un’elettronica in costante mutazione.
Può allora far sorridere quel personal computer che fluttua sullo sfondo durante It’s More Fun to Compute / Home Computer direttamente dall’artwork originale di Computer World, mentre una legione di smartphone si attiva per filmare, ma é il nostro stesso specchio indietro nel passato, mentre viene assegnato alla platea il ruolo di un esploratore che ammira i relitti di una tecnologia obsoleta.
I quattro Kraftwerker coordinati da Ralf Hütter, dopo il viaggio lungo il ripido sentiero che strappa al pubblico un boato di meraviglia, prendono posizione dietro alle simmetriche consolle perfettamente inscritte nella scenografia.
Il setting minimale è ormai una costante da tre lustri e ha sostituito i Minimoog e altra strumentazione “pesante”, adattandosi progressivamente all’era dei VTS, ovvero gli strumenti virtuali emulati con la combinazione di software e controller midi.
Dentro quelle eleganti postazioni che imitano l’area di comando di un viaggio astrale, ci sono laptop, tablet, piccole tastiere che interagiscono con i software della Native Instruments, come Reaktor o Maschine Mk1, le cui capacità di emulazione dei suoni analogici che hanno fatto la storia di certa elettronica, sono infinite.
Tra DAW e Midi controllers c’è anche spazio per i visual. Nella sera fiorentina controllati probabilmente da Georg Bongartz, uno dei fantastici quattro, che nei concerti più recenti ha sostituito lo straordinario Falk Grieffenhagen. Difficile dirlo con certezza, perché gli uomini macchina non dialogano con il pubblico se non a gesti, seguendo un’iconografia suggestiva e rigidissima che ha caratterizzato i loro show sin dall’inizio.
Questa estrema virtualizzazione dell’elemento musicale, rende i visual parte integrante e fondamentale del live. Lo schermo piazzato all’Anfiteatro delle Cascine accoglie proiezioni molto simili a quelle del software Dataton noto come Watchout™ che è stato utilizzato dai Kraftwerk per le sue potenzialità interattive, a partire dal tour 3D che fu allestito anche al Teatro Dell’Opera Fiorentino, dove agli spettatori veniva fornito un set di occhiali per vivere un’esperienza immersiva.
Non è questo il caso della serata fiorentina en plein air, dove l’immersione è di natura diversa, perché incorpora una scena tecnologica circoscritta, entro una cornice naturale che riverbera luci e mantiene fortunatamente, l’esperienza del live più fisico.
Lo ha dimostrato la selezione dedicata a Tour De France, che includeva oltre alla title track, anche Prologue e la sisto-diastolica Chrono, ovvero la fase del duo che passa dall’electro a forme clubbing più esplicite. In questo preciso momento una parte consistente del pubblico fiorentino si è alzata dalle sedute numerate per occupare sulla destra del palco, una sezione ancora libera del pit. E ha goduto la fisicità della danza fino agli episodi successivi che pur incorporando due classici come Trans-Europe Express e The Robots, non ha perso quella particolare attitudine.
I classici vengono quasi sempre rivisitati nei live del combo, e in questo caso la triade che promana dal sogno ferroviario e futuribile ispirato al progetto Schienenzeppelin, include Metal on Metal e Azbug, declinate in una versione industrial-techno davvero potente. Questa fa il paio con la grafica dei visual, le cui linee scompongono la figurazione del rotabile in una fantasia astratta che sconfina nella rilettura optical.
Il pubblico si scatena e non basta The Robots a placarli, perché Planet of Visions, il singolo registrato originariamente dal vivo, 19 anni fa al Križanke Outdoor Theatre di Ljubljana, erompe subito dopo inesorabile con tutti i riferimenti che erano serviti ai Kraftwerk per riprendersi l’imprimatur della Techno di Detroit, il cui genoma passa anche da loro.
Per altri episodi, come Radioactivity e The Model, scelgono una dimensione maggiormente celebrativa, con i visual che recuperano gli storici videoclip. Mentre The Man-Machine, viene sfruttata per un’elaborazione sinestetica, dove gli elementi che caratterizzavano artwork, grafiche e outfit del 1978, vengono scomposti e ricomposti in una fantasia visual che suona letteralmente il brano e lo libera totalmente dall’effetto nostalgia.
Impostazione chiara sin dall’inizio, dove It’s More Fun to Compute e Home Computer trasformano le intuizioni grafiche originali in una versione satura di colori della pixel art, vera e propria reinvenzione della musica cromatica di Ginna e Corra.
Del resto, arte e anti-arte, Futurismo, Dadaismo e molto delle avanguardie del 1920 hanno nutrito l’immaginario Kraftwek a lungo. In questo caso le grafiche di Karl Flefisch e Günther Fröhling, a partire dalla stessa tavolozza di colori e dalla scansione dello spazio su diagonali e prospettive, rilegge lo stesso dinamismo. Il costruttivismo, negli esempi originali veniva a sua volta rielaborato con le strategie del pastiche, mentre nel set live, l’uso della ripetibilità dei motivi e la loro moltiplicazione, esplode nelle possibilità delle motion graphics, a conferma di un dialogo tra passato e futuro che è ormai ri-mediato da moltissimi videoclip.
Eppure, la forza dei Kraftwerk è proprio quella di rimanere sempre un passo indietro per raccontare anche lo sgomento di fronte all’abisso spalancato dalla tecnologia che ci aspetta. Lo dimostrano una serie di episodi provenienti da diverse fasi della loro discografia e qui presentati con rielaborazioni tra tenerezza e parodia. Ci riferiamo ad Autobahn, con la Volkswagen in partenza e l’autostrada ridisegnata secondo i codici del gaming di vent’anni fa; ma anche a Computer Love, dove la rappresentazione grafica di un file audio dialoga direttamente con la nuova declinazione disco-rave del brano, mentre la dominante rosa shocking dei visual invade la postazione dei nostri quattro Kraftwerker.
Ed è quindi una sintesi perfetta la chiusura del live, con la triade Boing Boom Tschak / Techno Pop / Music Non Stop, tutta dedicata ad Electric Cafè del 1986.
Il primo episodio ricombina visualmente lettering fumettistici delle tre note onomatopee, recuperando un’estetica bitmap ferma appunto ai primi anni novanta. Allo stesso tempo, sorprende e atterrisce quella semplice linearità con cui la parola e il fonema, producono musica generativa nello stesso modo con cui Techno Pop e Music Non Stop sono state composte sfruttando le tecnologie text to speech.
Mentre il pubblico continua a danzare, in questa ultima parentesi fumettistica c’è tutto il fascino e il suo contrario, nell’attesa di un futuro ricco di possibilità e insidie.
Rigidissimi nel replicare scalette pressoché identiche show dopo show, in una venue dove uscire di scena non è così immediato e rappresenta l’intro e il prosieguo dello spettacolo, i quattro lavoratori elettrici non possono far altro che esitare e sciogliersi di fronte all’incredibile calore che il pubblico fiorentino ha loro restituito.
Non hanno alcun bis in canna, ma rimangono li, con tutine così simili a quelle utilizzate per le prassi di motion capture, come ologrammi improvvisamente disorientati.
Dovranno risalire il sentiero silvestre, meglio attendere e prenderseli tutti quegli applausi.